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Henry James
Quattro racconti
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QUATTRO INCONTRI
L'avevo vista soltanto quattro volteche ricordo però tutte vividamentetale fu l'impressione che mi fece. La
trovavo molto graziosa e piuttosto interessanteesemplare toccante di untipo di donna con cui già avevo avuto diversi e
forse non così incantevoli rapporti. Mi addolora apprendere della sua morteanche sea pensarci beneperché dovrei?
L'ultima volta che la vidinon fu certamente... Ma può valere la penaricordare i nostri incontri nel loro ordine.
I
Il primo ebbe luogo in campagnaa un tè fra amichein una notte nevosaall'incirca diciassette anni fa. Il mio
amico Latouchedovendo andare a passare il Natale con sua madreavevainsistito per avere la mia compagniae la
gentil signora aveva dato in nostro onore il ricevimento cui ora miriferisco. Fu per me un avvenimento di un gusto
particolare... con tutte le carte in regola: non ero mai stato prima diallora nel cuore del New Englande in quella
stagione. Aveva nevicato tutto il giornoe i cumuli di neve ammassati dalvento arrivavano all'altezza del ginocchio. Mi
chiesi come le signore avevano potuto farsi strada sino alla casa; ma nededussi che proprio quel tempo inclemente
rendeva degna di uno sforzo disperato una riunione la cui attrazione eraofferta da due gentiluomini provenienti da New
York.
Nel corso della seratala signora Latouche mi chiese se «non avevo voglia»di mostrare le fotografie a
qualcuna delle giovani signore. Le fotografie erano raccolte in due grandicartelle portate a casa dal figlio checome
meera reduce da un recente viaggio in Europa. Mi guardai attornoe fuicolpito dal fatto che la maggior parte delle
signore possedeva qualcosa d'interesse molto più stimolante che non la piùbrillante delle mie fotografie. Notai anche
peròuna persona sola accanto al caminoche girava lo sguardo nella stanzacon un sorriso appena accennatouna
smania discretacompostache mi parve in contrasto con il suo ostentatoisolamento. La fissai per un momentopoi
comunicai la mia scelta. «Mi piacerebbe mostrarle a quella giovanesignora.»
«Ohbenissimo» raccolse la signora Latouche«è proprio la personaadatta. È il tipo cui piacciono poco le
civetterie... vado subito a dirglielo.» Osservai che se non aveva gusto percerte frivolezzenon era forse la persona più
adatta; ma la signora Latoucheavanzando verso di lei di qualche passoaveva già invocato il suo consenso. «Ne è
felicissima» venne a riferire la padrona di casa; «ed è proprio lapersona adatta... così tranquilla e così intelligente.»
Aggiunse quindi che la signorina si chiamava Caroline Spenceril che servìda presentazione.
Caroline Spencer non era certo una bellezzama nondimenoin un suo mododiscreto e originalesembrava
fatta per piacere. Vicino alla trentinacosì per lo meno si potevasupporreaveva i modi di una ragazzina e la carnagione
di una bimba. L'acconciatura era delle più graziosecon i capelliaccomodati secondo la foggia delle statue greche
benché tutto lasciasse dubitare che avesse mai visto una statua greca. Ilsuo aspettocomunqueun che di «artistico»
l'avevane conclusiper quanto le polari influenze di una città come NorthVerona potessero autorizzareo assecondare
aspirazioni di questo genere. Gli occhi erano forse un po' troppo rotondi etroppo ostinatamente attonitima le labbra
suggerivano un temperamento di mite risolutezzamentre i dentiquando lilasciava intravvedereerano incantevoli.
Attorno al collo portava quella che le signore chiamanoalmeno credouna «ruche»agganciata da una
minuscola spilla di corallo rosae in mano reggeva un ventaglio di pagliaintrecciataadorno di un nastrino rosa.
Indossava un abito modesto di seta nera. Si esprimeva con lenta e amabilegraziacurandosi quasi di evitare che un
sorriso potesse mettere in mostra la bella dentaturae sembrava altresìalquanto lietae persino un po' emozionata
all'idea della mia esibizione. La quale peraltro prese inizio in tutta calmadopo che ebbi raccolto le cartelle dall'angolo
in cui si trovavano e sistemato due sedie vicino a una lampada.
Conoscevo quelle fotografie a memoriapraticamente: ampie vedute di paesaggisvizzeriitalianispagnoli
immagini di edifici famosidi quadridi statue. Le commentavo una per unacon le cose che sapevoe la mia compagna
osservandole mentre via via le venivo estraendo dalla cartellasedeva inperfetta immobilità e con il ventaglio di paglia
grazie a un movimento al tempo stesso delicato e quasi eccitatodistrattamente si accarezzava il labbro inferiore. Di
quando in quandomentre riponevo le fotografie già mostrateosavachiederema senza familiaritàche sarebbe stata
decisamente fuori luogo: «L'avete davvero visto questo posto?» Quasi semprerispondevo che vi ero stato svariate volte
- avevo viaggiato moltoanche se in qualche modo ero stato ammonito a nonvantarmene - e allora avvertivo il suo
sguardo posarsi per un attimo su di me. Le avevo già chiestoall'inizioseera mai stata in Europa; al che aveva risposto
«Nonono» quasi trattenendo il respirocome se l'immagine di un simileavvenimentoper la sua solennitànon
ammettesse di essere tradotta in parole. Maa parte ciòbenché nontogliesse mai lo sguardo dalle fotografieparlò
talmente poco da farmi temere chein fondosi stesse annoiando. Cosìunavolta esaurita la prima delle due cartellele
offriiqualora lo preferissel'opportunità di smettere. Da un lato mipareva di capire che la mia esibizione l'interessasse
ma mi incuriosiva la sua reticenza e desideravo provocarla perché parlasse.Girai lo sguardo verso di lei per giudicare
meglio e fu così che mi accorsi che un lieve rossore le aveva coperto leguance. Continuò ad agitare il ventaglio avanti e
indietro. Eevitando di guardarmimantenne gli occhi fissi al resto dellacollezioneal contenitore appoggiato sul
tavolo.
3«E quelle lì non volete mostrarmele?» domandò con voce esitante e ilrespiro ansante di chi si è tuffato ma non
sa bene come restare a galla.
«Con piacere» risposi«se davvero non vi annoiate.»
«Nient'affatto. Anzisono letteralmente affascinata.» E mentre tiravo a mel'altra cartellavi appoggiò sopra la
manoaccarezzandola amabilmente. «Siete stato anche qui?»
La mia conferma venne non appena aprii la cartella. Una delle primefotografie mostrava una veduta del
castello di Chillonsul lago di Ginevra. «Quipoi» dissi«sono statopiù di una volta. Incantevolevero?» E feci un
cenno al nitido riflesso delle rocce ardite e delle aguzze torri nell'acquaimmobile e chiara.
Non la udii rispondere «Meraviglioso!»ché anzi scostò da un latol'immagine per ammirare la successiva.
Stette in contemplazione qualche istanteper poi domandare se non sitrattava del luogo dove era stato confinato
Bonnivarddi cui scrisse Byron. Assentiitentando di citare i versi delpoeta in propositoma senza riuscire a ricordarli
con esattezza.
Caroline si fece vento prendendo tempodopo di che ripeté i versicorrettamentecon voce dolce e senza
inflessionima con toccante convinzione. Una volta esaurita la citazionetuttaviaarrossì. Le espressi i miei
complimenti e le assicurai che mi pareva perfettamente preparata a visitarepaesi come la Svizzera e l'Italia. Mi sbirciò
nuovamente di traversoper scoprire se non stessi scherzandoe io aggiunsiche se le premeva di riconoscere in quei
luoghi le descrizioni di Byrondoveva affrettarsi a organizzare quel suoviaggiodato che l'Europa andava tristemente
«sbyronizzandosi». «E quanto tempo mi rimarrebbesecondo voi?» indagòallora.
«Ohdieci anninon più.»
«Benese è così credo proprio che ce la farò» rispose come misurandole parole.
«Vi piacerà senz'altro» incalzai; «sono sicuro che vi interesseràimmensamente.» In quel preciso momento mi
capitò fra le mani la fotografia di un cantuccio di una città straniera cheavevo particolarmente amatoe che richiamava
alla mia mente tenere memorie. Ne parlai (così almeno suppongo) conconsiderevole partecipazione; e la mia compagna
sedeva in ascoltotrattenendo il fiato.
«Avete soggiornato a lungo in questo luogo?» chiese dopo un po' che avevosmesso di raccontare.
«Sìse si sommano tutte le volte...»
«Avete viaggiato veramente dappertutto?»
«È stata la mia principale occupazione. Mi piace viaggiare e poi ho avutola fortuna di poterlo fare.»
Di nuovo posò su di me lo sguardoscrutandomi con quella sua delicatamalizia. «Conoscete le lingue
straniere?»
«In un certo senso.»
«È difficile parlarle?»
«Non credo che lo trovereste così difficile» risposi volutamente galante.
«Ohma iopiù che di parlare... mi accontenterei di ascoltare.» Unabreve pausapoi aggiunse: «Dicono che il
teatro francese sia tanto bello.»
«Ah... il migliore del mondo.»
«Vi siete stato sovente?»
«Durante il mio primo soggiorno a Parigi vi andavo ogni sera.»
«Ogni sera!» E spalancò i suoi occhi limpidi. «Questo è per me...»indugiò leggermente sulle parole«come
come un racconto di fate.» Epoco dopo: «Qual è la nazione chepreferite?»
«Ve n'è una che amo più d'ogni altra. Epensolo stesso sarebbe pervoi.»
Il suo sguardo si bloccò per un istantecome per un'oscura divinazionepoisussurrò: «L'Italia?»
«L'Italia» sospirai anch'io; e per un po' indugiammo in quel comunepensiero. Mi apparve così bellacome se
invece di mostrarle fotografie ci avessi fatto l'amore.
Quasi a voler suffragare quell'immaginegirò la testa dall'altra partearrossendo. Vi fu una pausache fu lei
stessa ad interrompere per dire: «È proprio lì dovein particolarepensavo di recarmi.»
«Ed è il posto giusto... credetemi: il posto giusto!» sorrisi io.
Sfogliò ancora due o tre fotografie in silenzio. «Dicono che non sia moltocara.»
«Rispetto ad altri paesi? Behsicuramente si riceve per ciò che si paga.Il che non mi pare sia un'attrattiva da
poco.»
«Ma è tutto veramente caronon è così?»
«L'Europaintendete dire?»
«Andare laggiùviaggiare. È stato sempre il mio problema. Posseggo pocodanaro. Sapetesono soltanto
un'insegnanteio» lamentò Caroline Spencer.
«Certo che un po' di danaro ci vuole» ammisi; «ma ce la si può fare conuna somma modesta: basta spenderla
con giudizio.»
«Sìpenso che potrei farcela. Ho risparmiato e risparmiato; e qualcosacontinuo ad aggiungere giorno per
giorno. E solo per questo.» Si trattenne un attimopoi continuò con ansiacontrollatacome se farmi quelle confidenze
rappresentasse una rara ma fors'anche impura soddisfazione. «Vedetenon èstato solo il danaro a fermarmi... c'è tutto il
resto. Tutto mi si è messo contro. Ho aspettato e aspettato. E intanto hosognato ad occhi aperti. Mi fa persino paura
parlarne. Due o tre volte ci sono arrivata vicino... mapoimi è capitatodi parlarnee il mio sogno è svanito. Ne ho
parlato troppo» precisò con evidente esagerazionepoiché mi resi contoche la sua espressione era segnata da una
4leggera estasi trepidante. «Una signorauna mia grande amica... nolei nondesidera fare questo viaggioma io non le
parlo d'altro. Probabilmente la starò annoiando a morte. Qualche giorno fami ha detto che chissà dove andrò a finire...
Secondo lei diventerò pazza se non partiròma anche se partirò.»
«Allora» risi io«dal momento che siete ancora quidevo dedurne chesiete già pazza.»
Accolse la mia battuta con una certa serietà. «Probabilmente lo sonodavvero. Mi sembra di non riuscire a
pensare ad altroe non ho bisogno di fotografie per stimolarmi la fantasia!La testal'ho sempre là... Al punto che non
presto più interesse alle cose di tutti i giorni... alle faccende di casa. Equestasicuramenteè una sorta di pazzia.»
«In questo casonon c'è che un rimedio: mettersi in viaggio» sorrisi.«Voglio dire: il rimedio per questo genere
di pazzia. Poi c'è l'altro tipoovviamentequello che potrebbe capitarviuna volta laggiù. E che non è detto che non
possa risultare anche peggiore.»
«Ad ogni modoun giorno o l'altro conto di andarci!» esclamò leiquasiesultante. «Ho un parente da quelle
partisul posto» continuò«credo che lui saprà tenermi a bada.»
Espressi a mia volta la speranza che così potesse avvenire. Non ricordo piùse guardammo qualche altra
fotografiafatto sta che a un certo punto le chiesi se fosse sempre vissutalì dove l'avevo incontrata. «Ohnosignore»
rispose lei con velata impazienza«ho trascorso ventidue mesi e mezzo aBoston.» Accolsi queste parole con
l'inevitabile battuta chein questo casole terre straniere avrebberopotuto provocarle una delusionema non riuscii ad
allarmarla. «Le conosco meglio di quanto possiate immaginare» ancora unavolta la sua serietà non fu scalfita.
«Intendo dire attraverso la lettura; ho letto davvero moltissimo. Credoinveritàdi essermi preparata come di più non si
possa... prima. Non ho letto solo Byronho letto libri di storiaguidearticoli e tante altre cose. So già che tutto mi farà
andare in delirio.»
«Dire ‹tutto› è forse troppo; ma capisco il vostro stato d'animo»replicai. «Vi ha colpito la grande malattia
d'Americae in modo grave per di più: la bramamorbosa e mostruosaper icolori e le formeper il pittorescoper il
romantico ad ogni costo. Non ho mai capito se veniamo al mondo dotati di taledesiderio... con i suoi germi annidati
dentro prima ancora dell'esperienza; o sepiuttostol'infezione ci contagiaprestoquasi prima che ci si sviluppi la
coscienza... sentiamoappena ci guardiamo intornoche (per salvarele nostre animeo almeno i nostri sensi) ci
sbatteremo controcon forza. Siamo come viaggiatori nel desertoprivid'acqua e vittime del terribile miraggioil
tormento dell'illusionedella febbredella sete. Si ode lo scorrere d'acquanelle fontanesi vedono verdi giardini e
fruttetilontani in realtà centinaia di mig lia. Così è per la nostra sete:solo che per noi è ancor più meraviglioso:
abbiamo di fronte agli occhi quegli antichi splendori che non abbiamo maivistoe quando infine li possiamo ammirare
- se ne abbiamo la fortuna - non facciamo che riconoscerli! L'esperienza silimita a confermare e consacrare il nostro
sogno pieno di speranza.»
Mi ascoltavagli occhi sempre più rotondi. «Il modo in cui ne parlate èincantevoletroppo: sono sicura che
avete ragione. Ho sognato di ogni cosa... è come se conoscessi tutto!»
«Temo» continuai a giocare l'innocente commedia«che abbiate sprecato unbel mucchio di tempo.»
«Ohcerto! E questo è stato sicuramente il mio torto più grave!» Lepersone intorno a noi avevano cominciato
ad allontanarsi; prendevano commiato. Caroline si alzòmi tese la manotimidama luminosa e trepidante.
«Io torno laggiù... come fare altrimenti?» dissi mentre le stringevo lamano. «Spero di incontrarvi.»
Sìla sua febbre di fede esultante la pervase rischiarandola tutta.«D'accordo... anche per dirvi se sarò o no
delusa.» E si allontanòagitandonon senza una certa espressivitàilsuo grazioso ventaglio di paglia.
II
Alcuni mesi dopoattraversai di nuovo l'oceanodiretto a oriente; epassarono così quasi tre anni. Mi ero
stabilito a Parigida dovesul finire di ottobremi recai a Le Havre perincontrare mia sorella e suo marito che mi
avevano comunicato il loro arrivo. Raggiunsi il porto con due o tre ore diritardoe trovai il piroscafo già in banchina.
Corsi quindi all'albergodove i nuovi arrivati si erano debitamentesistemati. Mia sorelladata la sua scarsa confidenza
con il mareaveva patito molto il viaggio. Si era quindi ritirata in cameramalandata e stanca: per il momentonon
desiderava altro che riposare indis turbata; cosìmi ricevette soltanto percinque minutiil tempo necessario perché
decidessimo di rinviare il viaggio a Parigi al giorno seguenteperconsentirle di rimettersi in forze. Mio cognatoin
ansia per la moglienon voleva lasciarla sola in camera; ma mia sorellainsistette perché io lo portassi con me a fare una
passeggiatagiusto per rinfrancarsi lo spirito e sgranchirsi le gambe.
Quella giornata d'autunno precoce era caldaincantevolee la nostrapasseggiata per le vie affollate e vivaci di
colori di quel vecchio porto franceseci risultò particolarmente gradevole.Percorremmo le banchine assolate e
chiassoseper poi imboccare un ampio e piacevole viale conteso a metà tral'ombra e la luceuna tipica strada della
provincia francese che ricordava tanto un vecchio acquerello: case alte egrige a più pianitetti aguzzi e abbaini rossi
persiane verdi alle finestredecorate da antichi motivi floreali in ferrobattutovasi di fiori ai balconi e donne in cuffia
bianca sulle soglie. Camminavamo dalla parte in ombrae di qui la scena inmovimento dal lato del solesembrava una
cartolina. Avanzavamo in attenta osservazione quandodi colpomio cognatosi fermòafferrandomi per il braccio e
fissando gli occhi su qualcosa. Seguii il suo sguardo e mi accorsi che cieravamo arrestati a pochi passi da un caffè
sotto la cui verandasul marciapiedeerano disposti parecchi tavolini contre o quattro sedie ciascuno. Dietro
s'intravvedevano le vetrine aperte; accanto all'ingressoerano allineate unadozzina di piante in grossi mastelli verdi; al
5suoloun sottile strato di segatura pulita. Insommaun grazioso etranquillo caffè vecchio stile; all'internoin una luce
ormai quasi crepuscolarescorsi una bella donnaalta e robustaconl'acconciatura adorna di nastrini rosa: appollaiata su
uno sgabelloincorniciata alle spalle da uno specchiosorrideva a qualcunoche si trovava al di fuori della nostra
visuale. A dire il veroquesto particolare lo potei notare solamente piùtardi; all'inizioinfattiavevo fermato
l'attenzione su una signora seduta da sola a uno dei tavolini di marmo sottola veranda esterna. Era lei che mio cognato
si era fermato a guardare. Le avevano servito qualcosa da berema leirimaneva appoggiata allo schienale della sedia
immobile e con le mani in grembogli occhi sulla stradadalla parte oppostaalla nostra. Non potei scorgere che il suo
profiloe di sfuggitamasull'istanteprovai la certezza di aver giàincontrato quella donna.
«La signorina della nave!» esclamò il mio compagno.
«Ha fatto il viaggio con voi?» chiesi incuriosito.
«Dalla mattina alla sera. Non ha mai sofferto il mare. Se ne stava sedutatutto il tempo sul ponte della nave
con le mani incrociatecom'è orae lo sguardo perduto all'orizzonteversooriente.»
«Intendi rivolgerle la parola?»
«Non la conosconon le sono stato presentato. Non ero certo in vena di fareil galante... Ma sono rimasto molto
ad osservarla e - chissà mai perché - mi ha incuriosito come tipo. Unacarapiccola yankee. Mi son fatto l'idea che sia
una maestrina in vacanza... grazie a una borsa di studio procuratale dai suoiscolari.»
In quel momentola donna aveva girato il capo in modo da mostrare meglio ilprofiloe stava ad ammirare le
facciate strette e grige delle case di fronte. Al chepresi la miadecisione. «Le parlerò io.»
«Io non lo farei... ha l'aria molto timida» disse mio cognato.
«Tranquilloragazzo mio. È una mia vecchia conoscenza. Una voltaa untèle mostrai delle fotografie.» Così
dicendoavanzai verso di leifinché girò lo sguardo verso di me ed io nonebbi più alcun dubbio sulla sua identità. La
signorina Caroline Spencer aveva realizzato il suo sogno. Ma lei non fualtrettanto pronta nel riconoscermimostrando
anzisulle primeun leggero stupore. Accostai una sedia al suo tavolo e miaccomodai. «Allora» dissi«spero proprio
che non siate delusa!»
Sgranò gli occhiarrossendo appena... poi ebbe un leggero sussultoilsegnale che mi aveva collocato nella sua
memoria. «Foste voi a mostrarmi quelle fotografie... a North Verona.»
«Proprio io. E devo dire che trovo questa coincidenza davvero incantevole:non vi pare giusto che sia proprio
io ad accogliervi qui... a darvi il benvenuto ufficiale? Fui io a parlarvicosì tanto dell'Europa.»
«Tantosìma non troppo. Oh! Mi sento così intensamente felice!»dichiarò lei.
E molto feliceveramentesembrava. Non una traccia di invecchiamento inlei: severamentemodestamente
onestamente graziosa come la ricordavo. Se allora mi aveva colpito come unpallido fiore puritanodallo stelo delicato e
dalle tinte gentilisi può ben immaginare come orain quella circostanzaquel bocciuolo luminoso non potesse essere
meno seducente. Accanto a leiun anziano gentiluomo sorseggiava una bevandaall'assenzio; edietro di leila dame de
comptoir dai nastrini rosa chiamava «AlcibiadeAlcibiade!» indirezione di un cameriere dal grembiale lungo. Spiegai
alla signorina Spencer che il signore che mi accompagnava aveva fatto ilviaggio in nave con leial che mio cognato si
avvicinò per essere presentato. Caroline Spencertuttavialo guardò comese non lo avesse mai visto primae ricordai
allora quanto mio cognato aveva detto a proposito degli occhi di leicostantemente persi all'orizzonte. Evidentemente
non doveva averlo neppure notato nédel restotentò di pretendere ilcontrario; gli regalò anzi un timido sorrisoquasi
di scusa. Io mi fermai con lei sulla terrazza del caffèmentre il miocompagno rientrava in albergo dalla moglie. Feci
osservare alla mia giovane amica che quell'incontroimmediatamente dopo ilsuo sbarco in Europatra tutte le cose che
potevano succedereaveva in sé un che di miracolosoma che ero propriofelice di esser lì ad accogliere le sue prime
impressioni.
«Ohtemo di non poterle dire ancora nulla» disse lei «...è come se misentissi in un sogno. Da un'ora sono qui
sedutae non vorrei muovermi mai più. Tutto è così deliziosoromantico.Non soforse il caffè mi avrà dato alla testa...
è così diverso dal caffè del mio sepolto passato.»
«Certo che» replicai«se vi entusiasmate tanto per questa poveraprosaica Le Havre non vi resterà più
ammirazione per il meglio che ha da venire. Non esaurite i vostri slancitutti al primo giornoricordate... è la vostra
lettera di credito intellettuale. Pensate ai luoghi e alle cose meraviglioseche vi attendonoall'adorabile Italia di cui
parlammo.»
«Nonon ho paura di rimanere a corto d'entusiasmo» mi disse con allegraspensieratezzae sempre ammirando
le facciate delle case di fronte. «Potrei starmene seduta qui tutto ilgiorno... anche solo per continuare a ripetermi che ci
sonoche sono qui finalmente. È così scuro e strano... così antico ediverso.»
«A proposito» domandai«come mai siete finita in questo bizzarro luogo?Non avete cercato camera in un
albergo?» Erolo confessoalquanto divertito e al tempo stesso allarmatodi fronte all'ingenuità con cui quella donnina
fragile e delicata si era sistematain apparente isolamentosu unmarciapiede.
«Mio cugino m'ha portata qui e... poco fa... m'ha lasciata sola» rispose.«Ricordate? Vi dissi d'avere un parente
in Europa. È ancora qui... un cugino primo. Ebbene» continuò coninoffuscato candore«mi è venuto incontro al
piroscafoquesta mattina.»
Era assurdo... tanto più che non erano affari miei; eppureprovai a quelleparole un acuto senso di disagio.
«Non capisco perché vi sia venuto a cercare per poi lasciarvi sola tantopresto.»
«Ohsolo per mezz'ora» ribatté Caroline Spencer. «È andato a prendereil mio danaro.»
Il mio stupore aumentava. «E dove si trova il vostro danaro?»
6Rari erano i suoi sorrisieppure a quel punto fu con una risata cheanticipò la gioia di ciò che stava per dire.
«Mi fa sentire molto importante dirvelo! È in assegni circolari.»
«E dove sarebbero i vostri assegni circolari?»
«In tasca a mio cugino.»
Tale fu il candore di questa affermazione che - non saprei dire perché mai -provai dentro di me una sensazione
di gelo. Al momentoquel mio disagio non trovava alcuna giustificazionevisto che nulla sapevo del cugino della
signorina Spencer. Anzidato che faceva parte della famiglia di lei - caradolcerispettabile persona -se prevenzione
doveva esserci non poteva che giocare a suo favore. Nondimenomi inquietòil pensiero cheme zz'ora dopo il suo
sbarcole sue povere finanze fossero passate nelle mani di costui. «Pensadi viaggiare con voi?» le chiesi.
«Solamente fino a Parigi. È studente di belle arti a Parigi... Gli avevascritto del mio arrivoma mai mi sarei
aspettata di vederlo alla nave. Contavopiuttostoche mi avrebbe atteso altrenoa Parigi. Molto gentile da parte sua.
Del restoè davvero» disse Caroline Spencer«un tipo molto gentile... emolto in gamba.»
Tutto d'un colpomi scattò una strana curiosità di conoscere questo cuginotanto in gamba e studente di belle
arti a Parigi. «È andato in banca?» indagai.
«Sìin banca. Mi ha accompagnata ad un albergo prima... un posticinostranocaratteristicocon un cortile al
centro e un ballatoio tutt'attornoe una deliziosa padrona con una cuffiatutta a pieghe e un vestitino che le sta alla
perfezione! Dopo un po'siamo usciti per andare in bancapoiché non avevocon me danaro francese. Ma ero ancora
piuttosto stordita dal viaggioe ho pensato fosse meglio sedermi tranquilla.Mio cugino mi ha trovato questo posto... e si
è offerto di andare lui in banca. Devo aspettare che torni qui.»
Il suo racconto non faceva una grinza e la mia impressione era quindiassolutamente infondatama mi passò
per la mente l'idea che il gentiluomo non si sarebbe più fatto vivo. Misedetti comodo accanto alla mia amica e decisi
fra me e me di attendere gli eventi. Caroline Spencer era assorta nella suaestasi e nell'osservazione di tutto ciò che ci
circondava... sollecita nell'ammirare e riconoscere ogni particolare concommovente intensità. Notava tutto ciò che il
movimento della strada portava davanti ai nostri occhi: le bizzarre fogge deicostumile forme delle carrozzei grossi
cavalli di Normandiai preti panciutii barboncini col pelo tosato. Diognuno di questi soggetti parlavamoe vi era
come un incanto nella freschezza della sua percezione e nel modo in cui lasua fantasia nutrita di letture si destava per
quella festa.
«E che avete intenzione di fare quando tornerà vostro cugino?» ripresi io.
E Caroline rispose non senza una certa misteriosa esitazione: «Non sappiamobeneancora.»
«Quando contate di andare a Parigi? Se partite con il treno delle quattroavrei il piacere di fare il viaggio con
voi.»
«Non credo sarà possibile.» E in ciò apparve più decisapreparata.«Mio cugino è dell'avviso che sia meglio
che io mi trattenga qui qualche giorno.»
«Oh!» esclamai io... e per cinque minuti non ebbi nulla da aggiungere. Mistavo chiedendo cosa maiper dirla
in parole semp liciil nostro assente avesse «per la testa». Guardai lastrada in lungo e in largoma non notai nulla che
potesse somigliare a un gentile e brillante studente americano di belle arti.Per controalla finemi presi la libertà di far
notare che Le Havre era tutt'altro che una delle tappe estetiche da scegliereper un giro turistico in Europa. Era un luogo
di comodoniente di più: un posto di transitoda cui passare in tuttafretta. Raccomandai alla signorina Spencer di
partire per Parigi con il treno del pomeriggio e di divertirsinelfrattempofacendosi portare all'antica fortezza che si
ergeva all'imboccatura del portouna notevole costruzione dalla strutturacircolare che recava il nome di Francesco
Primo e ricordava vagamente un Castel Sant'Angelo in piccolo. (Avrei potutoin realtà prevedere che sarebbe poi stata
demolita.)
Mi stette ad ascoltare con evidente interesse... poiper un istantesembròassumere un'aria grave. «Mio cugino
mi ha avvertito cheal suo ritornoavrebbe avuto qualcosa di particolare dadirmie che non potevamo fare o decidere
alcunché finché io non ne fossi stata al corrente. Ma lo farò parlaresubitocosì poi potremo andare all'antica fortezza.
Francesco Primoavete detto? Ohma è stupendo! Non c'è alcuna fretta diandare a Parigi; abbiamo tutto il tempo...»
Atteggiò le labbra a un severo sorriso nel pronunciare queste ultime paroleil che non mi impedìosservandola
intenzionalmentedi sorprendere nei suoi occhi - almeno così credetti - unfugace lampo di apprensione. «Non ditemi»
interferii«che questo sciagurato sta per darvi una cattiva notizia!»
Arrossìcome consapevole di una nascosta perversitàma era ormai salitatroppo in alto per cedere. «Diciamo
che mi aspetto qualcosa di un po' spiacevolema nulla di veramentecattivo. Ad ogni mododevo sentire di che si
tratta.»
Non mi feci scrupolo di assumere una certa autorità. «Questa è bella! Nonsiete venuta in Europa per stare a
sentire... siete venuta qui per vedere!» Oracomunquesapevo che ilcugino sarebbe tornatoinfallibilmentenon fosse
altro perché aveva qualcosa di sgradevole da comunicarle. Restammo sedutiancora un po'e io ne approfittai per
informarmi sui suoi programmi di viaggio. Aveva i nomi delle località sullapunta delle ditae li ripeté con la solennità
della devota di un'altra fede che recita le orazioni d'accompagnamento aigrani del rosario: da Parigi a Digione e ad
Avignonea Marsigliaquindi su per la Cornicheper GenovaLa SpeziaPisaFirenze e Roma. Apparentementenon
doveva mai esserle passata per la testa l'ipotesi di qualche inconvenientenel fatto di viaggiare da sola: quindidato che
non era provvista di un compagnosentii come dovere di cortesia l'inutilitàdi allarmare il suo senso di sicurezza.
Finalmentesi fece vivo suo cugino. Lo vidi avanzare verso di noi da unaviuzza laterale edall'istante in cui i
miei occhi si posarono su di luiebbi la certezza che non poteva chetrattarsi del brillantese non del gentilestudente
7d'arte americano. Indossava un cappello floscio e una giacchetta di vellutonero scoloritocome mi era capitato spesso
di vederne in Rue Bonaparte. L'allacciatura della camicia lasciava scopertoin parte un collo chevisto a distanzanulla
aveva di statuario. Altomagroaveva i capelli rossi e le lentiggini. Ebbiil tempo di catturare questi dettagli mentre egli
si avvicinava al caffèfissandomi con naturale sorpresa da sotto le faldedel suo romantico copricapo. Una volta che ci
fu accantonon esitai a presentarmi come una vecchia conoscenza dellasignorina Spencercon attributi che lei
serenamente mi consentì di invocare. Lo studente mi squadrò coi suoiocchietti rossi e acutipoi mi salutòalla moda
europeasventolando solennemente il suo scolorito sombrero.
«Voi non eravate a bordovero?» chiese.
«Nonon ero a bordo. È da diversi anni che mi trovo in Europa.»
S'inchinò di nuovocon fare non meno solennee mi invitò a risedermi.Cosa che fecima solo con il proposito
di rimanere ad osservarlo per un momento... mentre mi rendevo conto che eraora di rientrare in albergo da mia sorella.
Il protettore europeo della signorina Spencer aveva tutta l'aria di unindividuo davvero bizzarro. La natura non l'aveva
dotato per un abbigliamento raffaellescotanto meno byronianoe né lagiubba di velluto né il collo in mostranon
proprio nobile come una colonnaerano in armonia con i lineamenti del suovolto. Aveva i capelli tagliati a spazzola e
le orecchie ampiesproporzionate al resto. Esibiva un'affettata disinvolturae un'aria languida e sentimentalein netto
contrasto con gli occhietti accesipenetranti e di indefinibile colore: unmarrone che sfumava nel rossastro. Forse ero
prevenutoma quel suo modo di guardare mi parve alquanto ambiguo. Perqualche minuto non aprì bocca; sedeva con le
mani appoggiate al bastone da passeggio e con gli occhi seguivasu e giùimovimenti lungo la strada. Infine
sollevando appena il bastone e usando la punta per indicare qualcosa«Proprio una bella pennellata di colore...»buttò lì
con fare scontato. Aveva il capo girato da un lato... e intanto strizzava lesue brutte palpebre. Seguii la direzione del
bastone; l'oggetto indicato era un drappo rosso appeso fuori a una vecchiafinestra. «Davvero un bel tocco di colore»
riprese; e senza alterare la posizione della testa trasferì la fessura delsuo sguardo su di me. «Buona composizione.
Delicata sfumatura. Un bell'insieme.» Così parlò con voce ordinaria epriva di fascino.
«Vedo che avete un certo occhio» raccolsi io. «Vostra cugina mi diceappunto che studiate belle arti.» Seguitò
a guardarmi allo stesso modosenza rispondereed io ripresi con deliberatacortesia: «Suppongo che lavoriate nello
studio di qualche grande.» Non smise di fissarmipoi fece il nome di unodei più famosi del tempo; al che mi sentii
autorizzato a chiedergli cosa pensava del suo maestro.
«Capite il francese?» domandò a sua volta.
«Me la cavo.»
Mi tenne gli occhietti addosso; e osservò: «Je suis fou de la peinture!»
Ah! Capisco cosa volete dire!» ribattei. La nostra compagna appoggiò lamano sul braccio di lui in un gesto di
compiaciuta e trepida emozione; era delizioso trovarsi fra persone per lequali le lingue straniere non avevano segreti.
Mi alzai per congedarmi e chiesi a lei quandoa Parigiavrei avuto l'onoredi rivederla. A quale albergo sarebbe scesa?
Caroline si rivolse al cugino con espressione interrogativa ed egli mi degnònuovamente della sua languida
smorfia. «Conoscete l'Hôtel des Princes?»
«So dove si trova.»
«Ebbeneproprio lì.»
«Le mie congratulazioni» dissi alla signorina Spencer. «A mio avvisoèil miglior albergo del mondo; manel
caso mi rimanga un momento per vedervi quidove siete alloggiataattualmente?»
«Ohha un nome tanto grazioso» rispose divertita: «À la Belle Normande.»
«Credo di conoscere i posti giustiio!» s'intrufolò il cuginoil qualementre mi allontanavo da loronon mancò
di salutarmi con un ampio roteare del suo spavaldo copricapoil cuiondeggiare ricordava tanto quello di una bandiera
su di un campo conquistato.
III
Risultò che mia sorella non si era ristabilita abbastanza da poter lasciareLe Havre con il treno del pomeriggio;
cosìmentre cominciava a calare il crepuscolo autunnalemi ritrovai liberodi fare un salto all'albergo nominato dai miei
amici. Devo confessare di aver speso buona parte di quell'intervallo di tempoa chiedermi cosa mai poteva essere la cosa
spiacevole che il meno attraente dei due personaggi aveva da comunicareall'altro. L'auberge della Belle Normande
risultò essere una locanda in un'oscura stradina lateraledove mi fecepiacere pensare che la signorina Spencer doveva
aver trovato colore locale in abbondanza. C'era un cortiletto mezzofatiscentedove si svolgeva buona parte delle
operazioni connesse con gli ospiti della casa; c'era una scala che portavaalle camere da letto arrampicandosi sulla
parete esterna del muro; c'era una fontanella gocciolante con al centro unastatuetta di stucco; c'era un ragazzettocon
berretto bianco e grembiuleche stava lustrando dei recipienti di rameaccanto alla massiccia porta della cucina; c'era
una padrona di casaalquanto ciarlieracon un corpetto di pizzo inamidatoche andava sistemando albicocche e uva a
mo' di piramide artistica su di un piatto rosa. Gettai un'occhiata intornoesu una panchina verdedavanti a una porta
aperta che indicava la salle-à-mangerriconobbi Caroline Spencer. Mibastò posarle gli occhi addosso per intuire che
qualcosa era accaduto dal mattino. Appoggiata allo schienale della panchinale mani intrecciate in gremboteneva gli
occhi immobili verso l'altro lato del cortiledove l'albergatrice stavasistemando le albicocche.
8Ma non ci volle molto a capire chepovera caranon stava pensando allealbicocche e tanto meno alla padrona
di casa. Aveva lo sguardo perduto nel vuotoassorto; a distanza piùravvicinataavrei potuto giurare che aveva appena
smesso di piangere. Andai a sedermi accanto a lei prima ancora che mivedesse; poiquando si accorse della mia
presenzasi limitò a girarsi verso di mesenza sorpresamostrandomi ilsuo volto triste. Qualcosa di molto brutto era di
certo accaduto; era completamente trasformataed io l'affrontaiimmediatamente. «Vostro cugino deve avervi dato
cattive notizie. Avete passato un momento terribile.»
Per un po' non disse nullae immaginai che avesse paura di parlare per nonscoppiare di nuovo in lacrime. Poi
mi passò per la mente che in quelle poche ore dopo il mio congedo potesseaverle consumate tutte... e che ciò la rendeva
ora così intensamentestoicamente composta. «Il mio povero cugino è ingran pena» rispose infine. «Le sue notizie
erano davvero brutte.» E dopo una pausa di dolorosa consapevolezza: «Avevaun urgente bisogno di danaro.»
«Del vostro danarovolete dire?»
«Di tutto quello che poteva procurarsi... onestamentes'intende. E nonc'era che il mio... beha disposizione.»
Ahera come se l'avessi saputo sin dal primo momento! «Cosìimmagino cheve l'abbia già preso.»
Riusciva ancora a controllarsima nel frattempo la sua espressione si erafatta supplichevole. «Gli ho dato ciò
che avevo.»
Ricordo l'accento messo su quelle parole come il suono umano più angelicomai udito prima... e ciò mi fece
balzare in piediquasi mi sentissi colpito da un oltraggio. «Santo cielosignorinavoi questo lo chiamate un modo di
procurarsi il danaro ‹onestamente›?»
Avevo forse esagerato... lei arrossì fin negli occhi. «Non parliamone.»
«Dobbiamo parlarneinvece» esclamai lasciandomi sedere di nuovoaccanto a lei. «Io vi sono amico... e
parola miaintendo proteggervi; mi sembra proprio che ne abbiate bisogno.Che succede con questo vostro straordinario
cugino?»
Orapareva perfettamente in grado di parlare. «È tremendamenteindebitato.»
«Non discuto che lo sia! Ma non vedo perché dobbiate essere voi a pagareper luie con tanta fretta!»
«Sapetemi ha raccontato tutti i suoi guai. Sono talmente addolorata perlui.»
«Se è per questoanch'io lo sono! Ma spero bene» aggiunsi severamente«che vi restituisca immediatamente il
danaro.»
Questa volta la sua risposta fu pronta. «Certo che lo farà... non appenagli sarà possibile.»
«E quando diamine potrà?»
La sua lucidità non venne meno. «Quando avrà terminato il suo grandequadro.»
Quella dichiarazione mi colpì in pieno viso. «Mia cara signorinaaldiavolo il suo grande quadro! Dov'è ora
questo sciagurato?»
Per un momentofu come se mi lasciasse pensare che la stavo torturando conle mie domande!... per quanto
come risultòegli si trovasse esattamente dov'era naturale che fosse. «Stacenando.»
Girai la testa e diedi un'occhiataattraverso la porta spalancatadentro lasalle-à-manger. E lìovviamente
soloa capo di una lunga tavolasedeva l'oggetto della compassione dellamia amica: il brillanteil gentile studentello di
belle arti. Stava cenando con troppa concentrazione per avvertire in anticipola mia presenzama nell'atto di posare sulla
tavola un bicchiere ben svuotato di vinosi rese conto che lo stavoosservando. Concesse una pausa al suo pasto econ
la testa reclinata da un lato e le magre mandibole ancora impegnate in unlento movimento di masticazionetenne testa
al mio sguardo fissandomi. Intantoquasi sfiorandocici passò accantofrusciantela padrona di casa con la sua
piramide di albicocche.
«E questo delizioso piatto di frutta è per lui?» lamentai.
Caroline Spencer gettò al piatto uno sguardo tenero. «Sanno disporre ognicosa con tanto garbo!» si limitò a
sospirare.
Mi sentii inerme e irritato. «Suandiamo... pensate davvero che siacorretto che quel bellimbustoalto e grosso
debba intascarsi i vostri quattrini?» Caroline distolse gli occhi da me...era evidente che la facevo soffrire. Il caso era
senza speranza; il bell'imbusto aveva «fatto colpo» su di lei.
«Chiedo scusa se parlo di lui senza mezzi termini» aggiunsi. «Ma voisietecredetemitroppo generosa
mentre vostro cuginoè chiaronon possiede neppure un briciolo didelicatezza. I debiti se li è fatti lui... e deve
pagarseli da solo.»
«È stato sventato» rispose caparbiamente «...questo lo so. Mi haraccontato ogni cosa. Ne abbiamo parlato a
lungo questa mattina... il povero ragazzo si è affidato alla mia carità. Hafirmato cambiali per una forte somma.»
«Ancora più sventato!»
«È veramente nei guai... e non solo per se stessoma anche per la suapovera giovane moglie.»
«Ah! Ha pure una giovane moglie?»
«Io non lo sapevo... me l'ha confessato lui. Si è sposato due anni fa... insegreto.»
«E perché mai in segreto?»
La mia interlocutrice si guardò attorno con cautelacome se temesse orecchiindis creti. Poisottovocema con
fare importante: «Era una Contessa!»
«Ne siete proprio sicura?»
«Mi ha scritto personalmente una bellissima lettera.»
«Chiedendovi - senza avervi mai visto prima - del danaro?»
9«Chiedendo la mia fiducia e la mia simpatia»... Caroline Spencer parlavaora con un certo animo. «È stata
trattata crudelmente dalla sua famiglia... come conseguenza di ciò che hafatto per lui. Mio cugino mi ha raccontato ogni
particolaree lei si appella a me in modo molto delicato nella lettera cheho quiin tasca. È una bellissima storia
romanticamolto all'antica» commentò la mia prodigiosa amica. «Erabellagiovanevedova... il suo primo marito era
un Contedi famiglia tremendamente nobilema - sembra - molto cattivo: conlui non era stata affatto felice e alla sua
morte si ritrovò completamente in disgraziadopo che lui l'aveva ingannatain mille modi. Il mio povero cugino
incontrandola in tale situazionemosso forse da una certa compassione e nonmeno affascinato dalla sua persona
capite?» - l'enfasi di Caroline a questo punto era davvero sorprendente! -«non poteva che trovarla disponibile ad
affidarsi anima e corpo a un uomo miglioredopo tutto ciò che aveva patito.Ma quando la sua ‹gente›come dice mio
cugino - e il termine non mi dispiace affatto! - si rese conto che lei lovoleva a tutti i costiluipovero studente d'arte
americanodotato eppure umileperché lo adoravaallora la prozia di leila vecchia Marchesadalla quale la ragazza si
aspettava un'eredità cui seppe rinunciare in nome del suo grande amorelaripudiò nel modo più spietato e neppure la
parola volle più rivolgerlee tanto meno a luidall'alto della suaorgogliosa arroganza. Da queste partisembra che
sappiano come essere arroganti» continuò ineffabilmente... «su questo nonc'è dubbio! Sembra un racconto tratto da un
famoso libro d'un tempo. La famigliaquella della moglie di mio cugino» equesta volta nella precisazione c'era un
certo compiacimento«appartiene alla più antica nobiltà di Provenza.»
Ascoltai quasi affascinato. La povera donna trovava talmente interessante lacircostanza d'essere stata raggirata
da un fiore di quella razza - sempre che una razza o un fiore o un solitariogranello di verità avessero realmente posto in
quella vicenda - da aver praticamente perduto il senso di ciò chesignificava per leiorala perdita di tutti i suoi
risparmi. «Amica mia cara» brontolai«non accetterete di farvi spogliaredei vostri dollari per una simile tiritera!»
La risposta a ciò fu una riconferma della sua dignitàcome un agnellinorosa appena tosato avrebbe fatto. «Non
si tratta di una tiriterae tanto meno verrò derubata. Non potrò certovivere peggio di come ho vissuto finoranon
pensate? Presto potrò tornare qui a stare con loro. La Contessa - cosìcontinua a chiamarla mio cuginocome si usa in
Inghilterrasapete? di mantenere il titolo alle vedove nobili - insisteperché io venga a trovarli qualche volta. Così
penso che il resto potrò farlo in un'altra occasione... e nelfrattempo avrò recuperato il mio danaro.»
Era tutto troppo straziante. «Tornate dunque a casa subito?»
Avvertii il debole tremore della voce che lei eroicamente cercava disoffocare. «Non mi rimane più nulla per il
viaggio.»
«Avete dato tutto?»
«Ho tenuto quanto bas ta per il ritorno.»
Lanciaicredoun vero e proprio gemito d'irae in questo frangente l'eroedella situazioneil felice destinatario
dei sacri risparmi della mia povera amica e dei favori della infatuata grandedamedi cui mi era stato appena dipinto il
ritrattoriapparve spavaldo e palesemente consapevole di un pastomeritatamente guadagnato e ampiamente goduto. Si
trattenne per un istante sulla soglianell'atto di estrarre il nocciolo dauna albicocca paffutella amorosamente conservata
nel palmo della mano; poi si portò il frutto alla bocca ementre ve lalasciava dissolvere compiaciutostette a guardarci
le gambe lunghe leggermente divaricatele mani infilate nelle tasche dellagiacca di velluto. Caroline si alzò
indirizzandogli una timida occhiata che potei cogliere al voloe cheesprimeva un misto di rassegnazione e di
adorazione... le ultime gocce del suo sacrificio accompagnate a uno spasimodi nobile fierezza. Brutto volgare
presuntuoso disonesto come io lo vedevononché destituito della più vagatraccia di plausibilitàeppure era riuscito a
far appelloe con successoalla avida e tenera immaginazione di Caroline.Mi sentivo profondamente disgustatoma
non avevo alcun pretesto per interferiree comunque realizzai che qualsiasitentativo sarebbe stato vano. Nel frattempo
egli agitava la mano in un ampio gesto d'apprezzamento. «Grazioso vecchiocortile. Amabile posticino all'antica. Bella
scala segnata dal tempo. Diverse cosucce simpatiche.»
Decisamentenon ero in grado di sopportarloe senza fargli caso porsi lamano alla mia amica. Caroline mi
guardò per un istante coi suoi occhioni rotondi in quel suo visino candidoe mostrando i bei denti mi fece quasi
supporre che volesse sorridere. «Non siate in pena per me» supplicò consublime garbo. «Sono sicurissima che
qualcosa riuscirò a vedere di questa vecchia cara Europa.»
Mi rifiutai comunque di prendere da lei un vero e proprio congedo... avreitrovato un momento per tornare il
mattino seguente. Il suo disgustoso parenteche intanto s'era rimesso intesta il sombrerolo sbandierò come al solito
suo con un inchino mentre io mi allontanavo in tutta fretta.
Tornai di buon'ora il mattino dopoe nel cortile della locanda incontrai lapadronadecisamente più trascurata
nell'abbigliamento che non la sera precedente. Quando le chiesi dellasignorina Spencer«Partiemonsieur» rispose la
buona donna. «È partita ieri sera alle diecicon il suo... il suo... nonsuo maritovero?... insommacol suo Monsieur.
Sono scesi alla nave in partenza per l'America.» Mi girai di scatto...sentivo gli occhi riempirsi di lacrime. La povera
ragazza era rimasta qualcosa come tredici ore in Europa.
IV
Per quel che mi riguardaiopiù fortunatocontinuai ad abbandonarmi aglieventi così come mi si
presentavano. Durante tale periodo - all'incirca cinque anni - perdettil'amico Latouchemorto di febbre malarica nel
corso di un viaggio nel Levante. Una delle prime cose che fecial miorientro in Americafu una scappata a North
10Verona per una visita di condoglianze alla povera madre. La trovai sconvoltada una profondo dolore e sedetti con lei
per tutta la mattinata successiva al mio arrivo - ero giunto a notteinoltrata - ascoltando il suo sfogo rotto dal pianto e
tessendo le lodi dell'amico scomparso. Non parlammo d'altroe la nostraconversazione venne interrotta soltanto
dall'arrivo di una piccola donna dall'aria agitata che arrestò bruscamenteil suo calesse sulla soglia di casa Latouche e
che vidi gettar via le briglie sul dorso del cavallo con l'impetuosità dichisvegliato di soprassaltogetta via le coperte
dal letto. Balzò giù dal calesse e con un ulteriore balzo entrò nellastanza. Risultò essere la moglie del pastore nonché
famosa pettegola della cittàed era in quest'ultima vesteevidentementeche aveva qualche bocconcino prelibato da
comunicare. Di questo particolare ero sicurocome pure del fatto che lapovera signora Latouche non era così
irrimediabilmente afflitta da non poterla ascoltare. Mi sembrò discretodaparte miaritirarmi e presi a pretesto il
desiderio di far quattro passi prima del pranzo.
«A proposito» aggiunsi«se voleste dirmi dove abita la mia vecchia amicaCaroline Spencerpenso che andrò
a trovarla.»
La risposta della moglie del pastore fu immediata. La signorina Spencerviveva nella quarta casa dietro la
chiesa battista; la chiesa battista era la costruzione sulla destraconquella buffa cosa verde sulla porta; c'era chi lo
definiva una tettoiama somigliava più che altro alla testata di un lettoall'anticaappesa con le gambe per aria. «Sìfate
bene a visitare la povera Caroline» intervenne la signora Latouche. «Ladistrarrà vedere una faccia diversa.»
«Penserei piuttosto che di facce diverse ne ha già viste abbastanza!» siribellò la moglie del pastore.
«Intendevo dire un visitatore affascinante»... rettificò la signoraLatouche.
«Anche di visitatori affascinantimi risulta che ne abbia vistiabbastanza!» replicò la sua compagna. «Ma non
credo che voi intendiate fermarvi dieci anni» aggiunse dedicandomiuna occhiata significativa.
«È abituata ricevere visitatori di questo tipo?» chiesi nella miaignoranza.
«Lo scoprirete da voi il tipo!» rispose la moglie del pastore. «Sarà laprima persona che incontrerete:
d'abitudine se ne sta seduta nel giardino davanti alla casa. Soltantofateattenzione a ciò che le ditee badate di essere
cortese al massimo.»
«È così sensibile?»
La moglie del pastore scattò in piedi e mi si prostrò di fronte in uninchino... un inchino alquanto sarcastico.
«Se proprio lo volete saperesi tratta di ‹Madame la Comtesse›!»
E nel pronunciare queste titolate parole con il più sprezzante degliaccentiera come se la donnina si
concedesse letteralmente il gusto di ridere in faccia alla persona inquestione. Rimasi per un po' come attonitoa
interrogarmicercando di ricordare.
«Ohsarò molto cortese!» esclamai; eafferrando cappello e bastoneandai per la mia strada.
Individuai senza difficoltà la residenza della signorina Spencer. La chiesabattista si riconosceva a prima vista
e la modesta costruzione che le sorgeva accantodi un bianco scoloritoconun gruppo di camini al centro del tetto e
una vite del Canadàsembrava il rifugio naturale e ideale per una zitellain ritiro con il gusto per certe apparenze
d'effetto ottenute a poco prezzo. Avvicinandomirallentai il passo: erostato avvertito che qualcuno stava sempre seduto
nel giardino davanti alla casae mi allettava l'idea di una piccolaricognizione. Scrutai con cautela sopra il basso
steccato bianco che cingeva l'area dedicata all'angusto giardino separandoladalla strada non lastricatama nulla avvistai
che avesse la forma di una Contessa. Un vialetto diritto conduceva al gradinoconsunto della portasui due lati del quale
vi erano delle piccole aiuole d'erba bordate da cespugli di ribes. Al centrodell'erbasia a destra che a sinistrasi ergeva
un imponente melocotognocarico d'anni e di contorsionie sotto i rami diuno dei due erano sistemati un tavolo e un
paio di seggioline. Appoggiati sul tavoloun ricamo non terminato e due otre libri in brossura dalle vivaci copertine.
Oltrepassai un piccolo cancello e mi soffermai a mezza via lungo il vialettoispezionando tutt'attorno il luogo in cerca
di un'ulteriore traccia della sua occupantealla quale - non avrei saputospiegarmene il perché - esitavo
improvvisamente a presentarmi. Realizzai in quel momento quanto squallida etrascurata fosse la casa e provai un
subitaneo dubbio circa il mio diritto a penetrarvivisto che la curiositàera stato il mio moventee la curiosità in questo
caso non era confortata da altrettanta confidenza. Mentre indugiavounafigura apparve sulla soglia e stette ad
osservarmi. Immediatamente riconobbi la signorina Spencerche invece misquadrava come se non ci fossimo mai visti
prima. Con delicatezzama con fare serio e un po' intimiditoavanzai versoil gradino della portadove le rivolsi la
parola tentando un tono canzonatorio da vecchi amici. «Ho aspettato chetornaste laggiùma non arrivavate mai.»
«Aspettato... dovesignore?» rispose con voce tremulae intanto i suoiocchi innocenti le si arrotondavano in
volto come un tempo. Era di molto invecchiata; aveva l'aria stanca esciupata.
«Come!» replicai. «Vi ho aspettata in quel vecchio porto francese.»
Sgranò gli occhi ancor di piùpoi mi riconobbesorridendofacendosirossaintrecciando istintivamente le
dita. «Mi ricordo di voi ora... ricordo quel giorno.» Ma stette lì fermasenza né venirmi incontro né chiedermi di
entrare. Era visibilmente imbarazzata.
Anch'io provavo un certo disagioe intanto punzecchiavo il terreno delvialetto con il bastone. «Ho continuato
a guardarmi intornose vi incontravoanno dopo anno.»
«Intendete dire in Europa?» sussurrò quasi in un lamento.
«Ma certo... in Europa! Quisembra tutt'altro che difficile trovarvi.»
Appoggiò la mano sullo stipite non verniciato della porta e reclinòleggermente il capo da un lato. Mi fissava
cosìsenza parlaree avvertii l'espressione tipica negli occhi di unadonna quando stanno per riempirsi di lacrime.
All'improvvisoavanzò di un passo sul gradino di pietra incrinata cheprecedeva la soglia e richiuse la porta. Un sorriso
11forzato le si diffuse in volto ed io potei riconoscere la sua dentatura bellacome un tempo. Ma dovevano esserci state
anche tante lacrime. «Siete sempre rimasto là da allora?» chiese quasisottovoce.
«Fino a tre settimane fa. E voi... voi non siete mai più tornata?»
E Carolinenon smettendo di guardarmi con l'espressione più luminosa di cuiera capaceallungò la mano alle
sue spalle e riaprì la porta. «Non sono molto cortese» disse. «Nonvolete accomodarvi?»
«Non vorrei disturbare...»
«Oh no!»... non ne voleva sentir parlare. E risospinse la porta facendomicenno d'entrare.
La seguii. Mi fece strada fino a una stanzetta che dava sulla sinistradell'ingressoun locale che identificai
come il suo salottinoper quanto ubicato sul retro della casae passammodavanti alla porta chiusa di un'altra stanza
cheimmaginaidoveva godere della vista suoi cotogni. Da quella in cuientrammoinvecesi guardava fuori su di un
cortiletto animato da due chioccianti galline. Ma la giudicai molto graziosafinché mi accorsi che la sua eleganza era del
genere più sobrio; fu allora che la sentii ancor più piacevolecon queisuoi chintz sbiaditi e quelle sue stampe a
mezzatintaincorniciate in bordini da foglie secche laccateil tuttodisposto con grazia quasi commovente. Caroline si
mise a sedere in un cantuccio del divanole mani compostamente intrecciatesul grembo. Sembrava di dieci anni più
vecchiaed io non avrei dovuto sentirmi autorizzato a insistere su fatti cheriguardavano la sua persona e chetuttavia
continuavo a reputare interessanti ocomunquemi commuovevano. Lei eraparticolarmente inquieta. Io facevo finta di
non accorgermene; quandoimprovvisamentee senza alcuna logica conseguente- doveva essere l'eco irresistibile di
quell'intenso incontro avuto nel vecchio porto francese -le dissi: «Vi stoincomodando. Siete nuovamente in pena.»
Sollevò entrambe le mani al viso e per un momento ve lo tenne nascosto. Poiriabbassando le mani: «È perché
mi fate ricordare» disse.
«Vi faccio ricordarevolete direquel disgraziato giorno a Le Havre?»
Scosse il capo in un gesto delizioso. «Non fu un giorno disgraziato. Fuincantevole.»
«Ahera così?» deve essere stato il commento della mia espressione aquelle parole. «Non ricordo uno shock
più forte di quandotornato al vostro albergo il mattino dopoappresi cheeravate tristemente ripartita.»
Attese un istantedopo di che disse: «Vi pregonon parliamone più.»
«Tornaste direttamente qui?» continuainoncurante della sua supplica.
«Fui di ritorno esattamente trenta giorni dopo ch'ero partita.»
«E da allora vi siete rimasta sempre?»
«Minuto dopo minutoper tutto questo tempo.»
Incassai; non sapevo che diree le parole che finii poi con il pronunciaredovettero suonare come una presa in
giro. «Quando vi deciderete dunque a fare questo benedetto viaggio?» C'erafors'anche dell'aggressività in quella mia
battuta; ma qualcosa mi irritava nella sua profonda rassegnazionee volevoestorcerle un'espressione d'impazienza.
Caroline fissò per un momento gli occhi su un raggio di sole che batteva sultappeto; poi si alzò ad abbassare
l'avvolgibile in modo da eliminare il riflesso. Aspettavoosservandola conmanifesto interessecome se ancora avesse
qualcosa da offrirmi. E in effettiin risposta alla mia ultima domandamiarrivò la sua sentenza. «Mai!»
«Spero almeno che vostro cugino vi abbia restituito quel danaro» dissi.
Ancora una voltadistolse gli occhi da me. «Non m'importa piùora.»
«Non v'importa più del vostro danaro?»
«Né di andare in Europa.»
«Volete dire cheanche potendonon andreste?»
«Non posso... non posso» disse Caroline Spencer. «È acqua passata. Tuttoè cambiato. Non ci penso più.»
«Quel mascalzonedunquenon v'ha mai restituito il danaro!» gridai.
«Vi pregovi prego...!» cominciò...
Ma s'interruppe... stava guardando verso la porta. Nell'ingresso c'era statocome un fruscio e un rumore di
passi.
Guardai anch'io in direzione della portache intanto si era aperta lasciandoentrare un'altra persona... una
signora che si arrestò proprio sulla soglia. Dietro di lei veniva ungiovanotto. La signora mi fissò intensamente... e
abbastanza a lungo da suscitarmi una viva impressione. Quindi si rivolse aCaroline Spencer econ un sorriso e un
evidente accento stranierodisse: «Pardonma chère. Non sapevo cheeravate in compagnia. Il signore deve essere
entrato così tranquillamente.» E dicendo ciòdi nuovomi regalò ilfavore della sua attenzione. Era un tipo abbastanza
inconsuetoeppure ebbi subito la certezza di averla già vista prima. Fupiù tardi che mi resi conto di averein realtà
conosciuto soltanto signore che le somigliavano molto. Il cheperòeracapitato di certo molto lontano da North
Verona: allora rimaneva la più strana di tutte le coincidenze incontrare unadonna di quel tipo in quel preciso contesto.
A quale altra scena completamente diversa la vista di lei trasportò dunquela mia immaginazione? A qualche oscuro
pianerottolo dello squallido quatrième parigino... a una porta apertasu di una sudicia anticamerae Madame affacciata
alla ringhierache si stringe sul ventre con le mani i due lembi di unavestaglia scolorita e intanto bercia giù alla portiera
di portarle il caffè. L'ospite della mia amica era una signora piuttostocorpulentadi mezza etàil viso paffutello ma
mortalmente pallido e i capelli tirati indietro alla chinoisegliocchi non grandi ma penetrantie quello che i francesi
chiamerebbero un sourire agréable. Portava indosso una vestaglia dicachemire rosa antico intessuta di ricami bianchi
egiust'appunto come nella figura della mia momentanea visionesel'allacciava sul davanti col braccio nudo e tondo e
una mano cicciottella trapunta di fossette.
12«È solo per parlarre del mio café» disse alla padrona dicasa esibendo il suo sourire agréable. «Mi piacerebbe
servito in giardinosotto il picolo albero.»
Il giovane alle sue spalle era entrato ora nella stanzafacendo anch'eglimostra di séma in modo meno
provocante. Era un gentiluomo alto poche spanne ma con una vaga ariad'importanzaforse un uomo in vista del mondo
di North Verona. Aveva un nasino appuntito e un mento piccolo e non menoappuntito; nonchécome notai subitodei
piedi minuscoli e dei modi decisamente insignificanti. Mi stava a guardarecon aria inebetita e con la bocca aperta.
«Avrete il vostro caffè» disse la signorina Spencer come se un esercitodi cuochi fosse stato ingaggiato nella
preparazione della bevanda.
«C'est bien!» commentò la sua robusta coinquilina. «Ce rrcateil vostro librro»... disse poi rivolgendosi
all'allocchito ragazzotto.
Il quale spalancò ora la boccasbadigliando ai quattro angoli della stanza.«La mia grammaticavolete dire?»
La corpulenta signoraintantocontinuava a guardare il visitatore della suaamicacercando di controllare
seppure con voluta noncuranzail fluttuare della vestaglia. «Ce rrcateil vostro librro» ripeté con aria più assente.
«Il mio libro di poesievolete dire?» insisté a chiedere il giovanottoanch'egli incapace di staccarmi gli occhi
di dosso.
«Lasciamo perdere il librro»... ci ripensò la sua compagna. «Oggifaremo solo conversazione. Venitevenite.
Non disturrbiamo Mademoiselle»... e fece per andarsene. «Sotto il picoloalbero» aggiunse a vantaggio di
Mademoiselle. Dopo di che mi indirizzò un breve cenno di salutolanciò unmisurato «Monsieur!» e scomparve di
nuovo seguita dal suo damigello.
Tornai con lo sguardo su Caroline Spenceri cui occhi non si erano maisollevati dal tappetoe le parlai - temo
- con non molto garbo. «Chi diavolo è costei?»
«La Comtesse... era: ma cousineper dirla in francese.»
«E il giovanotto?»
«L'allievo della Contessail signor Mixter.» Quella descrizione del legameche coinvolgeva le due persone che
ci avevano appena lasciatodovette certamente infliggere un duro colpo allamia serietàa giudicare almeno dal
contrappunto di quella della mia amica nel riprendere la sua spiegazione.«Dà lezioni di francese e di musicale nozioni
più elementari...»
«Le più elementari nozioni di francese?» ho paura d'aver buttato lì io.
Ma Caroline rimase impenetrabilee assunse di fatto un tono che riuscì afarmi sentire decisamente dalla parte
del torto. «Ha patito le peggiori disgrazie... senza nessuno cui chiedereaiuto. È disposta a tentare di tutto... e ha deciso
di accettare la sua sfortuna allegramente.»
«Ahcapisco» raccolsi io... probabilmente con aria un po' pietosa«mipiacerebbe essere capace di fare
altrettanto. Se ha deciso di non essere di peso ad alcunonon vedo nulla dipiù giusto e corretto.»
La mia ospite si guardava attorno con fare sfuggente e anchesospettaialquanto disfatto: non ci fu commento
alla mia proposizione. «Devo andare a prendere il caffè» dissesemplicemente.
«Ha molti allievi la signora?» nondimeno insistetti.
«Soltanto il signor Mixteral quale dedica tutto il suo tempo.» Ancora unavolta fui tentato da una reazione di
ilaritàma qualcosa nella percezione della sensibilità della mia amica miindusse a mantenere una certa decenza. «Paga
molto bene» continuò Carolinesempre impenetrabilmente. «Non è moltobrillante... come allievo; ma è molto ricco e
davvero gentile. Ha un calessino... a due postie porta a spasso laContessa.»
«Spero si tratti di passeggiate frequenti e lunghe» non potei trattenermidall'interloquire... pur sapendo che
avrebbe reagito di nuovo evitandomi con lo sguardo. «Behbisogna dire chela campagna qui intorno è bella per miglia
e miglia» proseguii. Poimentre lei si voltava allontanandosi: «Stateandando per il caffè della Contessa?»
«Se volete scusarmi un momento...»
«Non c'è nessun altro che possa farlo?»
Sembrò chiedersi chi altro avrebbe potuto esserci. «Non tengo domestici.»
«Posso aiutarvi ioallora?» Dopo di chevisto che non mi dava rettaprecisai. «Non può arrangiarsi da sola?»
La signorina Spencer accennò a un lento movimento del capo... come se anchequesta fosse stata una strana
idea. «Non è abituata al lavoro manuale.»
La discriminazione era tutta da riderema mi sforzai di mantenere unatteggiamento decoroso. «Capisco...
mentre invece voi lo siete.» Al tempo stessoperònon potevorinunciare alla mia curiosità. «Prima di andareditemi:
chi è questa straordinaria signora?»
«Già vi dissi di chi si trattain Francia... quel meraviglioso giorno. Èla moglie di mio cuginoche peraltro
conosceste...»
«La signora bistrattata dalla famiglia a causa del suo matrimonio?»
«Sì. Non l'hanno mai più voluta rivedere. Hanno rotto ogni rapporto conlei.»
«E il marito dove si trova?»
«Il mio povero cugino è morto.»
Ebbi un attimo di esitazionema giusto un attimo. «E che fine ha fatto ilvostro danaro?»
La povera creatura ebbe come una contrazione... la stavo torturando. «Non soproprio» disse amaramente.
Non saprei dire fino a che punto era il suo atteggiamento a incitarmi...fatto sta che procedetti un gradino dopo
l'altro. «Alla morte del maritoquesta signora venne direttamente da voi?»
13Sembrava come se avesse già ripetuto troppe volte quella descrizione. «Sìla vidi arrivare un giorno.»
«Quanto tempo fa?»
«Due anni e quattro mesi.»
«Ed è sempre stata qui da allora?»
«Proprio così.»
Incassai tutto. «E le piace stare qui?»
«Behnon proprio mo lto» disse la signorina Spencer ineffabilmente.
Incassai anche questa. «E a voi...?»
Si nascose il viso tra le mani per un istante come aveva fatto dieci minutiprima. Poicon uno scattosi
allontanò per andare a preparare il caffè della Contessa.
Una volta solo nel salottinomi resi conto di essere diviso tra il colmo deldisgusto e l'opposto desiderio di
vedernedi saperne di più. Trascorso qualche minutoil giovanotto affidatoalle cure della signora in questione
riapparvecome se avesse da regalarmi un nuovo sbadiglio. Era eccessivamenteserio... per l'abito di flanella variopinto
che s'era messo addosso; e partorìsenza gran che di convinzione dal cantosuoil messaggio del quale era stato
incaricato. «Lei vuol sapere se non volete fare un salto fuori.»
«Lei... chi?»
«La Contessa. La signora francese.»
«Vi ha chiesto di condurmi da lei?»
«Sìsignore» rispose il giovanotto con voce flebile... visto che losovrastavo quanto a statura e a peso.
Uscii con luie trovammo la sua istrutrice seduta sotto uno dei due alberidi cotogne davanti alla casaintenta a
infilare un ago sottilecon la sua manina non proprio delicataattraversoun ricamo che non si faceva di certo notare per
freschezza. Indicò garbatamente la sedia che le stava accanto ed io misedetti. Il signor Mixter si diede un'occhiata
intorno per poi accomodarsi sull'erbaai piedi di lei; e da quella posizionesollevò lo sguardopiù inebetito che mai
come se fosse convinto che fra noi qualcosa di meraviglioso stesse peraccadere.
«Sono sicura voi parrlate francese» disse la Contessai cui occhirisultarono singolarmente sporgenti
nell'attimo in cui mi gratificò con uno dei suoi amabili sorrisi.
«Certomadame... tant bien que mal» replicai io - temo - forsetroppo seccamente.
«Ah voilà!» esclamò lei come deliziata. «L'ho capito appena vi hovisto. Cosìvoi siete stato nel mio amato
paese.»
«Abbastanza a lungo.»
«Vi piace dunquemon pays de France?»
«Ohsi tratta di un vecchio amore.» Ma ero tutt'altro che loquace.
«E conoscete bene Parigi?»
«Sìmadame: sans me vanterpenso proprio di sì.»
E con intenzionalità lasciai che i miei occhi si incrociassero con i suoi.
Lo scambio avvennedi fattoanche se fugacedopo di che la Contessa fececadere lo sguardo sul signor
Mixter. «Di che stiamo parlando?» chiese al suo attento scolaro.
Questi sollevò le ginocchiastrappò con la mano qualche filo d'erbasbarrò gli occhisi fece leggermente rosso
in volto. «State parlando in francese» disse il signor Mixter.
«La belle découverte!» si schermì la Contessa. «Sono quasi diecimesi» prese a spiegarmi«che mi occupo di
lui. Risparmiatevi di dire che siamo in presenza de la bêtise même»aggiunse in bello stile. «Non capirà nemmeno
questo.»
Un'occhiata al signor Mixteroccupato a trastullarsi goffamente ai nostripiedimi garantì che - davvero - non
avrebbe capito. «Spero che gli altri allievi vi diano maggiorisoddisfazioni» feci allora osservare alla mia interlocutrice.
«Non ne ho altri. Non sanno cos'è il francese... non sanno niente... inquesto posto. Potete quindi immaginare
che piacere è per me incontrare una persona che lo parlacome voi.» Nonpotei che replicare che il mio piacere non era
da menoe intanto lei continuava a intrecciare punti sul suo ricamo mettendoin mostra la finezza del dito mignolo
arricciato. Qua e là si portava il lavoro più vicino agli occhineanchefosse miopeforse sempre in omaggio a una certa
eleganza. Non posso dire che mi abbia ispirato maggior simpatia di quanta nonme neavesse ispirata il suo defunto
maritose suo marito era statoqualche anno primain un'occasione che conquestae in modo detestabilefaceva
sicuramente il paio; era una donna grossolanavolgareaffettataapprofittatrice: non più Contessa di quanto io fossi un
Califfo. Aveva sì una certa disinvoltura... fondata chiaramentesull'esperienzama non comunque sull'esperienza di una
persona di «rango». Di qualsiasi cosa si trattasseecco che orain modoincontrollatole divampava fuori. «Parlatemi di
Parigimon beau Paris che darei gli occhi per rivedere. Soltantonominarla me fait languir. Quando siete stato laggiù?»
«Un paio di mesi fa.»
«Vous avez de la chance! Raccontatemi qualcosa. Che c'è di nuovo? Chefa la gente? Ohcosa pagherei per
un'ora al Boulevard!»
«La gente fa più o meno quello che ha sempre fatto... divertendosi il piùpossibile.»
«Nei teatrihein?» sospirò la Contessa. «Nei café-concerts?sous ce beau ciel... seduti ai tavolini all'aperto?
Quelle existence! Sapeteio sono parisiennemonsieur»soggiunse«sino alla punta dei capelli.»
«La signorina Spencer deve essersi sbagliata allora» arrischiai inrisposta«dicendomi che venite dalla
Provenza.»
14Mi fissò per un istantepoi incollò il naso sul ricamoche mi sembròaver acquisitoda quando ci eravamo
seduti a parlareun'aria se possibile ancora più sporca e arruffata. «Ahsono provenzale di nascitama parigina per...
inclinazione.» E proseguì: «Per gli eventi più tristi della mia vita...ma anche per alcuni tra i più felicihélas!»
«In altre parolein virtù di un'esperienza varia!» commentai sorridendoorafinalmente.
I suoi occhietti sporgenti sembrarono interrogarmi. «Ohl'esperienza!... neavrei di cose da raccontarvinon
dubitatese volessi. On en a de toutes les sortes... e non avrei maipensato che questo era ciò che il destino aveva in
serbo per me.» E indicò con un movimento del massiccio gomito nudo e con uncenno del capo gli oggetti che la
circondavano: la casina biancala coppia di cotognilo steccatotraballantee persino l'estatico signor Mixter.
Una volta di piùmi toccò incassare il tutto elegantemente. «Ahcosìvolete dire che vi trovate decisamente in
esilio...!»
«Potete immaginare cos'è per me. Questi due anni della mia épreuve...elles m'en ont donnéesdes heuresdes
heures! Poici si abitua a tutto»... e tirò su le spalle come maiaNorth Veronanessuno era riuscito a fare; «talvolta
penso davvero d'averci fatto l'abitudine. Ma ci sono cose per le qualibisogna sempre ricominciare da capo. Il mio caffè
per esempio.»
Continuai a prestarmi al gioco. «Prendete sempre il caffè a quest'ora?»
Le sopracciglia le si sollevarono per lo meno tanto quanto prima le si eranosollevate le spalle. «Perchévoi che
ora mi proporreste? Devo pure avere la mia tazzina di caffè dopo la primacolazione.»
«E voi fate la prima colazione a quest'ora?»
«A mezzogiorno... comme cela se fait. Qui usano farla alle sette e unquarto. Quel ‹quarto›poilo trovo
affascinante!»
«Mami stavate parlando del vostro caffè» osservai ostentandocomprensione.
«Mia cousine non riesce a crederci... non vuol capirla. C'est unefille charmantema la mia tazzina di caffè
nero con una goccia di ‹fine cognac›servita a quest'ora... èqualcosa che eccede la sua comprensione. Cosìogni giorno
devo prendere io l'iniziativae vedete quanto tempo ci vuole per avere ilcaffè. Quando poi arrivamonsieur...! Se non
lo chiedo anche per voi - per quanto monsieurquiqualchevolta mi faccia compagnia - è perché voi sapete cos'è il
caffè sul boulevard.»
Quella critica maligna degli sforzi della mia povera amica mi irritòprofondamentema non proferii parola...
convinto che fosse quello l'unico modo per essere certo della mia educazione.Lasciai cadere gli occhi sul signor Mixter
il qualeseduto a gambe incrociate e come aggrappato alle ginocchiaammirava le grazie forestiere della sua istruttrice
con un interesse che la familiaritàalmeno apparentementenon avevaaffatto sminuito. La Contessa aveva ovviamente
notato il mio dis orientamento nell'osservare il giovanotto e affrontò lamia implicita domanda con tutta la sfacciataggine
di cui era capace. «Mi adorasapete» mormorò senza distogliere il nasodal ricamo... «non sogna altro che diventare
mon amoureux. Sìil me fait une cour acharnée... come potetevedere. A questo siamo arrivati. Ha letto un romanzo
francese... gli ci sono voluti sei mesi. Ma da allora si crede lui l'eroe evede in me - così come sonomonsieur- je ne sais
quelle dévergondée!»
È pensabile che il signor Mixter si stesse in qualche modo rendendo conto diessere l'oggetto della nostra
allusione; ma del modo in cui la sua persona veniva trattata non deve averavuto il minimo sospettoimpegnato com'era
nell'estasi della sua contemplazione. In quel momentoper di piùlapadrona di casa uscì in giardino portando una
caffettiera e tre tazzine su di un grazioso vassoio. Colsi dal suo sguardomentre si avvicinava a noiun fuggevole ma
intenso appello... la muta espressione - così almeno la sentii iotrasmessanell'occhiata più ardente che mi avesse mai
indirizzato - del suo desiderio di sapere cosa pensavo ioda uomo di mondo esoprattutto da uomo di mondo che era
stato in Franciadi quelle forze alleate accampatesi ormai sul campodevastato della sua vita. Io potevo soltanto «agire»
- come dicono a North Verona - in maniera impenetrabile... senza dar cenni dirisposta. Non potevo insinuaree tanto
meno esprimere francamentele mie intuizioni circa il probabile passatodella Contessacon le relative valutazioni della
sua virtùdel suo valore e delle sue dotie i limiti della considerazioneche poteva realmente pretendere. Non potevo
lasciar intendere alla mia amica come io personalmente «vedevo» la suainteressante inquilinavale a dire come la
consorte fuggita a un marito parrucchiere troppo geloso piuttosto che a unpasticciere troppo noioso; oppure come una
borghesuccia che aveva sconvolto la sua vita al di là di ogni possibilerimediooppure come un personaggio di quel
genere nomade ancor meno edificante. Non potevocon una gomitata a unapersianaper così direlasciare entrare un
raggio rivelatore e poi lavarmene le manivoltare le spalle e andarmene persempre. Al contrarionon mi rimaneva che
salvare la situazioneper lo meno la mia e per il momentorimettendomiinsieme con mano maestradare a vedere di
non aver capito nientetranne il fatto che quel terrificante personaggio tranoi era davvero una «grande dame». Questo
sforzo era possibile solo a condizione di ritirarmi in buon ordine e contutti i rituali della cortesia. Se non mi era
possibile parlareera ancor meno possibile che io rimanessima ho comunquel'impressione di essere diventato nero per
il disgusto di vedere Caroline Spencer starsene lìcome una cameriera inattesa di servire. Non sono quindi in grado di
garantire la riuscita della frase che rivolsi alla Contessa nel prenderecongedo da lei: «Intendete passare qualche tempo
in questi parages?»
Ciò che occorse fra noitra i suoi occhi e i mieinell'attimo in cui lasignora sollevò lo sguardo verso di me
questo almeno la nostra compagna può averlo afferratoquesto almenopuò averlo conservatoper il futurocome un
germe di rivelazione. La Contessa ripeté la sua terribile scrollata dispalle. «Chi lo sa? Non vedo dove potrei andare...!
Non è vita questaquando si è ridotti in miserria...! Chèrebelle» aggiunse a mo' di richiamo alla signorina Spencer
«avete dimenticato il mio ‹fine›!»
15Ma io trattenni Caroline chedopo aver considerato per un momento insilenzio il gruppettostava per
allontanarsi alla ricerca dell'articolo richiesto. Le porsi la mano senza dirnulla... dovevo andarmene. Il suo faccino
languidoausteramente dolce e con impressa la domandaormai raggelatadiun attimo primamostrava un senso di
estrema stanchezzama anche qualcos'altro di strano e di accettato... nonsaprei precisare se una rassegnazione disperata
o quale altra disperazione. Era più che paleseinvecela sua gioia che iome ne andassi. Il signor Mixter si era alzato in
piedi e stava versando il caffè alla Contessa. Ripassando poi per la chiesabattistami resi conto di quanto avesse avuto
ragione la mia povera amica - nell'altrosicuramente più intensoormaistorico incontro - quando aveva predetto che
qualcosa ancora avrebbe visto di quella cara vecchia Europa.
1877
L'ALLIEVO
I
Il povero giovane esitava e procrastinava: gli costava uno sforzo tremendoaffrontare l'argomento del
compensoparlare di denaro a una persona che parlava soltanto di sentimentieper così diredell'aristocrazia. Al tempo
stesso non gli riusciva di prender congedoa dare per scontata la suaassunzionesenza un'allusione un po' più esplicita
in quel senso di quanto non gli permettessero i modi dell'imponente e cortesesignora cheseduta davanti a lui e intenta
a far scorrere un paio di sudici gants de Suède lungo la manograssoccia e tutta ingioiellatainsistendo e sorvolando
simultaneamentecontinuava a ripetere ogni cosa salvo quella che lui avrebbevoluto ascoltare. Quello che avrebbe
voluto sentireera l'ammontare del suo stipendio; ma proprio nel momento incui si apprestava nervosamente a toccare
quel tastoricomparve il bambino... il bambino che la signora Moreen avevaspedito fuori della stanza alla ricerca del
suo ventaglio. Rientrò senza il ventagliosoltanto con l'osservazionebuttata lì a casoche non era riuscito a trovarlo.
Pronunciando questa cinica confessioneguardò dritto e fisso in volto ilcandidato all'onore di prendere in mano la sua
educazione. E costui dovette pensarecon una certa severitàche come primacosa avrebbe dovuto insegnare al suo
piccolo discepolo di rivolgersi alla madre quando le parlava... e soprattuttodi non dare risposte così sconvenienti.
Quando la signora Moreen aveva escogitato quel pretesto per liberarsi diquella presenzaPemberton aveva
immaginato che fosse appunto arrivato il momento di affrontare il delicatoargomento della sua remunerazione. Lei
invecelo aveva fatto soltanto per poter dire alcune cose di suo figlio cheun ragazzo di undici anni era meglio non
sentisse. Tutte cose prodigalmente a suo favoretranne quando la donnaabbassò la voce per sospirarebattendosi con
semplicità sulla sinistra del petto: «È tutto oscurato da questocapite? Tutto alla mercé di una debolezza...!» Pemberton
intuì che la debolezza stava nella regione del cuore. Aveva saputo che ilragazzo non era completamente sano: ed era
quella la ragione per cui era stato invitato a trattaretramite una signoraingleseconosciuta a Oxforde ora a Nizzaalla
quale era capitato di sentir parlare sia delle sue necessità sia di quelledell'amabile famiglia americana che cercava
qualcosa di veramente superiore per un incarico di precettore.
L'impressione del giovane quanto al suo futuro allievoentrato nella stanzacome per assistere coi propri occhi
al momento in cui Pemberton veniva assuntonon fu proprio quella di tenerasimpatia che il visitatore aveva data per
scontata. Morgan Moreen era in un certo qual modo malaticcio senza apparire«delicato»e il fatto che avesse un'aria
intelligente - è pur vero che Pemberton avrebbe preferito trovarlo stupido -andava soltanto ad aggiungersi al sospetto
checosì come con la sua bocca larga e le sue grandi orecchie non poteva dicerto dirsi carinoaddirittura potesse
risultare antipatico. Pemberton era riservatoera persino timido; el'eventualità che il suo scolaretto si rivelasse più
intelligente di lui gli era sicuramente balenatanon senza una certapreoccupazionefra i pericoli di un esperimento mai
tentato. Rifletté comunque tra sé e sé che si trattava di rischi che sidevono pur correre quando si accetta un impiego
come si suol direin una famiglia privata; quando si è costretti a prendereatto che le proprie glorie universitarie
pecuniarmente parlandosono rimaste sterili. Ad ogni modoquando la signoraMoreen si alzò come per suggerirgli che
lo lasciava liberostante l'intesa che avrebbe preso servizio entro lasettimanaPemberton riuscìmalgrado la presenza
del bambinoa insinuare una frase circa l'ammontare della retribuzione. Nonfu grazie al sorrisetto d'intesa che suonò
come un riferimento alla ricca condizione della signoranon fu grazie aquesta dimostrazione - peraltro dotatain un
certo qual mododi vaghezza e di precisione al tempo stesso - se l'allusionenon apparve del tutto volgare. Il merito
piuttostofu della maniera ancor più cortese ch'ella scelse per rispondere:«Ohposso assicurarvi che quest'aspetto sarà
del tutto regolare.»
Pemberton si limitò a interrogarsinell'atto di raccogliere il cappellocirca l'ammontare di «quest'aspetto»... le
persone hanno idee talmente diverse. Le parole della signora Moreencomunquesembrarono impegnare la famiglia in
un tipo di promessa abbastanza definito da provocare nel bambino uno stranocommentoaccennato nella forma
dell'ironica interiezione straniera « Oh la-là!».
Pembertonalquanto confusolanciò un'occhiata al piccolo cheintantosidirigeva lentamente verso la finestra
voltandogli le spallecon le mani in tasca e l'ariaper via della schienacurvadi un bambino che non giocava. Il giovane
si domandò allora se sarebbe stato capace di insegnargli a giocareperquanto la madre gli avesse detto che non doveva
16e che appunto per quella ragione era da scartarsi l'ipotesi della scuolapubblica. La signora Moreen mostrò di non
scomporsi; e si limitò ad aggiungere in tono conciliante: «Il signor Moreensarà felice di venire incontro ai vostri
desideri. Come vi ho già dettoè stato chiamato a Londra per unasettimana. Non appena sarà di ritorno sistemerete la
cosa con lui.»
Il tutto fu detto con tanta franchezza e cordialità che il giovane potésoltanto replicarerestituendo il sorriso alla
sua ospite: «Ohimmagino che non ci sarà molto da discutere.»
«Vi daranno tutto ciò che volete» intervenne inaspettatamente il ragazzoallontanandosi dalla finestra. «Non
siamo gente che bada ai costinoi... viviamo molto bene.»
«Tesoro carosei davvero curioso!» esclamò la madretendendogli peraccarezzarlo una mano espertama
senza riuscirci. Il bambino vi si sottrassee indirizzò invece uno sguardoingenuo ma non meno intelligente verso
Pembertonil quale aveva già avuto modo di notare che da un istanteall'altro il suo faccino ironico sembrava cambiare
d'età. In quel momento era infantileil che però non gli impediva diapparire sotto l'influenza di strane intuizioni e
consapevolezze. Pemberton non era il tipo cui andava troppo a genio laprecocità e fu contrariato dal fatto
d'intravvederne dei barlumi in un ragazzetto di poco più di dieci anni.Ciònonostantecapì immediatamente che Morgan
non l'avrebbe annoiato. Al contrariogli si sarebbe rivelato una fonte diemozioni. Nel complessol'idea incuriosì il
giovanemalgrado una certa antipatia di fondo.
«Perché mai tante arie? Non siamo persone fuori del normale!» protestògaiamente la signora Moreenfacendo
un altro vano tentativo di tirarsi accanto il ragazzo. «Dovete sapere cosaaspettarvi» continuò rivolta a Pemberton.
«Meno vi aspettate e meglio sarà!» interferì il suo compagno. «Ma siamogente alla modanoi.»
«Solo in quanto sei tu a renderci tali!» si schermì la madre contenera ironia. «D'accordoallora. A venerdì...
non ditemi che siete superstizioso... e badate di non mancare. Ci sarà lafamiglia al completo. Mi spiace che le ragazze
siano fuori. Spero che vi piaceranno... Esapeteho un altro figliocosìdiverso da questo!»
«Cerca di imitarmi» disse Morgan al nuovo amico.
«Questa è bella! Diamineha vent'anni!» esplose la signora Moreen.
«Sei davvero spiritoso» riconobbe Pemberton al bambino... unadichiarazione cui fece eco con entusiasmo la
madreconfermando che le uscite di Morgan erano la delizia della casa.
Il bambino non prestò alcuna attenzione a quelle parole; e si preoccupòinvece di interrogare bruscamente il
visitatoreche in seguito si stupì di non averlo trovato offensivamentesfrontato: «Volete veramente venire?»
«Puoi dubitarne dopo una siffatta descrizione di ciò che mi aspetta?»replicò Pemberton. A dire il veronon ne
aveva alcuna voglia; accettava di andarvi perché da qualche parte doveva purfiniregrazie al collasso delle sue fortune
a conclusione di un anno speso all'esteroin omaggio al principiod'investire il suo modesto patrimonio in una singola
ma intensa ondata d'esperienze. E l'aveva avuta la sua intensa ondatasalvoche poi non fu più in grado di pagare il
conto dell'albergo. Oltretuttoaveva colto negli occhi del bambino la vagatraccia di un remoto appello.
«D'accordovuol dire che farò del mio meglio per voi» disse Morganvoltandogli di nuovo le spalle e
allontanandosi. Passò oltre una delle grandi porte a vetri; Pemberton lovide raggiungere il parapetto della terrazza e
sporgervisi. Lì rimase finché il giovane prese congedo da sua madrelaqualeosservando come lo sguardo di
Pemberton suggerisse l'attesa di un cenno di saluto da parte del bambinos'intromise dicendo: «Non fateci casonon
fateci caso; è talmente strano!» Pemberton suppose che la signora a quelpunto temesse una delle battute del ragazzo.
«È un genio... vi piacerà» aggiunse la donna. «È certamente la personapiù interessante in famiglia.» E prima che il
giovane potesse replicare con una cortesia di circostanza lei lo liquidò:«Mabadatesiamo tutti un po' speciali!»
«È un genio... vi piacerà!» furono le parole di quell'incontro che piùtornaronoalla memoria del nostro
aspirante precettore prima del venerdìrammentandogli tra le altre cose chei genî non erano sempre amabili.
Comunqueera tanto di guadagnato se esisteva un elemento suscettibile direndere l'insegnamento più interessante:
aveva forse dato troppo per scontato che si trattasse di un'esperienzaunicamente sgradevole. Nel lasciare la villa dopo
quel colloquioPemberton guardò in alto verso il balcone e vide ilragazzetto affacciato lassù. «Credo che ce la
spasseremo!» gli gridò.
Morgan esitò un istante per poi rispondere gaiamente: «Per quando torneretevedrò di escogitare qualcosa di
spiritoso!»
Il che indusse Pemberton a commentare fra sé e sé: «Dopo tutto èpiuttosto simpatico.»
II
Il venerdì li vide tutticome promesso dalla signora Moreendal momentoche il marito era rientrato e che le
ragazze e l'altro figlio si trovavano in casa. Il signor Moreen aveva un paiodi baffi bianchimodi di fare confidenziali e
all'occhielloil nastrino di un ordine straniero... conferitosecondoquanto Pemberton apprese in seguitoper meriti
speciali. Quali fossero questi meriti speciali non lo accertò maichiaramente: era uno dei punti - uno di una vasta schiera
di punti - che i modi del signor Moreen mai lasciarono capire. Quello cheinvececomunicavano con enfasi era che si
trattava di un uomo di mondo più di quanto non si potesse indovinare a primavista. Ulickil primogenitosi allenava
evidentemente per la stessa professione... ma aveva ancora lo svantaggiotuttaviadi un occhiello appena timidamente
fiorito e di un paio di baffi che non pretendevano di essere rappresentativi.Le ragazze avevano bei capelli e linea e
piedi piccolinima non erano mai uscite da sole. Quanto alla signora MoreenPemberton si accorsead un esame più
17ravvicinato che la sua eleganza era incostante e che i pezzi del suovestiario non sempre combinavano. Il maritocome
da lei promessoaccolse con entusiasmo le idee di Pemberton in merito alcompenso. Il giovanotto ce l'aveva messa
tutta per contenere i suoi farfugliamenti in proposito entro limiti modestie il signor Moreen non nascose che li trovava
carenti di «stile». Ricordò inoltre che aspirava a essere in intimità coni figlia diventare il loro migliore amicoe che si
guardava sempre intorno pensando a loro. Ecco cosa andava a farea Londra ein altri luoghi... a guardarsi intorno; e
quella vigilanza era la teoria di vitaoltre che la reale occupazionedell'intera famiglia. Tutti loro si guardavano intorno
e ammettevano francamente trattarsi di un comportamento necessario. Citenevano che fosse chiaro che erano gente
seriacome pure che la loro fortunaperaltro ben adeguata a gente seriarichiedeva la più scrupolosa amministrazione.
Il signor Moreenautentico padre della nidiataprovvedeva al lorosostentamento. Ulick rivendicava per sé una funzione
di supportoprincipalmente al clubdove Pemberton immaginò che si desseusualmente da fare al tavolo verde. Le
ragazze avevano l'abitudine di acconciarsi capelli e vestiti da solee ilnostro giovanotto sentì che gli si chiedeva che
l'educazione di Morgan dovesse naturalmente essere delle miglioripur senzadiventare troppo dispendiosa. Dopo
qualche tempoPemberton ne fu davvero contentoa volte dimenticandoaddirittura i propri bisogni nell'interesse
ispiratogli dalla personalità e dalla preparazione del bambinononché dalpiacere di rendergli le cose facili.
Durante le prime settimane della loro conoscenzaMorgan era stato non menoindecifrabile di una pagina di un
idioma sconosciutodecisamente diverso da tanti banali piccoli anglosassoniche dovevano aver fornito a Pemberton
un'idea sbagliata dell'infanzia. In realtàtutto il libro mistico nel qualeil bambino era stato dilettantescamente rilegato
richiedeva una certa pratica ai fini di una traduzione. Oggiche molto tempoè passatoc'è qualcosa di fantasmagorico
come in un riflesso prismatico o in un romanzo a puntatenel ricordo diPemberton a proposito delle stranezze dei
Moreen. Se non fosse per alcuni segni tangibili - una ciocca di capelli diMorgan che lui stesso aveva tagliatoe la
mezza dozzina di lettere ricevute da lui quand'erano lontani - l'interoepisodiononché i personaggi che ne facevano
parteparrebbero talmente assurdi da far pensare piuttosto al paese deisogni. Il loro superlativo modo di essere bizzarri
corrispondeva peraltro al loro successo... o per lo meno come tale sembrò aPemberton in un primo tempo; visto che
non aveva mai conosciuto una famiglia così ben predisposta al fallimento.Non fu un successo il fatto di essere riusciti a
tenerlo in famiglia per un così lungo periodo? Non fu un successo quello diaverlo trattenuto per il déjeuner quella
prima mattinail venerdì - e già bastava a rendere unosuperstizioso - che s'era presentatomettendosi nelle loro mani?
E non per calcolo o per vocazionebensì in virtù di un felice istinto cheli faceva agire armoniosamente insiemealla
stregua di una banda di gitani. E bisogna dire che lo divertivano realmentecome se fossero una autentica banda di
gitani. Era giovane ancora e non aveva visto gran che del mondo: i suoi anniinglesi erano stati decisamente aridi; di
conseguenzal'anticonformismo dei Moreen - che pur avevano le loro qualità- lo stravolse . Nulla di simile a loro
aveva incontrato a Oxford; ancor meno note simili avevano suonato al suo piùgiovane orecchio americano durante i
quattro anni trascorsi a Yalequando si era illuso di avere la capacità direagire alla vena puritana. La reazione dei
Moreenad ogni modoandò ben oltre. S'era sentito così acuto quel primogiornoquando in cuor suo li aveva etichettati
come «cosmopoliti». Main seguitol'immagine si rivelò fiacca e priva dicoloreapertamente e irrimediabilmente
provvisoria.
Eppurequando per la prima volta aveva applicato quell'etichettaavevaprovato un impeto di gioia - per essere
un precettore era ancora alquanto empirico - che nasceva dal pensiero chevivere con loro sarebbe stato un vedere
realmente la vita. La loro socievole stramberìa ne era già un sintomo: ilcontinuo chiacchieriola spensieratezza e il
buon umoreil costante gironzolare (erano sempre nell'atto di alzarsicosache durava tutto il giornoe Pemberton
aveva una volta trovato il signor Moreen che si radeva in salotto)il lorofranceseil loro italiano eaffioranti qua e là in
quel marasma di idiomii loro freddi e grossolani frammenti d'americano.Vivevano di maccheroni e caffè - articoli
questiche sapevano preparare alla perfezione - ma disponevano di ricetteper almeno un altro centinaio di piatti.
Sguazzavano nella musica e nel cantosempre pronti a fischiettare e alanciarsi reciprocamente il «la»e godevano di
una specie di professionale familiarità con le capitali del Continente.Parlavano di «buone piazze»neanche fossero
borsaiuoli o attori girovaghi. Possedevano una villa a Nizzauna carrozzaun pianoforte e un banjoe non mancavano
di presenziare ai ricevimenti ufficiali. Erano un perfetto calendario dei«giorni» dei loro amic idi tutta una serie di
occasioni per assistere alle quali - Pemberton non trascurò di notarlo - avolte si alzavano dal letto malatie che
rendevano la settimana più lunga del reale quando la signora Moreen neparlava con Paula e Amy. Le loro iniziazioni
infusero dapprima nel nuovo ospite un senso quasi abbagliante di cultura. Lasignora Moreen per il passato aveva
tradotto qualcosa... un autore che fece sentire Pemberton borné perrisultargli sconosciuto. Potevano imitare il
veneziano e cantare in napoletanoe quando desideravano dirsi qualcosa diprivatocomunicavano fra loro in un
ingegnoso idioma familiareun libero codice parlato che Pembertonsulleprimescambiò per un patois di qualcuno dei
loro paesie che riuscì poi ad «afferrare» come mai gli sarebbe statopossibile per un dialetto spagnolo o tedesco.
«È il linguaggio di famiglia... l'Ultramoreen» spiegò Morgan a Pembertonnon senza un certo sarcasmo; ma
raramente il bambino acconsentiva ad usarloper ricorrere piuttosto a unlatino colloquiale come se fosse stato un
prelato in erba.
Fra tutti i «giorni» con i quali doveva fare i conti la sua memorialasignora Moreen riuscì a inserirne uno
proprioche a volteperògli amici dimenticavano. Nondimeno la casaassumeva un'aria frequentata in ragione del
numero di persone altolocate che vi erano liberamente citate e deglisvariatimisteriosi personaggi dai titoli stranieri e
dagli abiti di foggia inglese che Morgan chiamava «i principi» e chesprofondati sui divani con le ragazzeparlavano in
francese a voce alta - di tanto in tanto con qualche stranezza d'accento -come per dare a vedere che non stavano
dicendo alcunché di sconveniente. Pemberton si domandava come i principipotessero mai avanzare proposte di
18matrimonio in quel tono di voce e così pubblicamente: e concludeva concinismo che ciò corrispondeva proprio a
quanto da loro ci si aspettava. Poi si rese conto che neppure nella speranzadi una simile prospettiva la signora Moreen
avrebbe concesso a Paula e Amy di ricevere da sole. Le due signorine eranotutt'altro che timidema erano appunto
quelle cautele a renderle così candidamente disinvolte. Era un covo di bohémiensche avevano una voglia tremenda di
essere dei filistei.
In un solo puntotuttaviacertamente non s'imponevano alcuna disciplina:erano tutti straordinariamente
amabili e andavano in estasi per Morgan. Era una genuina tenerezzaun'ammirazione spontaneaegualmente manifesta
in ognuno di loro. Arrivavano a esaltarne la bellezzache era poca cosaead averne cura neanche fosse stato fatto di
porcellana. Di lui parlavano come di un angioletto e di un prodigioeaccennavano alla sua fragile salute assumendo
espressioni vaghe e preoccupate. Pemberton temette sulle prime chel'eccentricità potesse fargli odiare il ragazzoma
ancor prima che ciò accadesse era diventato eccentrico lui stesso. Più inlàuna volta scoperto di avere una certa
tendenza a odiare gli altrifu per lui un invito alla pazienza il fatto chetutti fossero carini almeno con Morganal punto
da camminare in punta di piedi per la casa se avevano l'impressione che ilbambino mostrasse dei disturbio da
rinunciare persino al «giorno» di qualcuno per fargli piacere. Associato atutte queste cose c'era anche lo stranissimo
desiderio di renderlo autonomoquasi non si sentissero sufficientementedegni di lui. Spesso e volentieri lo scaricavano
ai nuovi membri della loro cerchiacome per voler forzare una sorta dicarità adottiva su di un soggetto così libero e
affrancarsi da una parte della propria responsabilità. Furono quindicontenti di vedere che Morgan si stava attaccando al
suo gentile compagno di giochie non seppero trovare migliore encòmio peril giovane. Era strano come se la cavavano
a conciliare le apparenzevale a dire il fatto essenziale dell'adorazioneper il bambinocon l'ansia di lavarsene le mani.
Che volessero liberarsi di lui prima che Pemberton li scoprisse? Pembertonin realtàli andava scoprendo mese dopo
mese. L'affettuosa famiglia del ragazzocomunque fossevoltava le spallecon delicatezza esageratacome per evitare
che le si rimproverasse d'interferire. Proprio grazie a loro Pembertonscoprì quanto poco Morgan avesse un comune con
il resto della famiglia; e loroperaltrolo ammisero in completa umiltàtant'è che Pemberton fu indotto a speculare sui
misteri e sui percorsi remoti dell'ereditarietà. Da dove venisse il suodistacco dalla maggior parte delle cose che essi
rappresentavanoera qualcosa di più di quanto un osservatore potesse direqualcosa che si rintanava sotto il peso di due
o tre generazioni.
Quanto alla personale valutazione di Pemberton circa il suo allievoce nevolle prima che si formasse
un'autentica opinionetanto poco era stato preparato dall'esperienza con unaserie di piccoli selvaggi presuntuosiquali
si erano rivelati tutti i ragazzi fino ad allora affidati al suoinsegnamento. Morgan era incostante e imprevedibile
carente in molte delle qualità ritenute comuni per il genus eabbondante di altre ch'erano prerogative soltanto di
un'intelligenza sovrannaturale. Un giorno Pemberton compì un passoimportante: e di lì gli fu chiaro una volta per tutte
che Morgan era di un'intelligenza sovrannaturale e cheper quanto laformula fosse temporaneamente riduttivaquesta
sarebbe stata la sola premessa sulla quale si poteva trattare con lui consuccesso. Disponeva delle doti comuni a chi non
aveva avuto la vita appiattita dalla scuoladi una sorta di sensibilitàcasalingaforse dannosa per lui stessoma
affascinante per gli altrie di un'intera gamma di finezze e di percezioni -leggere vibrazioni musicali insinuanti come
tanti motivetti orecchiabili - generate dal suo vagabondare per l'Europa alseguito della sua tribù errante. Certo non
poteva trattarsi di un tipo di educazione raccomandabile in linea diprincipioeppure i suoi risultati con un soggetto
talmente speciale erano non meno apprezzabili de marchi o su di un pezzo diporcellana fine. V'era al tempo stesso in
lui una tenue vena di stoicismoindubbiamente il frutto dell'aver dovutocominciare presto a sopportare il male
stoicismo che passava per coraggio e rendeva meno importante il fatto che ascuolaprobabilmenteavrebbe potuto
essere considerato alla stregua di un mostriciattolo poliglotta. A dire ilveroPemberton si scoprì quasi subito a
rallegrarsi che la scuola fosse fuori discussione: su di un milione dibambini andava forse bene per tutti tranne che per
unoe Morgan era quest'uno. La scuola lo avrebbe reso competitivo e loavrebbe fatto sentire superiorecon il rischio di
trasformarlo in uno di quei ragazzetti che meritano d'essere presi a calci.Pemberton avrebbe tentato di far lui da scuola -
un seminario più grande di quello che potevano rappresentare cinquecentosomari al pascolo - in maniera tale chesenza
dover concorrere a premiil ragazzo potesse rimanere ingenuo eirresponsabile e divertente; divertente perchésebbene
la vita fosse già intensa nella sua natura di bambinoMorgan godeva ancoradi tanta freschezza da stimolargli un forte
gusto del giocoche prosperava felicemente persino nell'opaco contesto dellesue varie manchevolezze. Era un pallido
smuntoperspicaceimmaturopiccolo cosmopolitache prediligeva laginnastica intellettuale e cheper quanto
riguardava i comportamenti umaniaveva osservato più cose di quanto non sipotesse supporrema chenondimeno
disponeva della sua personale palestra di superstizionidove faceva a pezziuna dozzina di giocattoli al giorno.
III
A Nizza una voltaverso seramentre i due si riposavano seduti all'ariaaperta dopo una passeggiataintenti a
guardare all'orizzonte sul mare le luci rosate del tramontoMorgan chiese abruciapelo al suo compagno: «Sentite
veramente vi piace... vivere con tutti noi in modo così stretto?»
«Ragazzo mio caroe perché dovrei starci se non mi piacesse?»
«Come sapete che ci rimarrete? Sono quasi certo che non durerete a lungo.»
«Mi auguro che tu non intenda licenziarmi» disse Pemberton.
Morgan ebbe un attimo di riflessionecon lo sguardo fisso al crepuscolo.«Penso che farei bene a farlo.»
19«Behso che mio compito sarebbe quello di educarti alla virtù; mainquesto casolascia perdere ciò che
sarebbe bene.»
«Siete molto giovane... per fortuna» proseguì Morganrivolgendosinuovamente al maestro.
«Oh sìse paragonato a te!»
«Il che vuol dire che non sarà così grave se perderete un mucchio ditempo.»
«Eccomettiamola così allora» osservò Pemberton in tono conciliante.
Rimasero in silenzio per un minuto; e fu il bambino a riprendere il discorso:«Davvero vi piacciono il babbo e
la mamma?»
«Certo che sì. Persone deliziose...»
Morgan accolse queste parole con un ulteriore silenzio; dopo di cheinaspettatamentefamiliarmentema al
tempo stesso con tono affettuosocommentò: «Siete proprio unbell'imbroglione!»
Per qualche particolare motivo quelle parole fecero cambiar di colore alvolto del nostro giovane. Il ragazzo si
accorse all'istante che l'altro era diventato rossoragione per cui arrossìa sua voltae allievo e maestro si scambiarono
un prolungato sguardo dentro al quale c'era tutta la consapevolezza di assaipiù cose di quelle che abitualmentee sia
pure tacitamentevenivano sfiorate in quel genere di rapporto. Per Pembertonciò fu motivo d'imbarazzo; gli sorgeva
dentro infattisotto forma ancora molto oscuraun problema - l'episodio inquestione ne rappresentava il primo accenno
- destinato a svolgere un ruolo singolare e gli sembròdate le condizioniparticolarmente originalisenza precedenti nel
suo rapporto con il giovane compagno. In seguitoquando si scoprì a parlarecon il ragazzo come si sarebbe potuto
parlare con ben pochi altri ragazzi della sua etàgli capitò di ripensarea quel momento d'imbarazzo sulla panchina a
Nizza come all'alba di un'intesa da quel momento era andata vieppiùapprofondendosi. Ad aumentare l'imbarazzo di
quella circostanzaera da aggiungere il fatto che Pemberton aveva ritenutosuo dovere dichiarare a Morgan che poteva
come e quando gli piacevainsultare luiPembertonma che altrettanto nonl'autorizzava a fare con i suoi genitori. Al
che Morgan poté agevolmente replicare che mai si era sognato di parlare maledi loro; e questa dichiarazioneavendo
tutta l'aria di essere veritieramise Pemberton dalla parte del torto.
«Alloraperché sarei un imbroglione se dico che li trovo deliziosi?»chiese il giovane precettoreconsapevole
di una certa inopportunità.
«Beh... dopo tutto non sono i vostri genitori.»
«Entrambi ti vogliono bene più che a qualsiasi altra cosa al mondo...questo non dimenticarlo» disse
Pemberton.
«Ed è per questo che vi piacciono tanto?»
«Sono molto gentili con me» replicò Pemberton con fare evasivo.
«Siete proprio un imbroglione!» rise Morganinfilando un braccio sottoquello del maestro; poi gli si appoggiò
contro la spalla guardando di nuovo in direzione del mare e dondolando lelunghe gambe sottili.
«Fai attenzionemi stai prendendo a calci negli stinchi» ammonìPembertonche rifletteva: «Al diavolo! Non
posso mica lamentarmi con il bambino!»
«C'è anche un'altra ragione» riprese Morgan smettendo di dondolare legambe.
«Un'altra ragione per cosa?»
«Oltre al fatto che non sono i vostri genitori.»
«Proprio non ti capisco» disse Pemberton.
«Non importafra non molto capirete!»
Effettivamente Pemberton capì alla perfezione molto prestoma sostenne unalotta persino con se stesso prima
di ammetterlo. Pensava che non poteva esserci nulla di più insensato almondo se non una disputa in merito con il
bambino. E si domandava se addirittura non stava odiando il piccolo Moreenperché alimentava quella disputa. Ma
quandodi fattola disputa iniziòogni sentimento del genere per ilrampollo gli era precluso. Morgan era un caso
specialee conoscerlo corrispondeva ad accettarlo per quei suoi terminicosì singolari. Pemberton aveva esaurito la sua
avversione per i casi speciali prima di pervenire a quella consapevolezza. Equando alla fine vi giunseil suo imbarazzo
fu totale: contro ogni personale interesse s'era affezionato al ragazzo. Nonrestava che affrontare insieme gli eventi.
Prima di rientrare a casaquella sera a Nizzail bambino aveva dettoappendendosi al suo braccio:
«Behad ogni modovoi resisterete fino alla fine.»
«Come sarebbe a direfino alla fine?»
«Finché sarete bellamente battuto.»
«Tu ti meriteresti di essere bellamente battuto!» gridò Pembertontirandolo più vicino a sé.
IV
Un anno dopo ch'era andato a vivere con loroil signor e la signora Moreenabbandonarono la villa di Nizza
improvvisamente. Pemberton s'era abituato ai colpi di scenaavendoli vistiapplicare su considerevole scala nel corso di
due movimentati brevi viaggi: una in Svizzera la prima estatee l'altranell'inverno successivoquando tutti s'erano
precipitati a Firenze e subitodopo dieci giornitrovando quella cittàmolto meno interessante di quanto avevano
immaginatoerano rientrati in ordine sparso e in preda a una misteriosadepressione. Avevano fatto ritorno a Nizza «per
sempre»come essi stessi dichiararono; ma ciò non impedì cheuna notteumida e piovosa di maggios'infilassero in un
20vagone ferroviario di seconda classe - era impossibile prevedere in checlasse avrebbero viaggiato - dove Pemberton li
aiutò a stivare una straordinaria collezione di valige e fagotti. Laspiegazione di tale manovra fu che avevano deciso di
trascorrere l'estate «in qualche località tonificante»; ma a Parigifinirono in un angusto appartamento ammobiliato - un
quarto piano in una brutta viacon tanto di scale maleodoranti e di portieredetestabile - e passarono i successivi quattro
mesi in desolata indigenza.
La parte migliore di quel frustrante soggiorno l'ebbero il precettore e ilsuo allievoi qualiin visita agli
Invalides e a Notre Damealla Conciergerie e a tutti i museisi godetteroun centinaio di gratificanti escursioni.
Impararono a conoscere la loro Parigicosa che si rivelò utilevisto chedovettero tornarvi l'anno dopo per un soggiorno
ancor più lungole cui caratteristiche generali nella memoria di Pembertonsi mescolano oggi pietosamente e
confusamente con quelle del primo. Rivede i frusti calzoni di Morganl'eterno paio che non si accordava con la giacca e
che non faceva che scolorirsi mano a mano che il ragazzo cresceva. E rievocaquei famosi buchi nelle sue tre o quattro
paia di calze colorate.
Morgan era caro alla madrema non era mai vestito meglio di quanto fossestrettamente necessarioanche se
parzialmente - bisogna dirlo - per colpa dell'interessatoche mostravariguardo al proprio aspetto un'indifferenza degna
di un filosofo tedesco. «Ragazzo mio carostai andando in pezzi» avrebbevoluto dirgli Pemberton con scetticismo; e
probabilmente il bambino gli avrebbe replicatosquadrandolo dal basso inalto in tutta serenità: «Ragazzo mio caronon
mi pare che siate da meno! Non vorrei farvi sfigurare.» A questo puntoPemberton non avrebbe avuto nulla da
controbatteretanto quella affermazione rispondeva alla realtà. Se comunquele deficienze del proprio guardaroba
costituivano un capitolo a séciò non voleva dire che Pemberton gradisseper il suo giovane discepolo un aspetto troppo
povero. Ma in seguito si abituò all'idea: «Del restose siamo poveriperché non dovremmo sembrarlo?»; e si consolò al
pensiero che nella trascuratezza di Morgan c'era qualcosa di adulto e disignorile dopo tutto un che di diverso dalla
sciatteria del monello che gioca e sciupa ogni cosa. Era perfettamente ingrado di tracciare i diversi stadi attraverso i
qualiquanto più il figlio si limitava alla compagnia del suo precettoretanto più la signora Moreen accortamente si
asteneva dal rinnovargli gli abiti. Ella non faceva nulla se non per leapparenzelo trascurava nella misura in cui il
bambino sfuggiva all'attenzionee addiritturacome egli definivaquell'astuta politicascoraggiava ogni sua comparsa
pubblica in casa. La posizione di lei era abbastanza logica: i membri dellasua famiglia che si mostravano in pubblico si
dovevano notare.
Durante quel periodocome del resto in seguitoPemberton fu perfettamenteconsapevole dell'impressione che
lui e il suo compagno dovevano fare alla gente che li vedeva vagarelentamente per il Jardin des Plantes senza una
precisa metao seduti nelle giornate d'inverno nelle gallerie del Louvrecosì straordinariamente ironiche per dei
senzatettoche non pensassero ad altro che ai vantaggi del calorifèro.Talvolta ci scherzavano sopra: era il genere
d'ironia che rispondeva alla perfezione alla forma mentale del ragazzo. Sicompiacevano d'immaginarsi come parte della
vastaordinaria e imprevidente moltitudine di quell'enorme città e sidichiaravano fieri del loro posto in quel contesto
per la «quantità di vita» che mostrava loro e per come li rendeva conscîdi una certa fratellanza democratica. Se
Pemberton non aveva ragione di commiserare l'indigenza del suo piccolo amico- visto chedopo tuttol'affetto dei suoi
genitori non gli avrebbe mai consentito realmente di soffrire - Morgan per lomeno poteva compatire luie il risultato
finiva per essere lo stesso. Spesso gli capitava di interrogarsi su cosa lagente pensava che fossero... di aver
l'imp ressione che gli altri li guardassero con sospettoneanche sitrattasse di un dubbio caso di sequestro di minore.
Certo Morgan non correva il rischio di essere scambiato per un giovanepatrizio in compagnia del suo precettorenon
era abbastanza elegante; e passava piuttosto per il fratellino malaticcio diPemberton. Di tanto in tanto disponeva di una
moneta da cinque franchie tranne una voltaquando si comprarono un paio dicravatteuna delle quali Pemberton fu
costretto ad accettareinvestivano saggiamente quel denaro in libri usati.Era sicuramente un gran giorno quello
interamente speso sui quaisa rovistare tra le bancarelle polveroseche adornavano i parapetti. Occasioni del genere li
aiutavano a vivereperché i libri che avevano si esaurirono piuttosto infretta dopo l'inizio della loro conoscenza.
Pemberton ne aveva un certo numero di buoni in Inghilterrama fu obbligato ascrivere a un amico e a chiedergli che
gentilmente trovasse un conoscente disposto a prenderseli in cambio diqualcosa.
Se quell'estate dovettero rinunciare ai vantaggi di un clima tonificanteilgiovane non poté fare a meno di
sospettare che la coppa si era rovesciataquando ormai era a portata delleloro labbrasotto l'effetto di una sua violenta
gomitata. S'era trattato della sua prima esibizionecome lui stesso ladefinìdi fronte ai suoi protettori; il suo primo
tentativo riuscito - per quanto poi il successo si limitasse appunto altentativo in sé - di indurli a considerare la sua
impossibile posizione. Poiché era la vigilia di un viaggio apparentementedispendioso la circostanza parve a Pemberton
favorevole per una seria protestaper presentare un ultimatum. Potràsembrare ridicoloeppure non era mai stato in
grado di mettere a segno un colloquio privato con la coppia Moreeno con unodei due singolarmentesenza essere
interrotto. Erano sempre in compagnia di uno dei figli maggiorie il poveroPemberton aveva abitualmente il suo
piccolo allievo alle costole. Pemberton si rendeva conto che quella era unacasa in cui la superficie di una personale
discrezione tendeva alquanto a intorbidirsi; ciò nonostante aveva fatto ditutto per risparmiare ai suoi ingenui scrupoli la
pena di dichiarare pubblicamente al signor e alla signora Moreen che nonpoteva più tirare avanti senza un po' di
denaro. Era ancora abbastanza ingenuo da supporre che Ulick e Paula e Amypotessero non essere al corrente del fatto
che dal giorno del suo arrivo aveva ricevuto soltanto centoquaranta franchi;ed era abbastanza magnanimo da rifiutare
l'idea di compromettere i genitori ai loro occhi. Ora il signor Moreen lostava ad ascoltarecome ascoltava tutti e tutto
da uomo di mondoe sembrava supplicarlo - benchéovviamentein manieranon troppo grossolana - perché si
sforzasse di non essere da meno. Pemberton ammetteva l'importanza di queltipo di comportamento... non fosse altro
21che per il vantaggio che ne derivava al signor Moreenil quale non era néconfuso né imbarazzatoladdove il giovane ai
suoi servizi lo era più di quanto non ve ne fosse ragione. Né si può direche il signor Moreen apparisse sorpresoper lo
meno non più di quanto ha da esserlo un gentiluomo che si confessidisinvoltamente appena turbatoe comunqueforse
non strettamente sorpreso di Pemberton.
«Bisogna che ce ne occupiamonon è verocara?» disse rivolto allamoglie. Garantì al giovane amico che la
questione sarebbe stata trattata con la massima attenzione; e si dileguò conun gesto evasivocome chialla portaè
costretto ad accettare una non voluta ma inevitabile precedenza. Quandosubito dopoPemberton si trovò solo con la
signora Moreenfu per sentirla dire «Capiscocapisco...»mentre silisciava le rotondità del mento con lo sguardo di chi
sta soltanto esitando fra una dozzina di facili rimedi. Non presero alcunadecisionema se non altro il signor Moreen
scomparve per diversi giorni. Durante la sua assenzala moglie tornòspontaneamente sull'argomentoma il suo
contributo si limitò meramente alla constatazione che le cose procedevanofra loro in modo meraviglioso. La replica di
Pemberton a questa rivelazionefu che se non avesse immediatamente ricevutoun acconto li avrebbe piantati in asso e
per sempre. Sapeva che lei avrebbe potuto chiedergli come avrebbe fatto adandarsenee per un momento si attese
quella obiezione. Ma lei si astenne dall'indagarecosa per cui Pemberton lefu quasi riconoscentetanto difficile gli
sarebbe stato rispondere.
«Non lo faretesapete bene che non lo farete... siete troppointeressato» disse la signora Moreen. «Il ragazzo
v'interessalo sapete benemio caro gentil giovane!» Rise di una maliziaquasi accusatoriaa mo' di rimprovero... ma si
guardò dall'insistere; e gli agitò un fazzoletto sudicio davanti agliocchi.
Pemberton s'era mentalmente preparato a fare il passo definitivo la settimanaseguente. Avrebbe così avuto il
tempo di attendere una risposta a una lettera inviata in Inghilterra. Se allascadenza non fece nulla del genere - se rimase
quindi per un altro anno e poi si allontanò soltanto per tre mesi - non fusemplicemente perchéprima di ricevere
risposta alla lettera (rispostaperaltrodel tutto insoddisfacente)ilsignor Moreen generosamente gli contòe una volta
di più con l'aria di sacrificarsi alla «forma» del distinto uomo di mondola somma di trecento franchi in nobile oro
sonante. Con una certa irritazione prese atto che la signora Moreen avevaragioneche non potevaanche se messo alle
stretteabbandonare il ragazzo. La conclusione gli risultò ancora piùchiara per l'autentica ragione chela sera del
disperato appello ai suoi protettoriaveva realizzato pienamente per laprima volta con chi aveva a che fare. Non era
un'ulteriore dimostrazione del successo con cui i suoi protettori praticavanole loro artiil fatto che fossero riusciti a
sviare per tanto tempo il lampo rivelatore? Ed ora il lampo si era rivelatocalando sul nostro amico con un effetto che
forse avrebbe impressionato per la sua comicità uno spettatoresulla scenadi Pemberton che rientrava nella sua
stanzetta di servizioche si affacciava su un cortile chiuso; di fronte unmurospoglio e squallidoricevevaassieme
all'eco di striduli acciottoliiil riflesso delle finestre posterioriilluminate. Semplicementesi era consegnato anima e
corpo a una banda di avventurieri. L'ideala parola stessarivestiva perlui una specie di romantico orroreper lui ch'era
sempre vissuto su basi talmente sicure. In seguitola cosa assunse un sensopiù interessantequasi lenitivo: ne scaturì
una moralee Pemberton ebbe una morale di cui godere. I Moreen eranoavventurieri non esclusivamente in ragione del
fatto che non pagavano i debitiche vivevano alle spalle della societàbensì perché l'intera visione che avevano della
vitaambigua e confusa e istintivaanaloga a quella di animali scaltri maincapaci di distinguere i coloriera parassitaria
e ingorda e meschina. Ohcertoerano «rispettabili»il che non facevache renderli ancora più immondes! L'analisi del
giovanea furia di rimuginarcialla fine gli mostrò la realtà in tuttachiarezza: erano degli avventurieri perché
profittatorie per di più snob. Non v'era altro modo per definirli: quellaera la loro regola di vita. Anche quando la verità
si presentò in tutto il suo significato al loro perspicace coinquilinocostui continuò a non cogliere quanto la sua mente
vi fosse stata preparata dallo straordinario ragazzoche rappresentava ormaiuna così intricata complicazione nella sua
vita. E ancor meno poteva allora calcolare la somma di informazioni dellequali sarebbe stato in seguito debitore verso
lo straordinario ragazzo.
V
Ma fu durante i mesi successivi che si presentò il vero problemailproblema di sapere fino a che punto si
legittimasse il fatto di discutere della scorrettezza dei genitori con unragazzo di dodici o tredici anni. La cosa a prima
vista gli apparve ovviamente assolutamente inammissibile e del tuttoimpossibile; senza dire che per qualche tempouna
volta che Pemberton ebbe ricevuto i trecento franchila questione non fu poicosì urgente. Quell'acconto aveva sortito
l'effetto di un temporaneo rimediodi un sollievo alla più pressantenecessità. Il giovane sistemò alla meglio il proprio
guardaroba e poté addirittura permettersi qualche franco in tasca. Temetteche i Moreen lo trovassero persino troppo
elegantequasi che fosse loro compito quello di sorvegliare che il giovanenon fosse viziato. Se il signor Moreen non
fosse stato l'uomo di mondo che si sapevanon è escluso che gli avrebbeparlato del fatto che un subordinato si
permettesse certe cravatte. Ma il signor Moreen - e di questocertamenteaveva già dato prova - era pur sempre
abbastanza uomo di mondo da lasciar correre. Fu singolare come Pembertonimmaginò che Morganpur non facendone
parolasapesse che qualcosa era accaduto. Ma trecento franchispecialmentequando ci sono dei debiti di mezzonon
possono durare all'infinito; e quando il tesoro arrivò ad esaurimento -anche di questo s'accorse il ragazzo - fu proprio
Morgan a rompere il ghiaccio. La comitiva era rientrata a Nizza all'iniziodell'invernoma non nella deliziosa villa.
Scesero ad un albergodove rimasero per tre mesiper poi trasferirsi in unaltrosostenendo di aver lasciato il primo
perchédopo aver atteso a lungonon era riuscito loro di avere il tipo dicamere desiderate. Gli appartamentiil tipo di
22camere che i Moreen desideravanoerano di gran lusso; per fortunaperònon le ottenevano mai... per fortunaintendo
diredi Pembertonil quale rifletteva sempre che nel caso le avesseroottenute avrebbero ridotto i già scarsi fondi
destinati all'educazione. Ciò che Morgan finì per dire all'improvvisosenza darci troppo pesoquando venne il
momentonel bel mezzo di una lezionefurono poche parole pronunciate intono di apparente noncuranza: «Credo che
dovreste filersapete... dovreste proprio.»
Pemberton sgranò gli occhi. Aveva appreso abbastanza gergo francese daMorgan per sapere che filer voleva
dire tagliare la corda. «Ahragazzo mionon vorrai licenziarmi!»
Morgan tirò a sé un vocabolario di greco - usava un greco-tedesco - percercare una parola anziché domandarla
a Pemberton. «Sapete bene che così non potete andare avanti.»
«Così comeamico mio?»
«Cosìsenza che vi paghino» disse Morganarrossendo in volto esfogliando il suo volume.
«Senza che mi paghino?» Pemberton sgranò di nuovo gli occhi e finsestupore. «Che diavolo ti sei messo in
testa?»
«È da un pezzo che lo so» replicò il ragazzo senza smettere di frugarefra le pagine del vocabolario.
Pemberton stette in silenzio un attimopoi riprese: «Si può sapere cosavai cercando? Mi pagano
profumatamente.»
«Sto cercando come si dice in greco bugia solenne» lasciò cadere Morgan.
«Cerca piuttosto come si dice volgare impertinenzae vedi di ravvederti.Che vuoi che me ne faccia del
denaro?»
«Ohse la mettiamo così è un'altra questione!»
Pemberton rimase perplessocercando una via d'uscita. A rigor di logicalacosa più corretta da farsi era
rammentare al ragazzo che quelli non erano affari suoi e ordinargli dicontinuare con il suo compito. Ma il loro grado di
intimità escludeva una soluzione del genere; non era in quel modo che eraabituato a trattare il ragazzo: non ve n'era mai
stata ragione. D'altro cantoMorgan non aveva fatto che dire la veritàunaverità che per quanto temp o ancora avrebbe
potuto nascondergli? E alloraperché evitare che venisse a conoscenza delreale motivo per cui l'avrebbe abbandonato?
Al tempo stessogli sembrava sconveniente parlar male della famiglia del suoallievo con l'allievo stesso; non rimaneva
che tergiversare. Cosìin risposta all'ultima esclamazione del suocompagnoPembertonper chiudere l'argomento
dichiarò d'aver ricevuto vari pagamenti.
«Questa poi... è davvero bella!» esclamò il ragazzo.
«E adesso basta! Va tutto benissimo» insisté Pemberton. «Consegnami latua traduzione.»
Morgan spinse un quaderno attraverso il tavoloe Pemberton cominciò aleggere la paginama con qualcosa
che gli frullava per la testa e gli impediva di coglierne il senso.Sollevando lo sguardodopo un paio di minutiincrociò
gli occhi del bambino fissi su di lui e vi colse un che di strano. Poi Morgandisse: «Non mi spaventa la dura verità.»
«Ho ancora da vederla la cosa che ti spaventa... di questo devo dartiatto!»
Queste parole balzarono inaspettate dalla bocca di Pemberton - peraltrorispondevano a verità - e fu chiaro che
non dispiacquero a Morgan.
«È un bel po' che ci sto pensando» subito precisò.
«D'accordoma non pensarci più.»
Il ragazzo parve accondiscenderee i due trascorsero insieme un'orapiacevole e persino divertente. Vantavano
la pretesa di essere molto coscienziosi sul lavoroeppure sembrava sempreche si trovassero nei momenti divertenti
delle loro lezioninegli intervalli tra le noiose e buie galleriecon tantodi passaggi laterali e amene vedute. Tuttavia la
mattinata si concluse in maniera violentacon Morgan che ad un trattoraccolse le braccia sul tavolovi ci nascose il
viso e scoppiò in lacrime: tanto più grande fu l'emozione di Pembertonnelmomento in cui se ne accorsein quanto era
quella la prima volta che vedeva il ragazzo piangeree l'impressione che glifece fu davvero terribile.
Il giorno dopoe facendo seguito a molte riflessioniPemberton prese unadecisione checredendola giusta
attuò immediatamente. Mise di nuovo alle strette i signori Moreen e intimòloro chese non l'avessero pagato sui due
piedi per tutto quello che gli dovevanonon soltanto avrebbe abbandonato lacasa ma avrebbe altresì riferito esattamente
a Morgan cosa lo costringeva a quel passo.
«Ma non gliene avete già parlato?» esclamò la signora Moreen portandosila mano al seno ben sostenuto in un
gesto pacificante.
«Senza avvisarvi? Per cosa mi avete preso?» ribatté il giovane.
Il signor e le signora Moreen si guardarono l'un l'altra; Pemberton poténotare che apprezzavanocome un
tributo al loro senso di sicurezzala sua discrezionema anche che il lorosollievo era velato da una certa apprensione.
«Mio caro amico» chiese il signor Moreen«cosa volete farne di tantodenarocon la vita tranquilla che tutti noi
conduciamo?»... al che Pemberton non diede rispostaoccupato com'era adecifrare al di là delle parole la vera
intenzione dei suoi protettoriintenzione che si sarebbe espressa più omeno così: «Ma allorase abbiamo avuto
l'impressione che il bambinoil nostro angiolettoci abbia giudicati e ciguardi in malo modovisto che non siamo stati
traditiciò vuol dire che deve aver intuito da solo... e che quindi la cosaè ormai di dominio pubblico!» Un'implicazione
simile doveva visibilmente turbare il signor e la signora Moreencomeperaltro Pemberton aveva desiderato che fosse.
Al tempo stessose si era illuso che la sua minaccia potesse in qualche modoindurli a più miti consiglidovette
rassegnarsi a constatare che davano ormai per scontato - la loro intuizionenon avrebbe potuto esser più volgare! -
d'essere già stati traditi. C'era una specie di religiosa trepidazione nelloro cuore di genitorie quel sospetto non ne era
23stato che l'indizio più infimo. Non di menocomunquela sua minacciadovette allarmarli; perché erano scampati a un
pericoloma solo per ricadere in un altro. Il signor Moreen s'appellò aPembertontanto per non smentirsida uomo di
mondo; la moglie invece era ricorsaper la prima volta da quando il giovaneprecettore era entrato nella loro famigliaa
una raffinata hauteurrammentandogli che una madre devotarispettoal proprio figliodispone di arti capaci di tenerla
al riparo da eventuali grossolane falsificazioni della verità.
«Sarei io a falsificare grossolanamente la verità se vi accusassi di comuneonestà!» replicò il nostro amico; ma
mentre sbatteva violentemente la porta dietro di sépensando di non avermigliorato affatto la propria posizionee
mentre il signor Moreen si accendeva un'altra sigarettasentì la padrona dicasa gridargli dietro pateticamente:
«È proprio quello che state facendo... metterci il coltello alla gola!»
Il mattino seguentedi buon'orala signora si presentò in camera sua.Pemberton riconobbe il suo modo di
bussare alla portama non si aspettava che lei gli portasse del denaro;quanto a questo si sbagliavadal momento che la
signora Moreen aveva realmente in mano cinquanta franchi. Si intrufolòavvolta nella sua vestaglia da camerae lui la
ricevette nella stessa tenutafra la vasca da bagno e il letto. Pembertonera ormai discretamente avvezzo ai «modi
forestieri» dei suoi padroni di casa. La signora Moreen era impetuosaequando era impetuosa non badava molto a quel
che faceva; si sedette quindi sul lettocon tutti i vestiti di lui sparsisulle sedieeagitata com'eradimenticò
guardandosi intornodi vergognarsi per avergli assegnato una stanza tantoorrenda. Ora tutto l'ardore della donna era
rivolto allo scopo di persuaderlo che innanzi tutto lei era davvero magnanimaa venirgli a portare i cinquanta franchie
chein secondo luogovolendo rifletterci sopranon poteva non coglierel'assurdità della sua pretesa di essere pagato.
Non era forse pagato abbastanza anche senza denaro corrente... non era forsepagato con la casa confortevole e lussuosa
di cui godeva assieme a tutti lorosenz'alcuna preoccupazionesenza unasola necessità? Non disponeva forse di una
posizione sicurae questo non rappresentava tutto per un giovane come luitotalmente sconosciutodotato di poche
qualità da esibiree la base delle cui esorbitanti pretese non era poicosì evidente? Esopra ogni altra cosanon era forse
pagato dal tenero rapporto che aveva stabilito con Morgan - sicuramenteidealetrattandosi di precettore e allievo - e dal
semplice privilegio di conoscere e di vivere con un ragazzo cosìsorprendentemente dotato? Un ragazzo la cui
compagnia (e intendeva alla lettera ciò che diceva) non aveva equivalenti inEuropa? Anche la signora Moreen finì
dunque con l'appellarsi a lui da uomo di mondo; disse «Voyonsmon cher»e «Amico mio carovediamo d'intenderci»;
e lo sollecitò a essere ragionevolesostenendo che si trattava per lui diun'autentica occasione. Parlò insomma come se
nella misura in cui fosse stato ragionevoleavrebbe veramentedimostrato di essere degno dell'incarico di precettore di
suo figliononché della straordinaria fiducia che tutti loro avevanoriposto in lui.
Dopo tuttorifletté Pembertonera soltanto una differenza teorica e lateoria non aveva in questo caso grande
importanza. Fino ad allora avevano accettato quella della prestazioneremuneratae adesso invocavano quella della
prestazione gratuita; ma perché sprecare tante parole? La signora Moreen adogni modo continuava a essere persuasiva;
seduta con i suoi cinquanta franchi in mano parlava e si ripeteva come sannoripetersi le donnee l'annoiava e l'irritava
mentre Pemberton se ne stava appoggiato contro la paretecon le maniinfilate nelle tasche della vestaglia
trattenendone i lembi inferiori con le gambe e guardando oltre la testa dellasua visitatrice verso le grige negazioni della
finestra. Fu lei a tentare l'ultima parola: «Come vedetevi porto unaproposta concreta.»
«Una proposta concreta?»
«Per rendere i nostri rapporti regolaridiciamo... per fondarli su unasolida base.»
«Capisco... è un metodo come un altro» disse Pemberton. «Una specie diricatto organizzato.»
La signora Moreen ebbe un sobbalzoproprio come Pemberton voleva. «Cosavolete dire con questo?»
«Che speculate sui timori altrui... sulla mia paura di ciò che potrebbeaccadere al ragazzo se me ne andassi.»
«Edi graziache ne sarebbe mai di lui in tal caso?» domandòmaestosamente la signora Moreen.
«Diciamo... che rimarrebbe da solo con voi.»
«Edi graziacon chi dovrebbe stare un ragazzo se non con le persone chepiù ama al mondo?»
«Se ne siete così convintaperché non mi licenziate?»
«Avreste forse la pretesa di dire che ama più voi che noi?» sbottòla signora Moreen.
«Penso che ne avrebbe tutti i diritti. Io faccio dei sacrifici per lui. Eper quanto abbia sentito parlare di quelli
che fate voiio non li vedo.»
La signora Moreen stette a squadrarlo per un istante; poi con viva emozioneafferrò la mano dell'ospite.
«Allora lo farete... il sacrificio?»
Pemberton scoppiò in una risata. «Capisco. Farò quello che potrò.Rimarrò ancora qualche tempo. Il vostro
calcolo è esatto: detesto anche solo l'idea di rinunciare a lui; gli sonoaffezionatoil ragazzo m'interessa moltomalgrado
il danno che me ne viene. Sapete perfettamente qual è la mia situazione. Nonposseggo un centesimo eoccupato come
mi potete vedere con Morgannon ho altre possibilità di guadagno.»
La signora Moreen batté la banconota piegata sul braccio nudo. «Nonpotreste scrivere qualche articolo? O fare
delle traduzionicome me?»
«Quanto alle traduzioni ho i miei dubbi; sono pagate una miseria.»
«Io m'accontento di guadagnare quello che posso» disse la signora Moreencon prodigiosa virtù.
«Dovreste dirmi per chi lavorate.» Pemberton s'interruppe un attimoma dalei non venne risposta; e allora lui
aggiunse: «Ho cercato di piazzare qualcuno dei miei scarabocchima leriviste non ne vogliono sapere ... rifiutano
cortesemente e ringraziano.»
24«Vedete dunque che non siete poi quest'araba fenice» sorrisemaliziosamente la donna... «da vantare capacità
che stareste sacrificando a nostro profitto.»
«La verità è che non ho il tempo per fare le cose a dovere» replicò ilgiovane in tono lamentevole. Poi
rendendosi conto di essere oltremodo generoso a dare tante spiegazioniaggiunse: «Se decido di rimanere ancora un po'
sarà solo a una condizione: che Morgan venga chiaramente messo al correntedi quali sono i termini della mia
permanenza.»
La signora Moreen avanzò un'obiezione. «Non mi direte che volete metterviin mostra di fronte a un ragazzo?»
«Mettere voi in mostravolete dire?»
La donna esitò di nuovoma questa volta per avere il tempo di partorire unaperla ancor più pregiata. «E siete
voi a parlare di ricatto!»
«Voi potete impedirmelo» disse Pemberton.
«E voi mi venite a parlare di speculazioni sulle paure altrui!»incalzò lei coraggiosamente.
«Sìindubbiamente sono un gran farabutto.»
La padrona di casa incrociò il suo sguardo... era chiaro che si trovava allestrette. Fu allora che cacciò fuori il
denaro e glielo porse. «Il signor Moreen mi ha pregato di consegnarvi questodenaro in conto.»
«Sono molto obbligato al signor Moreenma noi non abbiamo alcunconto.»
«Non l'accettate?»
«Così rimango più libero» disse Pemberton.
«Di avvelenare la coscienza del mio tesoro?» brontolò la signora Moreen.
«Ohla coscienza del vostro tesoro...»rise il giovane.
Lei lo fissò per un istantee Pemberton credette che la donna stesse persbottareimplorando fuori di sé: «Per
carità di Dioditemi cosa c'è dietro!» Ma riuscì a dominarequell'impulso... ce n'era un altro più forte. Intascò il denaro -
l'ineluttabilità dell'alternativa era quanto meno comica - e si precipitòfuori dalla stanza concedendo disperatamente:
«Raccontategli pure tutti gli orrori che volete!»
VI
Un paio di giorni dopodurante i quali non si curò di profittare dellatanto generosa licenza concessagli
Pemberton se ne stava passeggiando in silenzio già da un quarto d'ora con ilsuo giovane allievoquando questi si fece
di nuovo loquace con la seguente osservazione: «Vi dirò come l'ho saputo;è stato grazie a Zénobie.»
«Zénobie? Chi diavolo è mai costei?»
«Una governante che avevo... tantissimi anni fa. Una donna deliziosa. Levolevo un sacco di benee lei a me.»
«Non siamo qui per discutere di affetti. Cos'hai saputo grazie a lei?»
«Le idee che loro hanno in proposito. Se ne andò perché loro noncacciavano fuori i quattrini. Per il gran bene
che mi volevaresistette due anni. Poi mi raccontò tutto... che alla finenon avrebbe mai ottenuto i compensi che le
spettavano. Non appena si accorsero di quanto s'era affezionata a me smiseroimmediatamente di pagarla. Pensavano
che sarebbe rimasta per niente: giusto per questo... capitenon èvero?» E Morgan accompagnò queste parole con
un'occhiatina bizzarrasignificativaluminosa. «Rimase persino troppotempo... finché poté. In fondo era una povera
ragazzadi quelle che mandano regolarmente i quattrini alla madre. Alla finenon ce la fece piùe se ne andò una sera in
un impeto d'ira... contro di lorovoglio dire. Pianse per me finoallo straziomi abbracciò così forte che per poco mi
soffocava. E mi raccontò tutta la faccenda» ripeté il ragazzo. «Mi dissecome la pensavano loro. Ed è per questoe da
un pezzo ormaiche ho indovinato che avrebbero fatto lo stesso con voi.»
«Zénobie era molto sveglia» disse Pemberton. «E ha svegliato anche te.»
«Ohin questo Zénobie non c'entra; è stata la natura. E l'esperienza!»rise Morgan.
«Behdiciamo che Zénobie è stata parte della tua esperienza.»
«Sicuramente io sono stato parte della suapovera cara!» sospirògiudiziosamente il ragazzo. «Così come sono
parte della vostra.»
«Una parte molto importante. Ma non capisco come tu possa concludere che mihanno trattato come lei.»
«Mi prendete forse per il più grande somaro che abbiate mai conosciuto?»chiese Morgan. «Forse che finora
non sono stato consapevole di tutto ciò che abbiamo passato insieme?»
«E cosa abbiamo passato insieme?»
«Le nostre privazioni... i nostri giorni neri.»
«Ohio direi che abbiamo avuto giorni abbastanza luminosi.»
Morgan si raccolse in silenzio per un istante. Poi riprese: «Vecchio miosiete un eroe!»
«Tu pureallora!» ricambiò Pemberton.
«Noio noma certo non sono un lattante. Non sono più disposto acontinuare così. Dovete trovarvi
un'occupazione che vi renda. Io ho vergognaho vergogna!» tremò il ragazzocon accento di passionesimile a una nota
alta e argentea di un piccolo corista da cattedraleche commosseprofondamente l'amico.
«Dovremmo andarcene a vivere insieme altrove» disse il giovane.
«Verrei via come un fulmine se mi prendeste con voi.»
«Dovrei trovare un lavoro che permettesse a tutti e due di campare»continuò Pemberton.
25«Anch'io. Perché io non dovrei lavorare? Non sono mica un piccolo scimunitoviziato.»
«La difficoltà consiste nel fatto che i tuoi genitori non ne vorrebberoneppure sentir parlare. Non si
separerebbero mai da te; adorano la terra su cui cammini. Non ti sembra chetutta questa storia ne sia la prova?» tentò di
spiegare Pemberton. «In fondo io piaccio a loro; e loro non mi vogliono delmale; sono persone decisamente amabili
ma nondimeno pronte a espormi a tutte le difficoltà di questa vita per amortuo.»
Il silenzio con cui Morgan accolse la sua affettuosa dialettica venneinterpretato da Pemberton come molto
espressivo. Dopo qualche istante il ragazzo ripeté: «Siete davvero uneroe!» E poi aggiunse: «Mi lasciano sempre con
voi. Siete voi che avete la responsabilità per intero. Mi affidano a voidalla mattina alla sera. Perché allora dovrebbero
avere qualcosa da obiettare se io venissi via con voi? Potrei aiutarvi.»
«Non credo che sarebbero particolarmente entusiasti all'idea che io possavenire aiutatosenza dire di come si
deliziano al pensiero che tu sia uno di loro. Sono tremendamenteorgogliosi di te.»
«Ma non io di loro. E questo lo sapete bene» replicò Morgan.
«Lasciando da parte la questione di cui stiamo parlandosono personesimpatiche» disse Pembertonnon
facendo caso all'accenno fatto alla sua intelligenzae stupendosi piuttostodi quella del ragazzoe specialmente di quella
rinnovata conferma di qualcosa di cui era stato consapevole sin dall'iniziovale a dire la caratteristica più strana della
grande personalità del suo piccolo amico: un temperamentouna sensibilitàaddirittura un ideale segretoche non meno
segretamente gli faceva ripudiare la stoffa di cui era fatta la sua gente.Morgan aveva nel suo intimo una contenuta
dignità che lo rendeva particolarmente acuto nell'arte di individuare ognisorta di meschinità; al tempo stessorispetto al
modo di vivere di quelli che gli stavano intornoun senso critico senzaprecedenti per una natura giovanilesoprattutto
se si osservava che quell'elemento non era tale da conferire al ragazzoun'«aria da adulto» strana o appassita o
sgradevolecome si dice dei bambini. Era come fosse stato un piccologentiluomo e ne avesse pagato lo scotto
scoprendo di essere il solo del genere in famiglia. Ma quel confronto non eraper lui occasione di presunzionee
gl'ispirava invece una vena melancolica e leggermente austera. QuandoPemberton pensava a quei sentimenti giovani e
vaghiombre di ombresi sentiva in parte attratto e in parte trattenutoquasi per scrupolodalla suggestione di
scandagliare quelle fresche e modeste sorgenti che tanto rapidamente sifacevano sempre più profonde. Quando si
sforzava d'immaginare la penombra mattutina dell'infanziacosì da trattarlacon sicurezzasi rendeva conto che non era
mai staticamai immobileche l'ignoranzanell'istante in cui la sfioravastava già tenuamente tingendosi del colore
della conoscenzache nulla esisteva che prima o poi un bambino intelligentepotesse ignorare. Sembrava a Pemberton di
saperne troppo per capire la semplicità di Morgan e troppo poco persbrogliare il suo groviglio.
Il ragazzo non prestò attenzione alla sua ultima osservazione; e invececontinuò: «Avrei parlato con loro già da
un pezzo di quella che io chiamo la loro idease non fossi stato sicuro inanticipo di quello che mi avrebbero detto.»
«E cosa mai avrebbero detto?»
«Esattamente quello che mi risposero a proposito della povera Zénobie: chesi trattava di un'ignobile
menzognache l'avevano pagata fino all'ultimo centesimo.»
«Magari lo fecero davvero» disse Pemberton.
«Certocome hanno pagato anche voi!»
«Facciamo come se fosse cosìe n'en parlons plus.»
«Accusarono Zénobie di menzogne e di truffa»... Morgan insisteva con laricostruzione storica dei fatti. «Ecco
perché non ne voglio parlare con loro.»
«Per paura che accusino anche me?»
Morgan questa volta non risposee l'amicoabbassando su di lui lo sguardo -il ragazzo distolse gli occhi
colmi di lacrime -si accorse che non poteva arrischiarsi a parlare.
«Hai ragione. Lasciali perdere» l'incoraggiò Pemberton. «A parte questosono persone deliziose.»
«Volete dire: a parte le loro menzogne e le loro mistificazioni?»
«Senti... senti!» esclamò Pembertonimitando del ragazzo un'intonazioneche già di per sé era un'imitazione.
«Insommavediamo di parlarci con franchezza; dobbiamo arrivare aun'intesa» disse Morgan con l'enfasi del
ragazzetto che si compiace di affrontare questioni importanti... come se sitrattasse di giocare al naufrago o agli indiani.
«So tutto di tutto.»
«M'immagino che tuo padre abbia le sue buone ragioni» replicò Pembertonma senza molta convinzionecosa
di cui sembrò consapevole lui stesso.
«Per mistificare e imbrogliare?»
«Per risparmiare e arrangiarsi e cavare il massimo profitto dai suoi mezzi.Ha una quantità enorme di cose da
fare con il suo denaro. È una famiglia dispendiosa la vostra.»
«Sìcerto: sono molto dispendioso io» concordò Morgan conun'espressione che fece scoppiare il suo
precettore in una risata.
«Sta risparmiando per te» disse Pemberton. «Non smettono dipensare a te qualsiasi cosa facciano.»
«Visto che c'èpotrebbe almeno risparmiare un po'...» Il ragazzos'interruppee l'amico attendeva di sentire che
cosa. Ma Morgan concluse in maniera decisamente inaspettata: «Un po' direputazione.»
«Quanto a reputazionece n'è da vendere!»
«Sìce n'è abbastanza per la gente che frequentanonon c'è dubbio. Male persone che frequentano sono
terribili.»
«Alludi ai principi? Non dobbiamo parlar male dei principi.»
26«Perché no? Non hanno sposato Paula... non hanno sposato Amy. In compensonon fanno che spellare Ulick.»
«Davvero sai ogni cosa!» si rassegnò Pemberton.
«Nodopo tutto no. Non so di che vivonoo come vivonoo perché vivono!Di che cosa dispongono e come se
lo sono procurato? Sono ricchisono poverio hanno una modeste aisance?Perché continuano a sbattermi di qua e di
là... vivendo un anno da grandi ambasciatori e l'anno dopo da miserabili?Chi sonoinsommae cosa sono? Ho pensato
a tutto questo... ho pensato un sacco di cose. Sono così insopportabilmentemondani. È la cosa che detesto di più... oh
me ne sono accorto! Tutto ciò di cui si preoccupano sono le apparenze epassare per questo o per quell'altro. Per che
diamine vogliono passaresi può sapere? Si può saperesignor Pemberton?»
«Si direbbe che t'aspetti una risposta» commentò Pembertonprendendo ladomanda come uno scherzo
eppure interrogando se stesso e grandemente stupito per l'intensaanche seimprecisavisione del suo compagno. «Non
ne ho la minima idea.»
«E a che servirebbe? Non ho forse visto il modo in cui li tratta la gente...la gente ‹per bene›le persone che
loro ci tengono tanto a frequentare? Da loro accettano qualsiasi cosa... sonopronti a buttarsi per terra e a lasciarsi
calpestare. Le persone ‹per bene› detestano questo... ne provano nausea.Voi siete l'unica persona realmente per bene
che conosciamo.»
«Ne sei certo? Non si può dire che si buttino a terra per me!»
«Meglioe voi non dovete buttarvi a terra per loro. Dovete trovare il mododi andarvene... ecco cosa dovete
fare» disse Morgan.
«E che ne sarà di te?»
«Ohio sto crescendo. Ne verrò fuori prima o poi. E ci rivedremo.»
«Faresti meglio a lasciare che sia io a rifinirti» esortò Pembertonprestandosi alla sua strana superiorità.
Morgan fermò il passoe sollevò lo sguardo verso il maestro. Dovevasollevarlo molto meno ora che non un
paio d'anni prima: era cresciutonella sua dondolante magrezzacosì lungoe così alto. «Rifinirmi?» fece eco.
«Ci sono tante cose divertenti che possiamo fare ancora insieme. Vorreiessere io a modellarti... vorrei che tu
mi facessi onore.»
Morgan continuava a guardarlo. «Farvi credito... volete dire?»
«Ragazzo miosei troppo intelligente per vivere.»
«Ecco cosa temo che pensiate. Nono; non è corretto... non lo possotollerare. Ci separeremo la prossima
settimana. Più presto si finisce e prima dormiremo tranquilli.»
«Se mi capita di sentire qualcosa... altre possibilità... prometto che mene andrò» disse Pemberton.
Morgan acconsentì a considerare questa opportunità. «Ma sarete onesto»domandò; «non mi darete a intendere
di non aver sentito nulla?»
«È molto più probabile che ti debba dare a intendere il contrario.»
«Ma cosa volete che vi capitiin questo modorintanato in un buco qui connoi? Dovreste essere sul posto
andare in Inghilterra... dovreste andare in America.»
«Si potrebbe pensare che sia tu a farmi da precettore!» disse Pemberton.
Morgan riprese a camminaree dopo un po' cominciò di nuovo: «Beneora chesapete che io sosarà meglio
che guardiamo in faccia la realtà e che non ci nascondiamo nulla... è moltopiù comodonon credete?»
«Ragazzo mioè talmente divertentecosì interessanteche sarà quasiimpossibile per me rinunciare a
occasioni come queste.»
Una volta di più Morgan fu indotto a fermarsi dalle parole del precettore.«Voi mi nascondete qualcosa. Oh
voi non siete corretto... io sì!»
«Perché non sarei corretto?»
«Perché avete una vostra idea in testa!»
«Una mia idea?»
«Sìche probabilmente io non riuscirò a far invecchiare - o a far piùvecchie - le mie ossae che voi potete
resistere finché io sarò tolto di mezzo.»
«Sei troppo intelligente per vivere!» ripeté Pemberton.
«Trovo che si tratti di un'idea spregevole» continuò Morgan. «Ma ve lafarò pagare per tutto il tempo che mi
riuscirà di tener duro.»
«Stai accorto perché potrei anche avvelenarti!» sorrise Pemberton.
«Mi sento meglio e più forte ogni anno che passa. Non avete notato che nonsi è visto il medico in casa da
quando siete arrivato voi?»
«Io sono il tuo medico» disse il giovaneprendendolo per un braccio etirandolo teneramente verso di sé.
Morgan avanzò e dopo qualche passo dette un sospiro a metà tra stanchezza esollievo. «Ahadesso che
guardiamo in faccia la realtà va tutto meglio!»
VII
Non mancarono loro parecchie occasioni di guardare in faccia la realtàdopoquel giorno; e una delle prime
conseguenze di quel loro modo di agire fu che Pemberton tenne duroper usarel'espressione del suo giovane amico
27proprio a quello scopo. Morgan rendeva gli avvenimenti talmente vividi ecuriosie al tempo stesso così crudi e brutti
che c'era un certo fascino nel fatto di parlarne con luicome del restosarebbe stato spietato lasciarlo ad affrontarli da
solo. Ora che la coppia aveva messo in comune tali e tante percezioni erainutile per loro fingere di non giudicare quella
gente; ma il fatto in se stesso di giudicare e di scambiarsi ogni percezionecreò fra i due un nuovo tipo di legame.
Morgan mai come ora era stato interessanteora che brillava per la luceriflessa di quelle confidenze. La cosa che più ne
acquistò risalto fu la passione contenuta e pura del suo orgoglio. Ilragazzo ne aveva in abbondanzae Pemberton lo
sentiva... al punto da chiedersi saggiamente se non gli avrebbe fatto benequalche precoce ferita. Avrebbe voluto che i
suoi familiari avessero un po' più di dignità e d'intelletto per rendersiconto di come non facessero che subire
perpetuamente umiliazioni. La madre dal canto suo ne avrebbe subiteall'infinitoe il padre forse ancor più della madre.
Aveva una teoria secondo cui Ulick era scampato a una «strana faccenda» aNizza: c'era stato una volta uno scompiglio
in casaun autentico panico - dopo il quale tutti si erano precipitati aletto ingoiando medicine - che non si sarebbe
potuto interpretare diversamente. Morgan aveva un'immaginazione romanticanutrita di poesia e di storiae avrebbe
voluto che coloro che «portavano il suo nome» - come era solito dire aPemberton con quell'umoris mo che rendeva
adulta la sua sensibilità bizzarra - si comportassero degnamente. Ma i lorounici pensieri erano rivolti alla
preoccupazione di frequentare gente che non voleva saperne di loro e diprendere gli affronti come se fossero state
gloriose cicatrici. Perché la gente non volesse saperne di loroquestoMorgan non lo capiva e non era affar suo; dopo
tuttoall'apparenza non erano repellentierano cento volte piùintelligenti della media nell'ambiente grigio delle persone
altolocatedei «signoroni» appresso ai quali si affannavano a correre daun capo all'altro d'Europa. «Dopo tuttosono
divertenti ...diciamo la verità!» soleva sentenziare Morgan con la saggezzadei secoli. Al che Pemberton sempre
replicava: «Divertente... la grande troupe dei Moreen? Assolutamentepersone deliziose; e se non fosse per gli ostacoli
che tu ed io (misere comparse!) creiamo all'ensembleavrebberosuccessi travolgenti.»
La cosa alla quale il ragazzo non riusciva a rassegnarsi era il fatto chequel particolare deterioramentoin una
tradizione di rispettabilitàsembrava così immeritato e arbitrario.Indubbiamente ognuno aveva il diritto di battere le
strade preferite; ma perché proprio la sua gente aveva preferitoquella dell'arrivismo e del servilismodella
mistificazione e dell'imbroglio? Che male avevano fatto loro gli antenati -tutte persone decoroseper quel che ne
sapeva lui - o che male lui stessoMorganaveva fatto loro? Chi avevaavvelenato il loro sangue con quell'ambizione
sociale di quint'ordinecon l'idea fissa di conquistare conoscenzealtolocate e d'introdursi a tutti i costi nel monde chic
tanto più trattandosi di sforzi votati in partenza al fallimento eall'umiliazione? Era talmente smaccato ciò di cui
andavano in caccia; ecco perché la gente che loro volevano non li voleva. Emai uno scrupolo di dignitàmai un
sussulto di vergogna al guardarsi in faccia l'un l'altromai un gesto diribellione o di risentimento o di disgusto. Se suo
padre o suo fratello avessero soltanto mandato qualcuno a gamb e all'aria unao due volte all'anno! Perspicaci com'erano
non avevano mai il sospetto dell'impressione che facevano al prossimo. Eranosempre accomodantisì... accomodanti
come ebrei sulla soglia di un negozio di tessuti! Era mai possibile cheproprio quello doveva essere il modello prescelto
dalla sua famiglia? Morgan aveva dei vaghi ricordi di un vecchio nonnomaternoa New Yorkper conoscere il quale
gli fecero espressamente traversare l'oceano quando aveva cinque anni: ungentiluomo dal colletto alto e dalla pronuncia
raffinatache indossava la marsina di primo mattino - al punto che uno sichiedeva cosa mai avrebbe indossato la sera -
e che possedevao si supponeva possedesse«proprietà» e che avessequalcosa a che fare con la Bible Society. Altro
non poteva esser stato se non una persona a modo. Lo stesso Pembertonrammentava la signora Clancyuna sorella
vedova del signor Moreenuna donna irritante come un racconto moralecheaveva trascorso una quindicina di giorni in
visita alla famigliaa Nizzapoco dopo il suo ingresso in casa Moreen. Era«pura e distinta»come diceva Amy da
dietro il banjoe aveva l'aria di non capire cosa essi volevano direquando parlavano e di custodire nella propria intimità
qualcosa di piuttosto importante. Pemberton valutò che questo qualcosa dinascosto in lei corrispondesse alla
disapprovazione di buona parte del loro modo di vivere; ragione per cui sipoteva supporre che anche in questo caso
doveva trattarsi di una persona a modoe che il signor e la signora Moreennonché Ulick e Paula e Amyavrebbero
tranquillamente potuto essere anche meglio se solo avessero voluto.
Ma che loro non volessero risultava sempre più evidente di giorno in giorno.Continuavano il loro
«inseguimento»come lo chiamava Morgane venne il momento in cuiavanzarono tutta una gamma di ragioni per
trasferirsi a Venezia. Ne menzionarono un certo numero... erano sempresensazionalmente franchi e il loro modo di
colloquiare era dei più cordiali e brillantispecialmente all'oradellaprima colazione un po' tardasecondo l'uso
stranieroprima che le signore passassero al rito del truccoquandos'appoggiavano con le braccia sulla tavola
prendevano qualcosina per accompagnare la demi-tasseenel fervoredella discussione familiare a proposito di ciò che
«realmente dovevano» farericadevano inevitabilmente in una delle linguein cui era consentito loro tutoyer. Persino
Pemberton li trovava gradevoli in quell'occasione; poteva sopportare ancheUlick e la sua scialba vocina a favore della
«dolce città di mare». Era proprio quel particolare a rendere Pembertoncosì vigliaccamente gentile con loro... il fatto
che fossero così fuori dal mondo prosaico e noioso e che da quel mondoriuscissero tutto sommato a tener fuori anche
lui. L'estate era svanita quandoin uno spreco di estatiche esclamazioniiMoreen al completo si affacciarono al balcone
che dava sul Canal Grande. I tramonti in quella stagione erano splendidi ederano arrivati i Dorrington. I Dorrington
erano la sola ragione di cui non avevano parlato a colazione; ma le ragionidi cui loro non parlavano a colazione
venivano fuori sempre e soltanto alla fine. I Dorrington dal canto lorovenivano fuori assai poco; oppurequando lo
facevanosi trattenevano fuori - com'era naturale - per poche oredurantele quali la signora Moreen e le ragazze
passavano dal loro albergo (per vedere se erano rientrati) non meno di trevolte a intervalli regolari. Una gondola era
riservata alle signoredal momento che neppure a Venezia mancavano i famosi«giorni»appresi a memoria dalla
28signora Moreen non più di un'ora dopo l'arrivo in città. Immediatamente nedestinò uno a se stessaal quale peraltro i
Dorrington non si degnarono mai di veniresebbene in una precisacircostanzaallorché Pemberton e il suo allievo si
trovavano insieme a San Marco - dovenel corso delle più belle passeggiatemai fatte e di visite a un centinaio di chiese
solevano trascorrere buona parte del loro tempo - videro il vecchio lord incompagnia del signor Moreen e di Ulickche
gli mostravano le bellezze della buia basilica come se appartenesse allafamiglia. Pemberton osservòfra le altre
curiosità del postocome Lord Dorrington si comportasse assai meno da uomodi mondo; al punto da domandarsi se
per quel genere di servizii suoi amici non si facessero corrispondere unonorario dal vecchio. L'autunnoad ogni modo
volò viai Dorrington ripartironoe Lord Verschoyleil figlioprimogenitonon s'era candidato né per Amy né per
Paula.
Un giorno cupo di novembrementre il vento ringhiava tutt'intorno al vecchiopalazzo e la pioggia sferzava la
lagunaPembertonper esercizio ma anche in un certo modo per scaldarsi - iMoreen erano terribilmente economi in
fatto di fuocoed era questa una causa di grandi sofferenze per il lorocoinquilino - passeggiava in lungo e in largo per
la grande sala spogliacon il suo allievo. Il pavimento alla veneziana eragelidole alte finestre logore sbattevano nella
tormentae il nobile decadimento del luogo non era neppure confortato da unatraccia di mobilio. L'umore di Pemberton
era dei più depressie gli capitò di pensare che ancor più depressadoveva risultare ormai la fortuna dei Moreen. Una
raffica di desolazioneun presagio di disgrazie e di guaisembròabbattersi su quella sala inospitale. Il signor Moreen e
Ulick si trovavano in Piazzaa guardarsi attorno in cerca di qualcosaagirovagare tristementeavvolti
nell'impermeabilesotto i portici; con tutto ciòmalgrado gliimpermeabiliinequivocabilmente uomini di mondo. Paula
e Amy erano a lettoe si sarebbe potuto pensare che ci rimanessero pertenersi al caldo. Pemberton gettò un'occhiata di
sbieco al ragazzo che gli stava al fianconel tentativo di intuire fino ache punto fosse consapevole di quegli oscuri
presagi. Ma Morganfortunatamente per luiin quel momento era più chealtro consapevole del fatto di crescere alto e
fortedi vivere insomma i suoi quindici anni. Era questo un particolaremolto interessante per luinonché il principio
informatore di una sua personale teoria - peraltro confidata al suoprecettore - secondo la quale a breve scadenza
sarebbe stato in grado di stare in piedi da solo. Riteneva che la situazionesarebbe cambiata: che prima o dopouna volta
che si fosse sentito abbastanza «rifinito»sarebbe stato disponibile aentrare nel mondo degli affari e pronto a
dimostrare la sua buona lega. Per quanto a volte fosse lucidamente capace dianalizzarecome lui stesso dicevala sua
vitanon mancavano ore felici durante le quali rimanevasempre per usare lesue parole - del resto appropriate allo
spirito del loro ideale -«allegramente» superficiale; ne era prova la suafondamentale presunzione che presto sarebbe
andato a Oxfordnello stesso college di Pemberton dovecon l'aiuto ela complicità di Pembertonavrebbe fatto cose
prodigiose. Ulteriore motivo di depressione era per il giovane il prendereatto di quanto poco Morganin quei suoi
progettifacesse i conti con i modi e i mezzi: eppure in altre circostanzeil ragazzo faceva per lo più mostra di un
notevole senso della misura. Pemberton si sforzava di immaginarsi i Moreen aOxford e per buona fortuna non gli
riusciva; di fattoperòse non avessero adottato Oxford come luogo diresidenza non sarebbe stato possibile un modus
vivendi per Morgan. Come avrebbe potuto vivere senza una renditae dadove poteva saltar fuori tale rendita? Lui
Pembertonpoteva vivere alle spalle di Morgan; ma poteva Morgan vivere suquelle di lui? Che ne sarebbe stato di lui
in ogni caso? Per un certo versoil fatto che ora il ragazzo fossecresciutoe con migliori prospettive di saluterendeva
la questione del suo futuro ancor più complessa. Fin tanto che era statoproprio debolela grande attenzione che ispirava
appariva di per sé come una risposta sufficiente al problema. Main cuorsuoPemberton doveva ammettere che
Morgan poteva probabilmente sentirsi abbastanza forte per viverema nonancora abbastanza forte per lottare e
prosperare. Lo stesso Morgan ad ogni modo era giusto all'alba della piùrosea consapevolezza adolescenzialecosì che
l'abbattersi della tempesta null'altro gli significavadopo tuttose non lavoce della vita e la sfida del destino. Aveva
indosso il suo soprabitino frustoil bavero rialzatoma aveva l'aria digodersi quella passeggiata.
La passeggiataperòvenne presto interrotta dalla comparsa della madre dallato opposto della sala. Lo chiamò
con un cenno perché le si avvicinassee Pembertonseguendolo con losguardo mentrecompiacentes'allontanava sul
falso marmo umidosi domandò che novità ci fosse nell'aria. La signoraMoreen rivolse una parola al ragazzo e lo fece
andare nella stanza da cui era venuta. Poiuna volta chiusagli la porta allespallediresse i suoi passi rapidamente verso
Pemberton. Qualcosa c'era nell'ariama neppure il più sfrenato volodi fantasia avrebbe potuto suggerirgli quel che poi
si sarebbe rivelato. La donna spiegò d'aver trovato un pretesto persbarazzarsi di Morgandopo di che - senz'alcuna
esitazione - chiese se il giovane poteva farle il favore di un prestito ditre luigi. Prima di scoppiare in una risata
Pemberton rimase un attimo a guardarla allibitodandole il tempo didichiarare che aveva un'impellente urgenza di quel
denaro; era disperata... ne andava della sua vita.
«Mia cara signorac'est trop fort!» rise Pemberton in un modo e conuna grazia presa a prestito dall'idioma che
contraddistingueva i momenti più familiaripiù aneddoticidei suoi stessiamici. «Dove diavolo supponete che io possa
trovare i tre luigidu train dont vous allez?»
«Pensavo che lavoraste... che scriveste delle cose. Non vi pagano forse?»
«Neanche un centesimo.»
«E sareste tanto stupido da lavorare per nulla?»
«Questo voi dovreste saperlo bene.»
La signora Moreen sgranò gli occhipoi arrossì leggermente. Pembertonintuì che doveva aver praticamente
dimenticato le condizioni - se «condizioni» si potevano chiamare - cheaveva finito con l'accettare proprio da lei;
dovevano aver pesato sulla sua memoria altrettanto poco che sulla suacoscienza. «Oh sìcapisco a cosa vi riferite... fu
davvero molto gentile da parte vostra; ma perché stare a rivangare lacosa?» Era stata perfettamente corretta con lui
29soprattutto dopo la violenta scena del chiarimento in camera suail mattinoche lui la costrinse ad accettare le sue
«condizioni»le quali si riassumevano in pratica nella necessità dimettere Morgan al corrente della situazione. Lei non
aveva provato risentimento alcuno dopo aver realizzato l'inesistenza delrischio che Morgan potesse impugnare la
questione con sua madre. Al punto cheattribuendo questa immunità al buongusto della sua influenza sul ragazzouna
volta aveva detto a Pemberton: «Amico mioè una consolazione immensa ilfatto che siate un gentiluomo.» La stessa
cosanella sostanzaripeté ora. «Naturalmente siete un gentiluomo... equesta è una preoccupazione in meno!»
Pemberton le rammentò che lui non aveva «rivangato»nulla che non fossegià scopertamente acquisito; e lei tornò a
ripetere la supplica cheda qualche parte e in qualche mo dole trovasse isessanta franchi di cui aveva bisogno.
Pemberton si prese la licenza di insinuare che nel caso li avesse trovati nonsarebbe stato per prestarli a lei; ma in ciò fu
consciamente ingiusto con se stessosapendo benissimo che se li avesseposseduti li avrebbe certamente messi a sua
disposizione. In ultima analisie non a tortoaccusava se stesso di unaastrattadepravata simpatia per lei. Così come
dava luogo a strani compagni di lettola miseria ispirava anche stranesimpatie. Oltretuttofaceva parte dell'umiliazione
di vivere con gente del genere il rischio di essere costretti a volgariritorsioninon del tutto consone a una personale
tradizione di buone maniere. «MorganMorgancosa mi tocca fare per te?»brontolò il giovanee intanto la signora
Moreen navigò voluminosa dall'altra parte della sala per dar via libera alragazzonon senza lamentarsi che trovava tutto
così detestabile.
Ma prima che il suo giovane amico venisse rimesso in libertà si udì uncolpo alla porta che comunicava con le
scaleseguito dall'apparizione di un ragazzotto grondante di pioggia checacciò la testa nel locale. Pemberton riconobbe
trattarsi di un fattorino del telegrafo e intuì che recava un telegrammaindirizzato a lui. Intanto era riapparso Morgan
mentre Pembertondata un'occhiata alla firma - quella di un parentelondinese -si apprestava a leggere il testo:
«Trovato piacevole lavoro per teincarico lezioni private ricco giovane atue condizioni. Vieni immediatamente.» Per
fortuna il telegramma prevedeva una risposta pagata e il messaggero attese.Morganche nel frattempo s'era avvicinato
attendeva anche lui con uno sguardo severo rivolto a Pemberton; e Pembertondopo qualche istanteincrociato il suo
sguardogli porse il telegramma. Fu praticamente grazie a una serie diocchiate d'intesa - si conoscevano così bene
ormai - chementre il postinonella sua mantella impermeabilefaceva unagran pozzanghera sul pavimentosi stabilì
un accordo di massima fra i due. Pemberton scrisse la risposta a matitaappoggiandosi alla parete affrescatae il
fattorino se n'andò. Fu solo allora che il giovane si decise a spiegarsi.
«Lavorerò come un pazzo; guadagnerò un sacco di soldi in poco tempocosìavremo di che vivere.»
«D'accordo. Spero dunque che il ricco giovane sia un povero somaro...probabilmente lo sarà» buttò lì Morgan
per inciso... «e che vi tenga occupato il più possibile a martellargli lecose in testa.»
«Certo che più mi terrà occupato e più denaro avremo da parte per lavecchiaia.»
«Ma supponete che loro non vi paghino!» suggerì maliziosamenteMorgan.
«Ohnonon ci sono due...!» Ma Pemberton s'interruppe bruscamente; erastato sul punto di usare termini
troppo maligniinvece dei quali disse: «Due sfortune analoghe.»
Morgan arrossì... gli si riempirono gli occhi di lacrime. «Ditestoujours due combriccole talmente
furfantesche!» Poicambiando di tonoaggiunse: «Beati i giovani ricchi!»
«Nose si tratta di un povero somaro.»
«Ohancor più beati allora. Ma non si può aver tuttonon vi pare?»sorrise il ragazzo.
Pemberton se l'abbracciò strettole mani attorno alle spalle... non gliaveva mai voluto tanto bene. «Che ne sarà
di tecosa conti di fare?» Pensò alla signora Moreendisperata per i suoisessanta franchi.
«Diventerò un homme fait.» Quindiforse rendendosi contodell'intera portata dell'allusione di Pemberton: «Me
l'intenderò meglio con loro quando non ci sarete voi.»
«Ahnon dire questo... sembrerebbe che sia io a metterti contro di loro!»
«Ma è così... il solo fatto di vedervi. Insommasapete benissimo cosavoglio dire. Mi comporterò
stupendamente. Prenderò io in mano i loro affari; mariterò le miesorelle.»
«E ti troverai moglie anche tu!» scherzò Pemberton; come se il tono acutoe piuttosto teso della facezia fosse il
più adattoo il più sicuroalla loro separazione.
Tuttavianon fu propriamente in quello stile che Morgan bruscamentedomandò: «Madico... come farete a
raggiungere il vostro piacevole lavoro? Dovrete telegrafare al ricco giovaneche vi spedisca il denaro per il viaggio.»
Pemberton ci rifletté sopra. «Non gradiranno la cosanon credi?»
«Ohsarà meglio far attenzione a loro!»
Fu Pemberton allora a scovare il rimedio. «Andrò dal console americano; mifarò prestare del denaro da lui...
soltanto per pochi giorniin forza del telegramma.»
Il commento di Morgan fu decisamente ilare. «Mostrategli il telegramma...intascatevi i soldi e rimanete qui!»
Pemberton assecondò lo scherzo a sufficienza per replicare che per Morgansarebbe anche stato capace di
questo; ma il ragazzofacendosi più serioe per dimostrare che non avevavoluto dire quello che aveva dettonon
soltanto lo sollecitò a recarsi al Consolato - visto che voleva partire lasera stessacome aveva telegrafato in risposta
all'amico - ma volle altresì accertarsi che il piano avrebbe funzionatoaccompagnando il maestro di persona.
Sguazzarono lungo vicoli tortuosi e sopra ponti gibbosie attraversarono laPiazzadove intravvidero il signor Moreen e
Ulick mentre entravano da un gioielliere. Il console si rivelò accomodante -Pemberton sentenziò ch'era stato non grazie
al documento scrittoquanto piuttosto alla grand air di Morgan - esulla strada del ritorno s'infilarono in San Marco per
una decina di minuti di raccoglimento. Più tardi ripresero il tono scherzosodella faccenda e lo mantennero fino
30all'ultimo; e suonò a Pemberton come una parte di quello scherzo il fattoche la signora Moreenfuriosa quando il
giovane le comunicò la sua decisionelo accusasse - in maniera grottesca esprezzante nonché facendo riferimento al
prestito vanamente sollecitato - di svignarsela per paura che potessero«spillargli» qualcosa. D'altro cantofu costretto a
rendere al signor Moreen e a Ulick la giustizia di riconoscere chequandogiunse loro all'orecchio la crudele notiziala
presero da impeccabili uomini di mondo.
VIII
Quando si mise al lavoro con il giovane riccoche doveva essere preparatoper l'ammissione al college di
BalliolPemberton si scoprì incapace di dire se l'aspirante fosse inrealtà scarsamente dotato o se questa fosse una
reazione alla sua prolungata personale convivenza con una testolina cosìvivace. Di Morgan ebbe notizie una mezza
dozzina di volte: il ragazzo scriveva incantevoli lettere giovaniliautentici mosaici di idiomi diversiin cui indulgeva a
numerosi post-scriptum nel Volapuk di famiglia ein quadratini ecerchi e nelle anse del testoalle più spassose
illustrazioni: lettere che sortivano l'effetto di dividere Pemberton tral'impulso di mostrarle al nuovo discepolo a mo' di
vanosprecato incentivoe la sensazione di qualcosa in queste che lapubblicità avrebbe profanato. Il giovane ricco a
suo tempo si presentò agli esami e non gli riuscì di superarli; maallasupposizione che al primo tentativo non ci si
poteva aspettare da parte del ragazzo risultati gran che brillantisembròaggiungersi il fatto che i suoi genitori -
perdonando il fallimentoch'ebbero la generosità d'imputare il menopossibile alla responsabilità di Pemberton -
avrebbero suonato nuovamente l'adunatasupplicando il giovane maestro dirinnovare l'assedio.
Il giovane maestro si trovava ora nella condizione di prestare i tre luigialla signora Moreenalla quale spedì un
vaglia postale per una somma anche più consistente. In risposta a quelfavorePemberton ricevette dalla donna due
righe scribacchiate nervosamente: «Vi imploro tornare immediatamenteMorgangravemente malato.» Erano rimbalzati
ancora una volta a Parigi - per quanto spesso Pemberton li aveva visti inmale acque non li aveva mai visti
definitivamente schiantati - per cui le comunicazioni risultarono rapide.Scrisse così al ragazzo per accertarsi delle sue
condizioni di salutema attese una risposta invano. Di conseguenzadopo tregiornisi congedò in tutta fretta dal
giovane ricco eattraversata la Manicadiscese all'alberghettonella zonadei Champs Elyséesdi cui la signora Moreen
gli aveva comunicato l'indirizzo. Un profondo anche se muto malcontento neiriguardi della signora Moreen e la sua
gente faceva compagnia a Pemberton: i Moreen non arrivavano al punto dicomportarsi volgarmente da disonestima
potevano permettersi di vivere in hotelin entresols vellutatifra iprofuminel cuore della più dispendiosa città
d'Europa. Quando li aveva lasciati a Venezia aveva provato l'insopprimibilesospetto che qualcosa stesse per accadere;
ma l'unica cosa che poteva aver avuto luogo era una delle loro magistraliritirate. «Come sta? dov'è?» chiese alla signora
Moreen; ma ancor prima che lei potesse aprir bocca le risposte gli vennerodalla stretta di un paio di braccia attorno al
collodue braccia dalle maniche troppo cortema ancora perfettamente capacidi un espansivo abbraccio giovanile.
«Gravemente malato... non mi pare!» esclamò il giovane. Quindirivolto aMorgan: «Posso sapere perché non
m'hai rassicurato? Perché non hai risposto alla mia lettera?»
La signora Moreen dichiarò che quando gli aveva scritto il ragazzo stavadavvero molto malee Pemberton al
tempo stesso apprese da Morgan come quest'ultimo avesse risposto a tutte lelettere ricevute. Il che portava alla chiara
deduzione che lo scritto di Pemberton era stato sottratto alla conoscenza diMorgan perché non interferisse con il trucco
ch'era stato escogitato. La signora Moreen era ovviamente preparata almomento della rivelazione e nello stesso istante
in cui Pemberton se la trovò di fronte si rese conto che doveva esserepreparata a un buon numero di altre cose. Era
preparata soprattutto a sostenere d'aver agito per senso del dovered'esseresoddisfatta per averlo riportato fra loro
checché se ne potesse diree che era inutile che facesse finta di nonsapere in cuor suo che il suo posto ora più che mai
era accanto a Morgan. Era stato lui ad allontanare il ragazzo da loro e oranon aveva il diritto di abbandonarlo. Era stato
lui ad assumersi le più gravi responsabilità e doveva quindi mostrarsi perlo meno coerente con quanto aveva fatto.
«Io l'avrei allontanato da voi?» sbottò Pemberton indignato.
«Fatelo... fatelo per pietà; sono io che lo voglio. Non posso più reggeretutto questo... e scene simili. Sono
talmente ipocriti... poveri disgraziati!» Queste parole irruppero dallelabbra di Morganche aveva smesso di tenerlo
abbracciatocon un affanno tale che fecero girare immediatamente Pembertonverso di lui per prendere atto che il
ragazzo s'era seduto di colporespirava a gran fatica ed era pallidissimo involto.
«Adesso direte ancora che non sta maleil mio prezioso cucciolo?»urlò la madrelasciandosi cadere sulle
ginocchia davanti a Morgan con le mani giuntema sfiorandolo appenaneanchefosse stato un idolo dorato. «Passerà...
è cosa d'un istante; ma non dire queste cose terribili!»
«Sto bene... ora sto bene» ansimò Morgan rivolto a Pembertonrimanendo aguardarselo con uno strano
sorriso dal basso in altole mani rilassate sulle due sponde del divano.
«Pretenderete ancora di dire che sono stata disonestache vi hoingannato?» esplose la signora Moreen rivolta
a Pemberton mentre si rialzava in piedi.
«Non è lui che lo dicesono io!» ribatté Morganapparentementepiù sollevatoma lasciandosi andare
all'indietro contro la parete; intantol'amico ritrovatosedutosi accanto aluigli prese la mano e gli si chinò sopra.
«Tesoro miosi fa quel che si può; sono tante le cose da tenere inconsiderazione» incalzò la signora Moreen.
«È questo il suo posto... il suo unico posto. Vedi che anche tu orala pensi allo stesso modo.»
«Portatemi via... portatemi via» riprese Morgansorridendo a Pemberton esempre sbiancato in volto.
31«Dove vuoi che ti portie come... sìcome ragazzo mio?»farfugliò il giovanepensando al modo poco
rassicurante con cui gli amici londinesi avevano preso il fatto cheper suacomoditàsenz'alcuna garanzia di un pronto
ritornoli avesse piantati in asso; e pensando altresì al giustorisentimento con cui probabilmente avevano già
provveduto a chiamare il suo successoree alla debole referenza - in vistadella ricerca di un nuovo impiego - che
rappresentava per lui l'indecenza di non essere riuscito a far promuovere ilsuo allievo.
«Ohci arrangeremo. Lo dicevate sempre anche voi» disse Morgan.«L'importante è andarsenetutto il resto
sono sciocchezze.»
«Parlatene finché voletema non pensate neppure a provarci. Il signorMoreen non acconsentirà mai... sarebbe
una mossa talmente azzardata» spiegò bellamente la padrona di casa aPemberton. Poirivolta a Morgansi espresse
più chiaramente: «Sarebbe come distruggere la nostra tranquillitàcomespezzarci il cuore. Ora che lui è tornato tutto
riprenderà come prima. Voi avrete la vostra vitail vostro lavoro e lavostra libertàe saremo tutti felici come una volta.
Tu guarirai e ti rimetterai perfettamentee non tenteremo più altri stupidiesperimentinon pensate? Sono troppo
assurdi. È questo il posto di Pemberton... ognuno al suo posto. Tu nel tuotuo padre nel suoio nel mio... n'est-ce pas
chéri? Dimenticheremo tutti quanto sciocchi siamo stati e passeremo orefelici.»
La donna continuava a parlare e a fluttuare vagamente tutt'intorno allasaletta drappeggiata e soffocante
mentre Pemberton sedeva accanto al ragazzo che intanto andava riprendendo unpo' di colore; fece una gran confusione
di tutte le sue ragionilasciando intendere che erano in programma deicambiamentiche gli altri figli si sarebbero potuti
sparpagliare uno qui e l'altro là (non si poteva mai sapere... Paula avevale sue idee) e che allora si poteva immaginare
quanto i vecchi genitoririmasti soliavrebbero desiderato almeno lavicinanza del loro cucciolo. Morgan diede
un'occhiata a Pembertonche gl'impediva di muoversi; e Pemberton capì allaperfezione che effetto doveva fargli
sentirsi chiamare cucciolo. Morgan ammise d'aver avuto due o tre bruttegiornatema reiterò la sua protesta contro
l'inganno della madre che ne aveva fatto un pretesto per richiamare il poveroPemberton. Il povero Pemberton poteva
ridersela orae non solo per la comicità della signora Moreen che passavain rassegna tanta filosofia a difesa delle sue
teorie - sembrava che l'estraesse a fiotti da sotto le gonne svolazzanticonle quali continuava a urtare contro le leggere
sedie dorate -talmente poco il loro giovane compagnosegnatoinequivocabilmente predestinatogli dava
l'impressione di poter rifiutare qualsiasi beneficio.
Lui stessodel restoera nella stessa condizione. Si sarebbe ritrovato dinuovo Morgan tra le mani e per
sempre; anche sea dire il verosi accorgeva che il ragazzo doveva avereuna sua personale teoria da proporregiusto
allo scopo di appianare la questione. Di ciò gli fu grato in anticipo; mal'emendamento suggerito non fu tale da evitargli
un tonfo al cuorecosì come non gl'impedì di accettarne la prospettiva suidue piedioltretutto con una certa qual fiducia
che avrebbe potuto farlo ancor meglio se avesse potuto mangiare un boccone.La signora Moreen si esibì in nuove
allusioni a proposito dei cambiamenti in vistama era un miscuglio tale disorrisi e di fremiti - confessò tra l'altro di
essere molto nervosa - che Pemberton non riuscì a capire se fosse d'ottimoumo re o soltanto in preda a una crisi isterica.
Se la famiglia era realmente sul punto di sgretolarsiin fondoperché leinon avrebbe dovuto riconoscere la necessità di
abbandonare Morgan su una zattera di salvataggio? Una simile supposizione erarafforzata dal fatto che s'erano stabiliti
in un quartiere di lusso nel cuore della capitale del piacere; e quellosembrava appunto essere il luogo naturale dove
gente come loro non poteva non stabilirsi nella previsione che la famigliaandasse a rotoli. Oltre a tuttonon era stata lei
a menzionare che il signor Moreen e gli altri se la stavano spassandoall'opera con il signor Grangere una volta di più
non era per l'appunto quello il luogo in cui andarli a cercare alla vigiliadello sfacelo? Pemberton venne a sapere che il
signor Granger era un ricco scapolo americanoun grosso conto in bancadall'intestazione pomposa ma priva di titoli
concreti; così che una delle «idee» di Paula era che probabilmente questavolta non avrebbe mancato il bersaglioe che
quel colpose ben assestatoavrebbe frantumato la coesione generale. E sela coesione stava per vacillare che ne
sarebbe stato del povero Pemberton? In ultima analisisi sentiva abbastanzalegato all'insieme da figurarenon senza
sgomentocome una delle pietre pericolanti dell'edificio.
Fu Morgan che alla fine domandò se non era stata ordinata una cena perl'amico; poco dopo sedevano insieme
al piano inferioredavanti a un pasto fuori orario in penombraallapresenza di un sontuoso sfoggio di velluti verdi a
costedi un piatto ornamentale di porcellana e di una marcata indifferenzada parte del cameriere. La signora Moreen
aveva spiegato ch'erano stati costretti a fissare una camera per l'ospitefuori dall'hotel; e la consolazione di Morgan - ne
fece un accenno mentre Pemberton rifletteva sull'indecenza delle salse pocomeno che fredde - risultò ampiamente dal
fatto che quella circostanza avrebbe facilitato la loro fuga. Parlò dellaloro fuga - ritornandoci poi spesso in seguito -
come se stessero progettando insieme un «libro per ragazzi». Ma espresseanche lui la sensazione che qualcosa si
preparasse nell'ariache i Moreen non potevano tirare avanti ancora molto alungo. Alla prova dei fatticome Pemberton
doveva constataretirarono avanti per cinque o sei mesi. Nel frattempoMorgan si diede un gran da fare per mantenerlo
di buon umore. Il signor Moreen e Ulickche aveva visto il giorno seguenteal ritornoaccettarono quel ritorno da
impeccabili uomini di mondo. Se Paula e Amy lo accolsero invece con ancorameno formalitàuna scusante andava loro
concessadal momento che il signor Grangerall'Operanon s'era fattovedere. S'era limitato a mettere il suo palco a
loro disposizionecon un bouquet per ognuno degli invitati; ce n'erapersino uno a testa per il signor Moreen e per
Ulickrendendo in tal modo ancora più amaro il pensiero della suaprodigalità. «Sono tutti così» fu il commento di
Morgan; «all'ultimo momentoproprio quando c'illudiamo di averli tirati arivariprendono regolarmente il largo!»
I commenti di Morgan in quei giorni si fecero sempre più disinvolti; einclusero persino un ampio
riconoscimento della straordinaria tenerezza con cui era stato trattatomentre Pemberton era lontano. Oh sìnon
avrebbero potuto far di più per essere carini con luiper mostrargli quantol'avevano a cuore e fargli pesare il meno
32possibile l'assenza dell'amico. Ma proprio questo era ciò che aveva resol'intera vicenda così triste e lo rallegrava invece
ora per il ritorno di Pemberton; avrebbe potuto pensare di meno alle loropremuresentirsi meno obbligato. Pemberton
non poté fare a meno di ridere udendo quest'ultima ragionee Morganarrossì e disse «Behaccidentisapete bene cosa
voglio dire.» Pemberton sapeva alla perfezione cosa Morgan voleva dire; marimanevano un sacco di cose - accidenti
una volta di più! - che non per questo risultavano più chiare. L'episodiodel suo secondo soggiorno a Parigi si trascinò
avanti stancamentecon le loro letture ritrovatele loro divagazionileloro passeggiatele visite ai museiil loro
vagabondare lungo i quaisil loro occasionale indugiare nel PalaisRoyal non appena si fecero sentire i primi freddi
quando vi fu ragione di cercare un po' di conforto nel calore che uscivadalle affascinanti e succulente porte di Chevet.
Morgan volle saper tutto del giovane riccoper il quale provava un immensointeresse. Taluni dettagli circa la sua
ricchezza - Pemberton non gliene risparmiò neppure uno - non fecero cheaccrescere evidentemente nel ragazzo il
valore di tutto ciò a cui l'amico aveva rinunciato per tornare da lui; ma inaggiunta al migliorato rapportoscaturito da
quell'eroismoMorgan aveva sempre per la testa la sua personale teoria -nella quale non faceva difetto una certa frivola
gaiezza - che la loro lunga prova stava per conoscere la fine. La convinzionedi Morgan che i Moreen non potevano
tirare avanti ancora molto a lungo andava di pari passo con l'inesauribileimpeto con cuimese dopo mesei Moreen
invece tiravano avanti. Tre settimane dopo che Pemberton era rientrato infamigliasi trasferirono tutti in un altro
albergopiù malandato del primo; ma Morgan fu contento che il suoprecettorealmenonon dovesse sacrificare il
vantaggio di una camera fuori. Il ragazzo rimaneva dunque aggrappato allaromantica utilità di quel particolareper
quanto si sarebbe presentato il giornoo ancor meglio la nottedella lorofuga.
Per la prima voltain questa complicata vicendail nostro amico sentì comeuna catena stringergli il collo. Era
com'aveva risposto alla signora Moreen a Veneziatrop fort... tuttoera trop fort. Di fattonon poteva né liberarsi del
fardello che l'opprimevané trovarvi il beneficio d'una coscienzatranquilla o d'un affetto ricompensato. Aveva speso
tutto il denaro accumulato in Inghilterrae vedeva la sua giovinezzaandarsene senza riceverne in cambio alcuna
ricompensa. Morgan aveva un bel dire quando calcolavacome sorta diriparazione a tutto ciòil fatto che ora
Pemberton potesse contare su di lui in permanenza: c'era un difetto irritantein quel modo di vedere. Pemberton intuiva
qual era il ragionamento del ragazzo; il concetto cheavendo avuto l'amicola generosità di tornarelui ora doveva
mostrargli gratitudine dedicandogli la propria vita. Ma il povero amico nondesiderava quel dono: cosa poteva farsene
della breve e atroce vita di Morgan? Ovviamentese da un lato si sentivairritatodall'altro Pemberton teneva presente la
ragionecosì onorevole per Morganche risiedeva semplicemente nellacircostanza di far dimenticare d'essere nulla più
che un moccioso rappezzato. Chi stabiliva con lui rapporti su una diversabase si assumeva la responsabilità delle
disavventure che ne derivavano. Così Pemberton rimase in attesain preda auna strana confusioneun misto di ansia e
di sgomento per la catastrofe chesi supponevastava per incombere sullafamiglia Moreene di cui sicuramentea
trattisentiva i sintomi sfiorargli le guancesoprattutto quando glicapitava di interrogarsi sulle forme in cui si sarebbe
violentemente manifestata.
Forse avrebbe assunto la forma di una diaspora improvvisa... un allarmato sauvequi peutun affannoso
rifugiarsi nella trincea degli egoismi personali. Di certoerano menoelastici che per il passato; erano evidentemente alla
ricerca di qualcosa che non trovavano. I Dorrington non erano riapparsiiprìncipi s'erano dileguati; non era forse quello
l'inizio della fine? La signora Moreen aveva perso il computo dei suoi famosi«giorni»; il suo calendario sociale s'era
fatto confuso... era stato girato contro la parete. Pemberton sospettava cheil colpo più graveil più crudelefosse stato
assestato dall'indicibile comportamento del signor Grangerche sembrava nonsapere cosa volesseoppurepeggio
ancoracosa volessero loro. Non smetteva di inviare fioricome sevolesse cospargerne il sentiero della sua ritiratache
non coincise mai con il sentiero del ritorno. I fiori andavano benissimoma... Pemberton sapeva come completare la
frase. Era ormai decisamente manifesto che a lunga scadenza i Moreenrappresentavano un fallimento sociale; tant'è che
il giovane si sentiva quasi grato che la scadenza non fosse tropporavvicinata. Il signor Moreena dire il veroera ancora
di quando in quando capace d'allontanarsi per affari ecosa ancor piùsorprendenteera addirittura capace di tornare.
Ulick non aveva più un clubma non lo si sarebbe detto a vederlodalmomento che il suo contegno continuava a essere
quello di colui che assiste alla vita dalla finestra di una istituzione diquel tipo; per questo Pemberton fu doppiamente
stupito a una risposta che una volta gli sentì dare alla madrenel tonodisperato di un uomo avvezzo alle peggiori
privazioni. La domanda di lei Pemberton non era riuscito a coglierlamaaveva tutta l'aria di essere la richiesta di un
suggerimento circa la persona che avrebbero potuto convincere a prendersiAmy. «Lascia che se la prenda il diavolo!»
era scattato Ulick; e fu allora che Pemberton poté realizzare che nonsoltanto avevano perduto la loro amabilitàma
avevano altresì cessato di credere in se stessi. Nondimeno poté realizzarechese la signora Moreen si dava un gran da
fare a convincere la gente perché si portasse via le ragazzeera lecitosupporre che stesse per chiudere i boccaporti in
vista della temp esta. Ma Morgan era certamente l'ultimo dal quale si sarebbeseparata.
Un pomeriggio d'inverno - una domenicaper la precisione - Pemberton e ilragazzo s'inoltrarono insieme nel
Bois de Boulogne. La serata si preannunciava splendidail freddo tramontogiallo limone era così limpidol'andirivieni
delle carrozze e dei pedoni così divertente e il fascino di Parigi cosìgrandeche s'attardarono fuori più del solitofinché
non s'accorsero che dovevano affrettarsi se volevano arrivare a casa in tempoper il pranzo. Accelerarono quindi il
passoa braccettodi buon umore e d'ottimo appetitoconcordi sull'ideachedopotuttoParigi era incomparabile e che
dopo quanto era accaduto e trascorsonon si sentivano ancora sazi di piaceriinnocenti. Una volta raggiunto l'albergo
scoprirono chesebbene scandalosamente in ritardoerano pur sempre in tempoper il tipo di pranzo che probabilmente
stava per essere offerto loro. Una gran confusione regnava negli appartamentidei Moreen - piuttosto squallidi questa
voltaanche se i migliori dell'albergo - e di fronte alla tavolaapparecchiata a metàcon oggetti fuori posto come se ci
33fosse stata una rissa e una grande chiazza di vino sotto una bottigliarovesciatanon poté chiudere gli occhi di fronte
all'evidenza che v'era stata una scenata decisamente densa da parte deiproprietari. La tempesta s'era abbattuta... erano
tutti alla ricerca d'un rifugio. I boccaporti erano abbassatiPaula e Amyerano invisibili - le due sorelle non avevano mai
esercitato la benché minima involontaria malizia nei confronti di Pembertonil quale tuttavia sentì che non l'ignoravano
al punto da permettersi di presentarglisi come due sciagurate cui sono staticonfiscati i vestiti - e Ulick risultò essersela
svignata fuori bordo. L'albergatore e il suo personalein una parolaavevano smesso di «tirare avanti» stando al gioco
dei loro ospitie l'aria d'imbarazzata detenzione di questi ultimigrazie aun ammasso di bauli spalancati in mezzo al
passaggiosi mescolava stranamente con quella di sdegnosa ritirata.
Quando Morgan si rese conto di tutto ciò - e se ne rese conto con una certarapidità - arrossì fino alla radice dei
capelli. Aveva camminato fin dall'infanzia fra difficoltà e pericolima nonaveva mai assistito a uno scandalo.
Pemberton notòa una seconda occhiata verso il ragazzoche gli eranosalite le lacrime agli occhi e che si trattava di
lacrime di una nuovamai sperimentata amarezza. Si domandò per un istantese gli era possibilecon qualche
probabilità di successofingere di non capire per amor suo. Ma non tardòad accorgersi del contrarioquando il signor e
la signora Moreendigiuni accanto al camino ormai spentogli andaronoincontro nel loro disonorato salottino
cercando qua e là con occhi vitrei il porto più vicino al riparo dallatempesta. Non sembravano tanto prostratima erano
orribilmente pallidie la signora Moreen aveva visibilmente pianto.Pembertoncomunqueapprese all'istante che il suo
dolore non era tanto dovuto alla perdita del pranzoper quanto mostrasseabitualmente di apprezzarlobensì il frutto di
una disgrazia che la colpiva ancor più intimamentecome lei stessas'affrettò a spiegare. Il giovane poteva vedere coi
suoi occhi com'era avvenuto il grande cambiamentocome si fosse abbattuta laterribile folgoree come tutti ormai non
avevano che da correre ai ripari. Perciòper quanto crudele fosse per lorosepararsi dall'adorato tesorolei era costretta a
rivolgersi a lui perché spingesse oltre l'influenza che tanto fortunatamenteaveva acquisito sul ragazzocosì da indurlo a
seguirlo in qualche modesto rifugio. Dipendevano da lui - in poche parole -perché prendesse sotto la sua protezione
temporaneamentela loro deliziosa creatura: il che avrebbe lasciati ilsignor Moreen e lei stessa sicuramente più liberi di
prestare tutta l'attenzione dovuta (troppo pocahélas! ne avevanoprestata per il passato) al riaggiustamento degli affari
di famiglia.
«Contiamo su di voi... sentiamo di poterci fidare» disse la signoraMoreenstropicciandosi lentamente le mani
bianche e grassocce e guardando con austera compunzione in direzione diMorganal quale suo maritosenza eccedere
con le confidenzestava accarezzando il mento con timido indice paterno.
«Ohsì... sentiamo di poterci fidare. Abbia mo la massima fiducia nelsignor PembertonMorgan» fece eco il
signor Moreen.
Una volta di più Pemberton si domandò se poteva far finta di non capire; manon c'era cosa che potesse
resistere all'intensità d'intuito di Morgan. «Volete dire che puòprendermi a vivere con lui per sempre?» esclamò il
ragazzo. «Può portarmi viaviadove vuole lui?»
«Per sempre? Comment vous-y-allez!» sorrise con indulgenza il signorMoreen. «Diciamo finché il signor
Pemberton vorrà essere tanto buono.»
«Abbiamo combattutoabbiamo sofferto» proseguì la moglie; «ma l'avetecresciuto talmente a vostra
immagine che per noi ormai s'è compiuto il sacrificio più doloroso.»
Morgan s'era staccato dal padree guardava ora Pemberton con un che diraggiante in volto. Il suo sentimento
di vergogna per quella pubblica umiliazione era svanito; la questionepresentava un altro aspettoe a questo valeva la
pena di aggrapparsi. Ebbe un momento d'infantile contentezzascarsamentemitigata dalla riflessione che con
quell'inatteso accoglimento dei suoi desideri - troppo repentino e violentoper poter essere l'epilogo di un buon libro per
ragazzi - l'ipotesi della «fuga» era lasciata nelle loro mani. Lacontentezza infantile durò lo spazio d'un secondoe
Pemberton quasi temette quell'impeto d'affetto e di gratitudine che facevapiazza pulita del precedente senso
d'umiliazione. Quando Morgan balbettò «Mio caro amicocosa ne dite?» comesi poteva non dare una risposta
entusiastica? Ma ci fu più bisogno di coraggio per affrontare l'evento cheimmediatamente seguì e che costrinse il
ragazzo a sedersi di colpo sulla sedia più vicina. Era diventatocompletamente livido e s'era portato le mani a sinistra
all'altezza del petto. Stettero tutti e tre a guardarloma improvvisamentela signora Moreen si lanciò in avanti. «Ahil
suo tenero cuoricino!» scoppiò; e questa voltain ginocchio davanti a luie senza più rispetto per il suo idolose lo
strinse ardentemente fra le braccia. «L'avete fatto camminare troppol'avete fatto correre troppo!» urlò girando il capo
verso Pemberton. Morgan non pronunciò alcuna protestae un momento doposempre stringendolo a séla donna s'alzò
di scattosconvolta in viso e con un grido di terrore: «Aiutoaiuto! Stamorendoè morto!» Pemberton vide con pari
orroredalla smorfia contratta sul volto di Morganche il ragazzo era ormaial di là del loro più disperato richiamo.
Quasi lo strappò dalle braccia di sua madree per un momentomentre loreggevano insiemelessero tutto lo sgomento
l'uno negli occhi dell'altra. «Non ce l'ha fatta a reggere tutto questo conil suo debole cuore» disse Pemberton... «il
colpola scenatal'emozione violenta.»
«Ma io pensavo che volesse andarsene con voi!» gemette la signoraMoreen.
«Te l'avevo detto io che ti sbagliavimia cara» fu il marito arispondere. Il signor Moreen tremava dappertutto
ea modo suonon era meno profondamente sconvolto della moglie. Maa partequei primissimi istantiprese il suo
lutto da impeccabile uomo di mondo.
34
GREVILLE FANE
Rientrando a casa a cambiarmi d'abito per il pranzo trovai un telegramma:«Signora Stormer morente: potete
farci una mezza colonna per domani sera? Ridimensionatela senza troppiscrupolima non infierite.» Ero in ritardo;
avevo fretta e pochissimo tempo per pensare; così spedii una risposta acaso: «Farò del mio meglio.» Fu soltanto una
volta vestito e mentre mi precipitavo al pranzo chenella carrozzami resiconto della difficoltà che la circostanza
comportava. La difficoltà non stava tanto nel «ridimensionarla»quantopiuttosto nel giustificare l'indulgenza. «Vorrà
dire che non la giustificherò» mi dissi. Non l'ammiravo eppure mi piacevae la conoscevo da tanto tempo che quasi mi
sentivo senza cuore a sedermiin un momento del generea un banchettod'indifferenza. Devo aver dato l'impressione di
essere molto distrattoe di fatto stavo ripensando ai primi anni dellanostra conoscenza. Cercai di parlare di lei alla
compagna che m'ero portato dietroma la compagna che m'ero portato dietronon aveva mai sentito parlare di Greville
Fane. Tentai con l'altra mia vicina di tavolache definì i suoi libri«troppo volgari». Non che io li avessi mai giudicati
troppo buonima potevo senz'altro «ridimensionarle» con maggioreindulgenza.
Mi congedai prestocon la precisa intenzione di recarmi a chiedere notiziedi lei. Il tragitto prese tempodal
momento che viveva in un quartiere a nordovest di Londranelle vicinanze diPrimrose Hill. Il mio timore di arrivare
troppo tardi fu giustificato in senso più ampio di quello che gli avevoattribuito... avevo solo temuto di trovare la casa
chiusa. Invece c'erano luci alle finestree il tintinnìo discreto della miascampanellata richiamò immediatamente una
cameriera alla porta; ma la povera signora Stormer era già passata a unostato in cui non c'era più ragione di temere l'eco
di un campanello terreno. Una signora svolazzante dietro la domestica si feceavanti nell'ingresso al suono della mia
voce. Riconobbi Lady Luardche invece mi aveva scambiato per il dottore.
«Perdonate la mia intrusione a quest'ora» mi scusai; «non mi è statopossibile primada quando l'ho saputo.»
«È tutto finito» replicò Lady Luard. «La nostra cara mamma!»
Rimase lì sotto la lampada fissandomi; era molto altapiuttosto rigidaapaticae il suo aspetto sembrava
sempre suggerire che questi ed altri particolarinel suo modo di vestirenelle sue maniere e persino nel suo nome
fossero la logica conseguenza del fatto che era davvero una personaammirevole. Non m'era mai riuscito di ponderare
questa ipotesima questo non è che un dettaglio. Espressi in manieraconcisa e franca quello che provavomentre la
camerierina dalla carnagione a chiazze si appiattiva contro la parete dellostretto corridoio e cercava di mostrarsi
distaccata senza sembrare indifferente. Non era certo il momento di fare unavisitae stavo già per congedarmi quando
Lady Luard mi trattenne chiedendomiin tono stranostrascicato enoncurante: «State... state per caso scrivendo
qualcosa?» In quell'istante mi sentii come un infame intervistatorecosache non ero. Ma ammisi la mia colpa per
questa intenzioneed ella rispose: «Ne sono veramente lieta... ma penso chea mio fratello piacerebbe vedervi.» Io
detestavo suo fratelloma non era l'occasione più adatta per dichiararlo;così soffrii intimamente nel lasciarmi condurre
in una stanzetta sul retroche con mia sorpresa riconobbi immediatamentecome il teatro dell'imperturbabile operosità
della signora Stormer durante gli ultimi anni. Il suo tavolo era làcomplicelogoro e macchiatodegli innumerevoli
errori di scritturacon il suo spazio angusto per le braccia (lei eraabituata a scrivere con i gomiti bassi) e una
confusione di brogliacci scribacchiati che ormai erano diventati reliquieletterarie. C'era anche Leolinintento a fumare
una sigaretta davanti al fuoco e che ostentava una certa impudenza persinonel suo doloreper quanto sincero potesse
essere.
Per avvicinarmi a luiper salutarlodovetti fare un deciso sforzo; infattil'atteggiamento che aveva assunto ai
miei occhi nel pararmisi di fronte era quasi quello dell'assassino di suamadre. Lei giaceva silenziosa per sempre al
piano superiore... morta come un libro cui è mancato il successoe quel suoporsi in modo spavaldamente eretto era
come il simbolo del suo delitto. Mi domandai se aveva giàcon la sorellafatto il calcolo di quanto potevano ricavare da
quelle povere carte sullo scrittoio; ma non dovetti attendere molto persaperlovisto chein risposta alle poche parole di
condoglianza che gli rivolsibuttò fuori: «È tristetristesì; ma halasciato tre libri completi.» La sua espressione sortì il
più strano degli effetti: riuscì a trasformare quella stanzetta angusta inuna bottega nonché a rendere plausibile il «libro»
come per incanto. Egli avrebbe certamente ricavato tutto ciò che dai tre sipoteva ricavare. Lady Luard mi spiegò che
suo marito era stato lì con loroma che aveva dovuto recarsi al Parlamento.Al fratello accennò che io avrei scritto
qualcosae a me ripeté in modo chiaro la sua speranza che io «rendessigiustizia alla mamma»cosa che secondo lei -
aggiunse - non era mai stata fatta. Poidi nuovo al fratellodisse: «Nonritieni che ci siano alcune cose delle quali il
signore dovrebbe essere pienamente messo a conoscenza?»eall'immediataesclamazione di lui «Ohcertocerto!»
Lady Luard proseguì non senza una certa austerità: «Intendo dire circa lanascita della mamma.»
«Sìe circa i suoi rapporti di parentela» precisò Leolin.
Dichiarai la mia totale disponibilitàe per cinque minuti stetti adascoltare; ma sarebbe troppo affermare che
capii tutto con chiarezza. Tanto meno capisco oraripensandocima non haimportanza. Il mio interesse si riferiva a
questioni diverse da quelle che mi sottoponevanoe mentre essi desideravanoche non ci fossero malintesi riguardo ai
propri antenatiio diventavo sempre più curioso circa le loro persone. Mene andai non appena mi fu possibile e
camminai verso casa attraverso una Londra vuota e tenebrosa... la miglioredelle condizioni per pensare. Il tempo di
raggiungere la soglia di casae il mio articoletto era praticamentecomposto... pronto a essere riprodotto il mattino
seguentedalla raffinata incisione della fantasia. Ritengo che abbia saputoattirare una certa attenzionevenne infatti
giudicato «grazioso» e addirittura attribuito a qualcun altro. Mi eratoccato essere acuto senza essere impertinenteil che
35mi aveva dato non poco da fare. Ma ciò che dissi risultò molto menointeressante di ciò che pensavo... specialmente
durante la mezz'ora che trascorsi seduto in poltrona accanto al fuocofumando il sigarocome d'abitudine prima di
coricarmi. Ma anche una volta a lettocredocontinuai ad arzigogolare suGreville Fane. Mi spiace lasciar perdere
completamente quella visione retrospettivae questa non ne è che una brevee confusa memoriaun documento da non
«presentare». La cara amica aveva scritto un centinaio di storiemanessuna curiosa quanto la sua.
Quando la conobbiaveva già pubblicato una mezza dozzina di opere e forseanch'io avevo già «perpetrato» un
romanzo. Più anziana di me di oltre dodici anniera tuttavia una personasempre disposta a riconoscere le implicazioni
che la sua differenza d'età presupponeva. L'incontro era avvenuto non moltianni primama a Londrain mezzo alle
grandi ondate del presentepersino l'orizzonte più prossimo risultaconfuso. Ci trovammo a una cena e le feci da
cavalierealquanto lusingato di poter offrire il braccio a una celebrità.Della celebritàa dire il veronon aveva l'aspetto
con quella sua espressione matronale e dolcemente inanimatama pensai che lasua grandezza si sarebbe piuttosto
manifestata nella conversazione. Le concessi tutte le opportunità che poteie ciò nonostante non rimasi deluso quando
scoprii che si trattava soltanto di una noiosa gentile signora. E per questoin fondomi piaceva... perché riusciva a
riposarmi dalla letteratura. Dentro di meinfattivivevo la letteraturacome una provocazione continuaun tormento;
Greville Faneinvecesonnecchiava in quelli che sono i risvoltiintellettuali della letteratura un po' come un gatto sul
tappeto davanti al focolare o una creola su di un'amaca. Non era certo unadonna di genioma la sua intelligenza era
talmente particolareuna dote talmente fuori del comuneche spesso mi sonodomandato come mai di fatto cadesse al di
sotto di quelle possibilità. Indubbiamenteciò significava chenel suocasoil compromesso era rimasto incompleto: il
genio paga sempre per le sue dotiriconosce il suo debitoe lei era inveceplacidamente inconsapevole della propria
vocazione. Poteva inventare racconti a metrima non era in grado di scrivereuna pagina in inglese. E scese così nella
tomba senza mai sospettare chepur avendo fornito volumi e volumi aldivertimento dei suoi contemporaneinon aveva
arricchito di una sola frase la lingua inglese. Il chetuttavianon avevaimpedito che valanghe di recensioni si
accumulassero sulla sua testa; era onorata puntualmente con un paio dicolonne su tutti i settimanalinei quali si tendeva
per lo più a dimostrare come i suoi quadri di vita fossero atroci e superboinvece il suo stile. Mi chiese una volta di
andarla a trovare e accettai l'invito. Viveva in Montpellier Squaree cosìpotei toccare con mano quanto la sua
immaginazione fosse dissociata dalla sua persona.
Vedova industriosadedita al suo compito quotidianogli incontri con ilmacellaio e il panettierea reggere una
casa per il figlio e la figliadal momento in cui aveva preso in mano lapenna era diventata una creatura di passione.
Trovava deplorevole che il romanzo inglese mancasse di questo elementoe siera per l'appunto addossata l'impegno di
sopperire a tale deficienza. «Passioni nell'alta società» era la formuladi base del suo lavorodato che la sua fantasia si
sentiva a proprio agio soltanto nei circoli più raffinati. Adorava inverità l'aristocraziae gli aristocratici costituivano per
lei il romanzo della vita omeglio ancorala materia prima dellaletteratura. La loro bellezza e il loro lussoi loro amori
e le loro vendettele loro tentazioni e le loro resele loro immoralità ei loro diamanti le erano familiari quanto le
macchie sulla sua scrivania. Non era un tardo produttore di vecchi romanzidel bel mondobensìcon un'abilità e una
modernità tutte sueaveva dato una rinfrescata al lamé mangiato dalletarme. Sfornava intrecci a centinaia e si trasferiva
puntualmente all'esterotanto lontano quanto riusciva a trasportarla la suapenna volante. I suoi tipile sue descrizioniil
suo tono non potevano essere se non cosmopoliti. Per lei non esisteva nulladi meno provinciale della società europeae
i suoi raffinati personaggi si incontravano e facevano l'amore fra Doncastere Bucarest. Credeva vagamente di
somigliare a Balzace i suoi beniamini storici erano Lucien de Rubempré eil Visconte de Pamiers. Devo aggiungere
che quando una volta le chiesi chi fosse quest'ultimo personaggio non fu ingrado di rispondere. Era molto coraggiosa e
piena di salute e allegramolto facondainnocente e insieme maligna. Eraabileordinaria e snobe mai così
profondamente inglese come quando era meticolosamente straniera.
La combinazione di queste qualità le aveva portato molto presto il successoe ricordo di aver appreso con
stupore e invidia le cifre che «prendeva»a quei tempiper un romanzo.Quella rivelazione fu un colpo per me: era la
prova chepraticando io uno stile completamente diversonon avrei maipotuto far fortuna. Eppurequando la conobbi
meglio e seppi da lei le cifre realinon quelle quadruplicate dalle solitechiacchierefinii con il trovarla abbastanza
simpatica da sentirmene dispiaciuto. Dopo qualche temposcoprii che se anchelei «prendeva» di meno non per questo
io avrei dovuto «prendere» di più. Il mio fallimento non ebbe mai ciò chela signora Stormer avrebbe chiamato la
banalità d'essere relativo: fu sempre ammirevolmente assoluto. Aquell'epocacomunquegodeva di un certo benessere
e benessere è la parola esattasebbene producesse tre romanzi all'anno. Mischerniva quando io parlavo di difficoltàera
l'unico argomento che la irritasse. Se facevo cenno all'imponente lavoro dirifinitura che un'opera d'arte richiedeva
pensava si trattasse di una presunzione e di una posa. Mai le hosentito ammettere il «tormento della forma»; arrivò al
massimo ad introdurre in uno dei suoi libri (quanto a satira aveva la manopesante) un giovane poeta che non parlava
d'altro. Mi risultava difficile capire la sua insofferenza in propositovisto che in questo campo non aveva nulla in gioco.
Intuiva perspicacemente che la formanella prosa almenonon era in grado diraccomandare nessuno presso il pubblico
cui eravamo condannati a rivolgerci; e per questo non perdeva nulla a nonaver niente da dimostrare (la sua personale
umiliazione non contava). Non avanzava la pretesa di produrre capolavoriein compenso usava dare confortevoli
ricevimenti per il tè durante i qualicon disinvolturaammetteva d'essereuna qualunque pasticcieradi quelle che sanno
adornare torte e budini in maniera da attirare i clienti nel negozio. Cimetteva zucchero in abbondanza e confettini
coloratio qualsiasi ingrediente capace di dare a questi articoli un aspettoricco e allettante. Possedeva una serena
autonomia nell'osservare e nel saper cogliere le occasioniil che legarantiva una forza inespugnabile che avrebbe
potuto metterla in condizione di andare avanti all'infinito. È soltanto ilsuccesso autentico a svaniresono soltanto le
36cose solide quelle che si sciolgono. L'ignoranza della vita da parte diGreville Fane rappresentava una risorsa ancor più
infallibile della più collaudata delle ricette. Un giorno mi fece osservareche sarebbe arrivato il momento in cui avrebbe
esaurito la sua vena letterariaal che io risposi: «Voi comunicatedirettamente con il paese delle fatele fate vi adorano e
loro non cambiano mai. Il paese delle fate esisterà sempre; c'è findall'inizio dei tempi e durerà fino alla fine. Le fate vi
hanno dato la chiave con cui voi potrete sempre aprire la porta. Per me èdiverso: io cercoun po' goffamente a modo
miodi mantenermi in rapporto diretto con la vita.» «Ohal diavolo ilvostro rapporto diretto con la vita!» era solita
replicare; quella mia espressione la infastidivaanche se ciò non leimpediva affatto di usarla come una nota di
eleganza. Con gli stessi pregiudizi di un tritacarneavrebbe potutoriciclarecon paziente puntualitàqualsiasi
rimasuglio verbale le fosse capitato di raccogliere. E io la canzonavodicendoper scherzoche i giorni cupi sarebbero
venutialla fin fineper i miei «simili»; che l'oblio avrebbecolpito quanticome meprocedendo lungo l'angusto
sentiero della sperimentazione e dell'analisi - poveri presuntuosi! -facevano dipendere la propria sorte non da una
rivelazione bensì da un processo minuzioso e faticoso. L'attenzione delpubblico dipendeva dall'occasionee che ne
sarebbe stato di noi se questa fosse venuta a mancare?
Una volta mi confidò cheessendo la vita dello scrittore tanto deliziosa ealmeno durante gli anni buonidi
così facili guadagni - era capace di simili sconcertanti ottimismi -intendeva avviare il suo ragazzo alla stessa carriera.
S'era messa in testa la geniale idea che si trattasse di una professione comele altre e che quindi ci fosse tutto da
guadagnare a iniziare l'apprendistato in tenera età. Oltre a tuttolanecessaria istruzione sarebbe risultata meno costosa
di qualsiasi altro corso specialedato che gliel'avrebbe fornitapersonalmente. Non pretendeva di tenere una scuola
voleva soltanto insegnare al proprio bambino. Non pensava di possedere untale donoma - e me lo confessò come se
temesse che io le ridessi in faccia - era convinta che quello dotato fosse lui.Non le risi in faccia per questo; consideravo
infatti il ragazzo abbastanza sveglio... l'avevo visto parecchie volteeaveva l'aria di un giovane tirato su benedi
bell'aspetto e imperturbabile: sia lui che sua sorella m'incuriosivano neiriguardi del loro defunto papàdel quale sapevo
soltanto ch'era stato vicario di campagna e fratello di un modestoproprietario terriero. Non potevo che spiegarmi i due
ragazzi a furia di supposizioni e imputazioni chechissàmagari nonrendevano giustizia al dipartito: tanto poco infatti -
almeno in apparenza - i due erano figli della loro madre. Su un cavallettonel salotto di leisi poteva ammirare un
ingrandimento fotografico del maritoottenuto con qualche orribile«ritocco» postumodrappeggiatoa mo' di vistosa
cornicecon una sciarpa di seta che testimoniava il candore del cattivogusto di Greville Fane. Il tutto lo faceva
assomigliare a un attore tragico fallitoma quella non era una prova di cuici si potesse fidare. Alla stessa stregua
poteva anche essere stato un comico di successo. Dei due figli la ragazza erala primogenitae sin da quand'era più
giovane mi aveva impressionato per la sua singolare insipienza. Era soltantolungamolto lungacome una lettera
illeggibile. Fu soltanto al ritorno della signora Stormer da un prolungatosoggiorno all'estero che Ethel (era questo il
nome di battesimo della ragazza) cominciò a dare la sensazioneampia einflessibile e da allora in poi predominante
d'aver assunto una certa determinazionequalcosa di importante e ufficialequasi fosse passato sotto la convalida di un
presidente a una riunione di consiglio. Dava a intendere che era suoproposito fare tutto il possibile per se stessa. Aveva
il collo lungoera miope e decisamente singolareal punto da farmisospettare di non aver mai visto tènere
diciassettenni di aspetto così duropresuntuoso e arido. Era freddaaffettata e ambiziosaed esibiva un occhialetto con
manico lunghissimo che si portava al viso ogni volta che non voleva vedere.Era sbocciatacome si dicebrillantemente;
eppure io la sentivo come circondata da una palizzata di ferro tutta punte.Ciò che contava di fare per se stessa era
sposarsiil che corrispondeva poi alla sola cosa che era disposta a fare perqualcun altro; ma chi sarebbe stato tanto
ispirato da voler scavalcare quell'irta barriera? Quale fiore di tenerezza od'intimità il potenziale avventuriero avrebbe
potuto aspettarsi come ricompensa?
La risposta dovrebbe darla Sir Baldwin Luardil qualenaturalmentesiguardò bene dal confidarmi il segreto.
Era un giovane piuttosto cupo e privo di senso dell'umorismo con l'aria dipossedere anche altri segreti e una
determinazione di farsi strada in politica resa evidente dalla fama secondocui - in ogni sacrosanta occasione - non
s'impegnava mai al di là di un immutabile «Oh!». Sua moglie e lui devonoaver comunicato essenzialmente attraverso
cerimoniose esclamazionima si capirono a sufficienza per concordare tuttauna serie di affinità di spirito. Ricordo di
essermi arrabbiato molto con Greville Fane il giorno che mi annunciò quellenozze come splendide; ricordo altresì di
averle chiesto in che cosa trovasse splendida l'unione tra la figlia di unadonna geniale e un'irrecuperabile mediocrità.
«Oh! È uomo di immense capacità»mi rispose; ma arrossì per quellabugìa tutta materna. Voleva direin realtàche
sebbene le proprietà di Sir Baldwin non fossero così vaste - possedeva unalugubre residenza in South Kensington e una
non meno lugubre «Hall» da qualche parte nell'Essexperaltro affittata -l'accoppiamento era «più elegante» di quanto
un figlio suo potesse aspirare a raggiungere. Alla faccia dell'audaciasociale dei suoi romanzimanteneva un'opinione
umile e modesta di se stessaal punto che di tutte le sue produzioni «miafiglia Lady Luard» era quasi quasi quella che
più l'inorgogliva. In cambioil personaggio in questione giudicava la suaautrice in termini piuttosto severi ed era
afflitto e imbarazzato dalle frequenti libertà della sua pennapur avendoun atteggiamento complesso nei riguardi di
questo suo indiretto rapporto con la letteratura. Fino a che si dimostravaeconomicamente vantaggiosala nobildonna
l'approvava e poteva transigere sull'inferiorità della professione invocandoalcuni dei vantaggi pratici che essa
procurava. Ho ragione di ritenere - e la mia ragione è data dal fatto che fula signora Stormer a parlarmene - che Ethel
tollerasse di buon grado che di tanto in tanto le dita sporche d'inchiostrodi sua madre le infilassero in mano qualche
banconota. D'altro cantonon mancava di deplorare lo «stile peculiare» alquale Greville Fane s'era votatae si chiedeva
dove una spettatrice che disponeva del vantaggio d'una figlia così benintrodotta fosse andata a raccogliere simili idee
sull'alta società. «Dovrebbe conoscerla megliocon Leolin e lasottoscritta» qualcuno aveva udito Lady Luard
37osservare; ma sembrava che alcuni pregiudizi di Greville Fane fossero senzarimedio. L'autrice non frequentava gli
ambienti di Lady Luarde la «buona società» non lo era abbastanza perlei... al punto da richiedere le sue prodigiose
migliorie.
Potei rendermi conto di quanto questa sua esigenza prendesse sempre piùcorpo in lei durante gli anni che
trascorse all'esteroquando occasionalmente la incontravo in uno dei suoifuggevoli soggiorni che incrociavano il
cammino del mio annuale vagabondaggio. Era solita trasferirsi dalla Germaniaalla Svizzera e dalla Svizzera in Italia;
preferiva le località a buon mercato e si sistemava col suo scrittoiogeneralmente nelle città di provincia. Andavo a
trovarla non appena mi era possibilee non trascuravo mai di domandarle comese la cavava il suo Leolin. Lei mi
aggiornava con entusiastici rapporti sul conto del figlioe non perdevaoccasione per raccomandarmi il ragazzo.
All'iniziom'ero prestato al gioco della sua carriera e facevo finta diammirarlo come un genio consacrato. Sulle prime
s'era trattato di un gioco anche per la signora Stormeril giovanotto inveceera stato tanto astuto da prendere la cosa sul
serio. Se la madre accettava il principio che per un aspirante scrittore nonè mai troppo presto per conoscere la vita
Leolin non aveva la minima intenzione di sottrarsi all'applicazione di questaverità fondamentale. Era ansioso di mettere
in mostra le sue qualità e cominciò a fumare all'età di dieci anni perragioni squisitamente letterarie. Sua madreche
credeva ciecamente in luise lo ammirava con invidia sconcertante ecomeDesdemonalamentava che il cielo non
avesse fatto di lei un uomo del genere. Più d'una voltami spiegònella sua professione aveva sentito il proprio sesso
come un terribile ostacolo. Adorava la storia della precoce ribellione diMadame George Sand contro un simile
svantaggioe sosteneva che se avesse portato i calzoni avrebbe potutoscrivere bene quanto la suddetta. Per la carriera
Leolin aveva se non altro la qualifica dei pantalonidei quali mano a manoche cresceva andava vieppiù riconoscendo
l'importanza con l'indossarne sempre di diversi. E così venne su impaludatoin abbigliamenti vistosiche
corrispondevano al suo modo di interpretare l'ideale della madre. Ad ogniincontrodunquela trovavo sempre più
convinta del fatto che stava lavorando per quell'ideale e che i sacrificicompiuti per lui avrebbero quanto prima arrecato
frutti incoraggianti. Si adoperava per trasmettere al ragazzo esperienzaperfornirgli impressioniper mettergli un
gagne-pain tra le mani. Era un modo di viziarlo con la coscienza piùpulita di questa terra. Mi tornano alla memoria le
immagini più strane di quel periodo dell'esistenza della buona signoraStormer e del suo stile di vitastraordinariamente
virtuoso e incredibilmente disordinato. Si illudeva di annotare le usanzestraniere per quanto le sottane glielo
permettessero; ma in realtà non prendeva nota di nullae meno che menoperfortunadi quanto si rideva alle sue spalle.
Conduceva la sua penna stravagante a Dresda e a Firenzeproducendo ovunque esempre i medesimi romanzi
sentimentali e ridicoli. Si portava appresso la cassetta dei suoi apparatiscenici dalla quale puntualmente rovesciava
fuori le vecchie e consunte marionette familiari. Ci credevaa differenza dichiunque altroe dato che nulla di simile era
reperibile sotto la luce del solerisultava anche impossibile dimostrare perconfronto la loro irrealtà. Non si possono
paragonare uccelli a pesci; si aveva tutt'al più la sensazione cheavendo ipersonaggi di Greville Fane il delicato
piumaggio della prima specie citatagli esseri umani non potessero cheappartenere alla seconda.
Sarebbe stato comicose non fosse stato talmente esemplarevederlaintrecciare amori di duchesse accanto ai
letti innocenti dei suoi bambini. In quelle sue giornate di lavoro assiduol'immorale e il materno coesistevano senza il
benché minimo problema di compatibilità: tranquillamenteella smetteva diarricciare i baffi dei suoi Ufficiali per
carezzare la testina ai suoi piccoli. La casa era frequentata da solennizitelle che venivano per il tè da qualche pensione
del Continentenonché da americani sempliciotti che si premuravano didichiararle quanto fosse adorata nel loro paese.
«In America avrei preferito piuttosto essere pagata» era il suo commentoin proposito; visto che questo riconoscimento
da parte del pubblico transatlantico era la sua unica ragione di cruccio. Gliamericani se ne andavano giudicandola poco
elegante; come autrice di tante belle storie d'amorestava deludendo lamaggior parte di quei pellegriniche non
avrebbero mai immaginato di trovare una schivacorpulenta e rubicondasignora con un copricapo simile a una
piramide sgretolata. I suoi romanzi descrivevano le passioni el'impossibilità di controllarlema parlavano anche dei
prezzi delle pensioni e di quanto fosse conveniente un farmacista inglese.Dedicò molte attenzioni e parecchie migliaia
di franchi all'educazione della figliache trascorse tre anni in un collegiodi Dresda molto esclusivodove ricevette
un'impareggiabile istruzione scientificaartistica e linguisticae doveimboccando una strada diversa rispetto a Leolin
era addestrata al ruolo di perfetta femme de monde. La ragazza eradotata per la musica e la filologia; si dedicò allo
studio di molte lingue e ne diventò abbastanza esperta da concepire unautentico disprezzo per la pronuncia
approssimativa della madre. Il francese e l'italiano di Greville Fane eranoridicoli; le era stata negata la facoltà di imitare
e possedevaper controil dono impareggiabilesoprattutto penna alla manodi piazzare errori madornali ad ogni
minima occasione. Ne era consapevole ma non se ne curava: la correttezza erala virtù checome i suoi eroi e le sue
eroinevalutava di meno al mondo. Una volta Ethelche aveva osservato nellesue pagine alcuni clamorosi strafalcioni
s'era impegnata a rivederne le bozze; ma ricordo quando - la ragazza avevalasciato la scuola da un anno - Greville Fane
mi disse che questo lavoro di correzione era stato ben poco esercitato. «Nonsopporta di leggermi» mi disse la signora
Stormer; «sembra che io offenda i suoi gusti. Secondo leia Dresda - nellasua scuola - i miei libri non erano ammessi.»
La brava donna non finiva di stupirseneavendo delle sue elucubrazioni lapiù alta opinione possibile. Non aveva mai
inteso fuggire di fronte alla realtàed era perciò convinta di doverstrisciare umilmente davanti al Radamante del
tribunale letterario ingleseovvero la tanto apprezzata e temibile Giovane.Io la rassicuraicosì per giococonfermando
l'ipotesi della sua spaventosa indecenza - un elementoa dire il veropresente in lei ai minimi terminicome del resto
era il caso di qualsiasi altro tratto del suo stile - e lo feci solamenteallo scopo di impedirle di indovinare che sua figlia
non per la sua immoralità aveva smesso di leggerlabensì perché latrovava volgarmente banale. Non mi riusciva
difficile figurarmi la scena dei due ragazzi che si appartavano percommentare l'un l'altra con aria costernata: «Perché
38mai la mamma deve essere così... e tanto tremendamente così... purdisponendo dei vantaggi sociali che noi le offriamo?
Non avremmo potuto insegnarle qualcosa di meglio noi?» Quindi me liimmaginavo nell'atto di riconoscerecon un
leggero rossore e una scrollatina di spalleche la genitrice era incapace diimpararedi migliorare. E di fatto lo era
povera signoraanche se non mi sembra corretto leggere alla luce del buongusto cose cheessenzialmentenon avevano
la pretesa di essere scritte con buon gusto. In quel mucchio di assurditàsenza capo né codaGreville Fane riusciva a
mantenere la sciocca fiducia di trovarsi al riparo da ogni criticané piùné meno di chi è affetto da balbuzie o da
strabismo.
Malgrado tuttocomunqueseppe evitare che il figlio si vergognasse dellaprofessione cui era predestinato;
anche se luiin compensosi vergognava del modo in cui lei la esercitava.Ma il ragazzo sopportava l'umiliazione molto
meglio di sua sorellapronto com'era a presumere che un giorno avrebbeprovveduto lui a riportare in pari la bilancia.
Giovane astuto e previdente qual eramosso da appetiti e ambizioninonaveva l'ombra di uno scrupolo nella sua
composizione. La teoria della madresecondo cui il suo Leolin avrebbe benpresto raggiunto livelli di prospera abilità
lo privava di quella salutare disciplina indispensabile a evitare che giovaniindolenti si trasformino in fannulloni. Egli
trasse profittoin terra stranierada un precettore occasionale e da unpaio di soggiorni nella solita scuola svizzerama
senza dedicarsi a uno studio continuatoe senza mai manifestare il propositodi iscriversi all'università o di conseguire
un diploma. Ci si può immaginare con quale zelomano a mano che gli annipassavanoavesse fatto sua la battuta che
per lui non esisteva un manuale più importante del voluminoso libro dellavita. Si trattava in verità di un volume assai
costoso da esaminarema la signora Stormer era pronta a mettergli adisposizione una bella sommasotto la voce che
avrebbe definito premiers frais. Ethel non era d'accordo: trovavaquesto tipo di educazione inadatto a un gentiluomo
inglese. Le sue preferenze andavano a Eaton e Oxford o a qualsiasi altro college- si sarebbe anche accontentata di uno
dei più modesti - seguitoovviamentedal servizio militare. Ma Leolin nons'era mai curato molto del parere della
sorella; era chiaro che i due non stravedevano l'uno per l'altraanche se avolte capitava loro di darsi una mano. Quella
che invece coincideva in loro era l'interessata volontà... che la madre nonsi staccasse dalla scrivania.
Quando la signora Stormer riapparve in Inghilterradicendomi di essersi«assicurata» tutto ciò che il
Continente aveva da darleLeolin era ormai un omettole spalle benpiazzatela faccia rubizzaun immenso guardaroba
e una straordinaria sicurezza di modi. La madre era appassionatamentequasiaggressivamentecerta d'averlo messo
sulla giusta stradae prese l'abitudine di vantarsi di tutto ciò che Leolinsapeva e vedeva. Il giovane era ormai pronto a
imbarcarsi nella professione di famigliaa iniziare il lavoro d'autorecomeusavano dire tra lorotant'è che poco dopo
mi venne comunicato il suo debutto. Aveva scritto qualcosa di tremendamentebrillante che sarebbe apparso sulla rivista
Cheapside. Probabilmente il pezzo uscì davvero; non ebbi il tempo diaccertarmene; fatto sta che nessuno mai me ne
parlò. Diedi comunque per scontato che se quel contributo era passatoattraverso le mani della madre avrebbe in effetti
illustrato più che altro l'abilità di leied era interessanteprefigurarsi il futuro della signora costretta a scrivere oltre che i
suoianche i romanzi del figlio. Non così vedeva le cose Greville Fanelaquale piuttosto lasciava credere che fosse lui
ad aiutarla a scrivere i suoi. Non mancava di assicurarmi che il figlioarricchiva i suoi scritti con brani di grandissimo
valore... ogni sorta di dettagli tecnici significativitocchi felici sullosport della caccia e della vela o sui sigari e sul vino
sullo slang della City e sul linguaggio di moda tra uomini ai club...cosa sulla qualealtrimentisarebbe stata poco
attendibile. Insommatanta esperienza per lui e un gran sollievo per lei.Devo dire che non mi fu possibile scoprire
quelle paginevisto che ormai da tempo avevo rinunciato a «stare al passo»con Greville Fane; ma mi fu facile credere
che almeno l'argomento vino fosse stato messo a punto dai buoni uffici diLeolin; la nostra cara amicainfattiaveva
l'abitudine di mescere le sue bevande - era sempre occupata a offrire glisplendidi banchetti - nei modi più bizzari.
Potevo immaginarmi il ragazzo abbastanza maturo per assumersi con regolaritàquel compito. E arrivai persino a
pensarequando lei ritornò in Inghilterrachemagari usando abilmente ilcontributo di entrambi i suoi ragazziGreville
Fane avrebbe potuto davvero dare una rinfrescata al proprio stile. Ethel eratornata anche leiper dar libero corso alle
sue innate ambizioni mondanee se proprio non se la sentiva di presentare lamadre in societàci sarebbe andata da sola.
In silenziodeliberatamentenon senza una certa grintala ragazza alzò latestaserrò i suoi lunghi dentipuntò i suoi
scarni gomiti e si fece strada su per la scala che s'era scelta. La solacomunicazione che mi fecela sola confidenza di
cui m'abbia mai onoratofu quando mi disse: «Non m'interessa frequentarel'ambiente di mia madrevoglio conoscerne
altri.» Presi debita nota dell'osservazionevisto che non venivo inclusofra gli «altri». Non potrei ripercorrere le tappe
della sua scalata; ricordo soltanto chea distanzala stavo ad ammirare eall'occasione giusta mi congratulavo con sua
madre per i risultati. I risultatiprima gradualipoi definitiviinfinemeravigliosifurono che Ethel poté recarsi ai
«grandi» ricevimenti e ottenne che persone «in vista» ve laaccompagnassero. Alcune di queste erano persone da lei
incontrate all'esteroaltre erano persone presentatele dalle persone da leiincontrate all'estero. Tutte cercavano di
assecondare i desideri della signorina Etheled io mi chiedevo come facessea strappare tanti favori senza neppure lo
sforzo di un sorriso. Il suo sorriso era peraltro la cosa più scipitaesistente in naturauna specie di limonata a buon
mercato diluita e senza zuccheroeppure Ethel aveva acquisito precocementeun certo buon senso socialesapendo
riconoscere chepur non essendo né abbastanza piacente né abbastanza riccané abbastanza brillantepoteva almeno
nella sua muscolosa giovinezzaessere abbastanza sgarbata. Quindiavendoraggiunto così un buon piazzamento da
fornire suggerimenti alla madreda informarla di cosa realmente accadevanelle residenze dei potentida trasmetterle un
po' di colore locale e dati su cui lavorareera lei a guidarel'esausta pennasul vecchio logoro e macchiato ma prode
quadernoimprimendole un'andatura ancor più gagliardae proprio quandotutto dipendeva da quella fatica. Ma se l'una
assunse in tal modo grandi abilità critichel'altraquella che faticavasi dimostrò costituzionalmente inadatta ad
39apprendere la lezione. Era ormai tardi perché Greville Fane potesseimpararee non mi risulta comunque che sia riuscita
a rinnovare il suo stile. Era destinata ad avere lo stesso stilecomeavrebbe detto Leolindal debutto alla fine.
Negli ultimi tempila signora Stormer era stanca ed esauritama mi confidòche non poteva concedersi pause.
Continuava a parlare del lavoro di suo figlio come della grande speranza delloro futuro - non aveva messo denaro da
parte - per quanto il giovanotto andasse assumendoa mio avvisoun'ariasempre più professionalese vogliamoma
sempre meno letteraria. Un paio d'anni più tardil'impudenza con cui Leolinrecitava la sua parte nella commedia era
davvero eccezionale. Quando mi domandavo come lei potesse recitare la suasentivo di nuovo l'inutilità della sua
passione maternache era a prova - così credevo ioe così risultò allafine - di qualsiasi interferenza della ragione. Ella
amava il suo giovane impostore con ingenuaottenebratacieca adorazioneedi tutti gli eroi da romanzo che le erano
passati sotto gli occhilui era di gran lunga il più brillante. Eraadogni buon contoil più reale... lei poteva toccarlo
pagare per luisoffrire per luiamarlo. Le faceva pensare ai suoi prìncipie ai suoi duchie quando voleva concretizzare
quei personaggile bastava pensare al suo ragazzo. Più volte mi aveva dettodi essere trasportata dalle proprie creature a
maggior ragione doveva capitarle con Leolin. Era lui a incarnare - almeno daquello che poteva essere un punto di vista
romantico - tutto il tema della giovinezza e della passione. Ella sostenevae non senza ragioneche un autentico
romanziere dovrebbe sentire intensamente tutto il fluire della vita;riconosceva con rimpianto di non aver avuto il tempo
di sentirlo personalmentee quel vuoto nella sua storia era in qualche modocolmato dell'impeto di quel suo magnifico
giovanotto. Penso che facesse di tutto per sostenerlo; quanto a leiinzuppava la sua frusta spugnetta nel torrente. Quanto
si dicevano durante quelle ore di addestramentoera un misteroma suppongoche si sforzasse di inculcargli l'idea che
l'importante era vivereperché è la vita che ti fornisce materia prima. Elui non chiedeva nulla di meglio; raccoglieva
materia primae la ricetta gli serviva da pretesto universale. Bastavaguardarlo per capire checon le sue spille da
cravatta e i suoi anellile sue giacche a quadrettoniil suo precoce embonpointi suoi occhi splendenti come gioielli
tutte le varie manifestazioni del suo tempera mento sanguignola suaconcezione di vita non poteva che essere
decisamente volgare; ma si dava il caso che la risposta che sua madre siaspettava fosse per il momento squisitamente
pratica. Se lei gli aveva imposto una professione sin dalla più tenera etàquella che lui seguiva era proprio una
professione. Ma le due cose non coincidevano perché la professione che avevaadottato era quella di vivere alle spalle di
lei; per lo menonon si poteva dire che non fosse coerente. Se lei insistevanel credere in luilui si offriva al sacrificio.
La mia impressione è che il sogno segreto di Greville Fane fosse una liaisontra Leolin e qualche contessae che lui
avesse convinto la madre di averne una per le mani davvero. Non so bene dicosa siano capaci le contessema ho
un'idea sufficientemente chiara di cosa fosse capace Leolin.
Non riuscì tuttavia a persuadere la sorellache in fondo lo disprezzava...e desiderava lavorarsi la madre a
modo suo; tanto che mi chiesi come mai l'opinione che ne aveva la ragazza nonme la rendesse più simpatica. In realtà
quel particolaredopo tuttonon le impediva di essere tacitamente d'accordocol fratello di fare a metà. Vi erano
momenti in cui non potevo fare a meno di fissarlo in quei suoi occhispietaticon la voglia di sfidarlo a confessare la sua
colossale frode e a rinunciarvi. In tal sensonon furono poche le muteconversazioni scambiate fra di noia suon di
occhiatema era sempre lui ad avere la meglio. Se dicevo: «Suandiamoconme non hai bisogno di recitare; dichiara la
tua colpa e io ti lascerò perdere» lui assumeva la più ingenuala piùcandida delle espressioninelle cui pieghe
profonde io potevo leggere: «Sìlo so che la cosa ti esaspera... è perquesto che continuo...» Aveva scelto la linea della
conversazione innocuami parlava di Balzac e di Flaubertmi chiedeva se nonpensavo che Dickens avesse esagerato o
se Thackeray non dovesse essere definito un pessimista. Una voltavenne a trovarmidietro suggerimento di sua madre
come egli stesso dichiaròcon l'intenzione di domandarmi quanto lontanoamio parereun autore potesse «spingersi»
nel romanzo inglese. Non era il tipo da rassegnarsi alle solite pruderiesda perdersi in chiacchiere infantili; di «pane e
burro»ne aveva abbastanza. E partorì la brillante idea che fosseimpossibile sapere quanto lontano ci si potesse
«spingere»visto che nessuno aveva mai tentato. Non ritenevo forse io che luifosse in grado di provarci senza
pericolo... e in tal caso non avrebbe recato danno alla madre? Avrebbepreferito il disonore per mancanza d'audacia
piuttosto che recar danno a sua madrema tuttavia qualcuno doveva provare.E perché non avrei dovuto essere io
quello... perché non mi lasciavo convincere a considerare l'impresa undovere? Ovviamenteandava stabilito un limite...
era preoccupatoossessionato dal problema. Mi incalzò senza arrossiremifece sentire uno stupido dilettanteun
novizio sprovvedutovolle sapere delle mie abitudini di lavoro e insinuòche io fossi del tutto vieux jeu non avendo
goduto il vantaggio di un addestramento sin da ragazzo. Non ero statoallevato fin dall'uovoio. Nulla sapevo della
vita... non mi ci buttavo sopra secondo il suo sistema. Doveva averleggiucchiato qualche feuilleton francese e aveva
collezionato una quantità di luoghi comuniil che gli consentiva di farenella conversazione una figura migliore di
quanto non facesse la sua povera madreche non aveva mai avuto tempo dileggere e poteva esibirsi solo con la penna.
Se non lo presi a calci giù per le scale fu perché in fondo sarebbeatterrato addosso alla madre.
Quando Greville Fane andò a vivere a Primrose Hillmi recai a visitarla ela trovai sciupata e pallida.
L'eccitazione causatale l'anno precedente dal matrimonio di Ethel le eraevidentemente passata. Nella coppa
spumeggiante era rimasta solo una bevanda amara. Si era dovuta ridurre in unacasa meno cara e oraper pagarlaera
costretta a lavorare di più. Sir Baldwin non poteva largheggiare; i suoiimpegni erano tremendamente onerosie il sogno
di lei di andare a vivere con la figlia - un'ipotesi di cui peraltro nonm'aveva mai fatto menzione - venne messo da parte.
«Avrei potuto esser loro d'aiuto in qualcosae mi sarei accontentata di unasola stanza» mi disse; «avrei pagato ogni
cosa ioe - dopo tutto - sono pur qualcuno ionon credete? Ma sembra chequello non sia posto per metanto più che
Ethel mi dice che deve ricevere gente noiosa. Certo che posso aiutarlianche stando quie forse meglio. Una volta
sapetemi ha confidato ciò che pensa della mia visione della vita. ‹Èuna visione assurdamamma!› Sono d'accordo che
40lo siama allora perché se la prende con me se talvolta ho dovuto svendere?Tre romanzi m'è toccato scrivere per pagare
i costi del suo matrimonio. E ho fatto tutto per bene... mi riferisco alcorredo e alla cerimonia; per questo sono quiora.
Resta il fatto che non le va di vivere a Blicket con una povera vecchiadonna. Avrei potuto dare alla loro casa un'aria di
prestigio letterarioma il prestigio letterario è soltanto la distinzionedi chi non è nessuno. Inoltrelei ha idee precise
riguardo alla mia gloria... lei sa che sono famosa soltanto a Peckham e aHackney. Vuole evitare che i suoi amici le
chiedano se ho mai frequentato persone come si deve. Non se la sente di dirloro che non sono mai stata in società. Ha
tentato una volta di insegnarmi a essere più presentabilema io non ce l'hofatta. Sembrerebbe che persino Peckham e
Hackney ne abbiano abbastanza di me; perché (ma non ditelo in giro) ho presomeno per il mio ultimo libro che per
qualsiasi altro lavoro.» Le chiesi di quantificarmi quel menonon tanto percuriositàma piuttosto per rimproverarlain
modo certo più disinteressato di quanto aveva fatto Lady Luardper similiconcessioni. Mi rispose: «Ho vergogna a
dirvelo»poi scoppiò a piangere.
Non l'avevo mai vista in crisi e ne fui relativamente commosso; singhiozzavacome un bambino spaventato sul
declino della sua popolarità e sull'esaurimento della sua vena. La suastanzetta da lavoro sembrava davvero un campo
sterile dove non potevano che crescere fiori da mercatoed io mi chiesinegli anni a venire (visto che continuò
ugualmente a produrre e a pubblicare) grazie a quale disperato ed eroicoprocedimento riuscisse a cavarli fuori dal
terreno. Ricordosempre in quella occasionedi averle domandato che ne eradi Leolin e per quanto tempo ancora
intendeva concedergli di divertirsi alle sue spalle. Rispose con fogaasciugandosi gli occhiche il ragazzo stava
lavorando sodo giù a Brighton - era a metà d'un romanzo - e che sentiva talmentela vitain tutto il suo tormento e
misteroche le sembrava crudele parlare di quelle sue esperienze come didivertimenti. «È il tipo che scava in
profondità» mi disse«che si costringe a prendere di pettorealtà dalle quali preferirebbe poter fuggire. E questo voi lo
chiamate un divertimento? Dovreste veder la sua facciaa volte! E lo fa permenon meno che per se stesso. Mi
racconta ogni cosa... viene a trovarmi ogni tanto con le sue trouvailles.Siamo fra artistie per un artista tutto è puro. Più
volte ho sentito dire da voi la stessa cosa.» Il romanzo che Leolin eracosì impegnato a concepire a Brighton non vide
mai la lucema un amico mio e della signora Stormer che viveva là mi disseper casoqualche tempo dopod'aver visto
il giovane apprendista letterato portare a spasso in calesse una ragazza dalviso molto roseo. E quando io suggerii che si
trattava forse di una donna titolata alla quale lui stava facendocoscienziosamente la corteil mio informatore replicò:
«Lo sarà senz'altroma volete sapere di che titolo si tratta?» E lonominò... un titolo davvero usuale e significativoche
preferisco non riportare qui. Non saprei dire se Leolin parlò anche diquesto a sua madre: chein tal casoavrebbe avuto
bis ogno di tutta la purezza dell'artista per perdonarlo. Talmente detestavol'idea di incontrarmi con luiche negli
ultimissimi anni andai raramente a visitarlasebbene sapessi che era ormaivicina alla fine. Non volevo che mi dicesse
che era costretta a dar via i suoi libri per niente; non volevo vederlainvecchiata e abbandonata e derisa; non volevo
insommavederla piangere disperatamente. Bisogna dire che continuava a tenerduro in modo sorprendentee che di
tanto in tantoal mio clubmi capitava di scorgere tre suoi nuovi volumiin verdein cremisiin blusul tavolo della
biblioteca scricchiolante sotto il peso di tanta letteratura leggera. Unavolta la incontrai a una soirée dell'Accademia
dove è normale incontrare persone che si pensano morte da tempoe fu lìche mi accordò l'informazionequasi che a me
la dovesse in tutto candoresecondo cui Leolin era stato costretto ariconoscere le insuperabili difficoltà circa la
questione della forma... era troppo esigente; e mi comunicò altresìche era pervenuta a un'intesa definitiva con lui (quale
consolazione!): si sarebbe preoccupata lei della forma se lui avesseportato a casa la sostanza. E quello era ormai di
Leolin impiego: pascolare per lei nel bel mondoovviamente stipendiato. «Èil mio ‹genio›vedete? Come se io fossi un
grande avvocato: lui istruisce il caso e io lo discuto.» Aggiunse poi cheoltre al salarioil suo Leolin riceveva anche un
tanto «al pezzo»: tanto per un personaggio singolaretanto per un nome digustotanto per un intrecciotanto per un
episodioe tanto gli aveva promesso se avesse inventato un nuovo crimine.
«Mi pare che ne ha già inventato uno» commentai«per il quale èpagato ogni santo giorno della sua vita.»
«Cos'è mai?» interrogòguardando con insistenza alla parete il quadrodell'annoIl bambino nella tinozza
accanto al quale casualmente ci trovavamo.
Esitai per un istante. «Scriverò personalmente un raccontino in propositocosì capirete.»
Ma non vide e non capì mai; non aveva mai visto nullae se ne andò con lasua ammirevole cecità. Suo figlio
finì col pubblicare ogni ritaglio di carta scribacchiata che gli riuscì discovare dai suoi cassettie sua sorella litigò
ferocemente con lui sui proventiil che le dimostrò che quello di cui avevabisogno era soltanto un pretestovisto che il
denaro in questione non poteva che essere stato poca cosa. Non so di che stiavivendo ora Leolinse non alle spalle di
una equivoca signora di qualche anno più vecchia di lui e che recentementeha sposato. L'ultima volta che l'ho visto mi
ha dettocon quel suo sorriso che mi rendeva furioso: «Non pensate chepossiamo spingerci ancora un po' più in là...
solo un poco?» E realmente - con me almeno - s'era spinto troppo.
1892
LA BESTIA NELLA GIUNGLA
I
41Poco importa sapere come nacquedurante il loro incontroil discorso chetanto l'aveva turbato; bastarono
probabilmentepoche parole dette da luisenza una precisa intenzionecosì... mentre si attardavano e poi lentamente
s'incamminavano insieme dopo aver rifatto conoscenza. Era arrivato una o dueore primacon altri amicinella casa
dove lei si trovava ospite ecome parte di quel gruppo di visitatori che siera formato nell'altra casa - e grazie al quale
come sempreaveva potuto attuare la sua teoria di confondersi tra la folla -era stato invitato a colazione. Dopo
colazioneappuntogli ospiti s'erano dispersipresi per lo piùdall'interesse di una visita a Weatherendai suoi oggetti
preziosialle curiositàai quadriai cimeliai tesori d'artecheavevano reso quel luogo quasi famoso; le ampie sale
dell'edificio erano talmente numerose che gli ospiti potevano aggirarvisicome volevanostaccarsi dal gruppo principale
equando gli oggetti esposti fossero degni di estrema attenzioneabbandonarsi a misteriosi apprezzamenti e valutazioni.
Si scorgevano personein angoli appartati; sole o in coppiacurve aguardarechecon le mani sulle ginocchiagiravano
qua e là la testa come in preda a un'eccitata sensazione olfattiva. Quandoerano in coppiascambiavano frasi estatiche o
si struggevano in silenzi ancor più significativicosì cheper molteragionia Marcher veniva da pensare di trovarsi a
una di quelle svendite molto reclamizzatequando si da quell'«occhiatad'insieme» che serve ad accendere o a smorzare
a seconda dei casila smania degli acquisti: smania che a Weatherendsembrava si sarebbe addirittura scatenatae John
Marcherfra tante e tante suggestionisi scoprì sconcertatoquasi inegual misurasia dalla presenza di coloro che ne
sapevano troppo sia da quella di coloro che sembrava non capissero nulla.Tanta era la poesiatanta la storia che da
quelle grandiose stanze gli pesavano addosso che egli sentìper rientrarein un rapporto adeguato con esseuna certa
voglia di appartarsivoglia che non poteva assolutamente essere paragonatacome l'avidità di alcuni dei presential
modo che ha un cane di fiutare una dispensa. E il fatto di essersi appartatoebbe quasi subito un risultato inatteso.
E cioèin poche paroledurante quel pomeriggio d'ottobreuna sua piùintima conoscenza con May Bartramil
cui viso - una vaga reminiscenza più che un vero e proprio ricordo - avevacominciato a turbarlo piuttosto
piacevolmente quando sedevanoanche se molto distanti l'uno dall'altraauna lunghissima tavola. Quel volto lo aveva
attratto come la continuazione di qualcosa di cui aveva perduto la primaparte. Lo riconoscevae per il momento lo
accolse di buon gradocome un seguitodi cosa perònon riusciva a capire;e questo non fece che aumentare la curiosità
o il divertimentotanto più che Marcher era in qualche modo sicuro - pursenz'alcun cenno diretto da parte di lei - che
lei la giovane donnail filo non l'avesse perduto affatto. Non l'avevaperdutoma non glielo avrebbe restituitoMarcher
capìse non fosse stato lui a tendere la mano in qualche modo perprenderlo; e non si rese conto soltanto di questoma
di molte cose ancoratutte abbastanza curiose si pensava chenel momento incui l'occasionale formarsi dei gruppi li
portò faccia a facciastava ancora lambiccandosi con l'idea che qualsiasirapporto fosse intercorso fra loro nel passato
non doveva aver avuto alcuna importanza; e se era davvero cosìa maggiorragione Marcher si stupiva che ora ne
avesse tanta; ma forsefinì per rispondersidate le circostanzenonrestava altro da fare che prendere le cose così come
venivano. Gli faceva piaceresenza essere minimamente in grado di direperchéche la posizione della giovane donna in
quella casa facesse più o meno pensare a quella di una parente povera; comepure che la sua presenza lì non fosse
dovuta a una breve visitama a un impiego stabileremunerato. Godeva forsesaltuariamente di una protezione che
ricambiavafra l'altroaiutando a mostrare il luogo e a illustrarloatrattare con la gente noiosaa rispondere alle
domande circa la storia dell'edificiogli stili dei mobilila paternitàdei quadrigli antri prediletti dal fantasma? Non che
avesse l'aspetto di qualcuno cui si può dare la mancia... tutto fuorchéquello. Eppurequando finalmente lei si lasciò
trasportare verso Marcher dall'ondeggiare della follabella e distintaanche se assai invecchiata - invecchiata da quando
l'aveva veduta l'ultima volta -questo sembrò la conseguenza diun'intuizione da parte sua del fatto chededicandole lui
in quelle ore maggior fantasia che non a tutti gli altri messi insiemedoveva aver raggiunto una forma di verità agli altri
inaccessibile. Lei era lì in condizioni più difficili di chiunque; era lìa causa di sofferenze patitein un modo o nell'altro
in quell'intervallo di anni; e si ricordava molto bene di luiproprio comelui di lei... soltanto con assai maggior
precisione.
Quando finalmente cominciarono a parlareerano rimasti soli in una dellesale - impre ziosita da un bel ritratto
sopra il camino - per la quale gli amici erano già passatie l'incanto ditale incontro era dovuto alla circostanza che
ancor prima di dirsi qualcosasi fossero tacitamente accordati per rimanereindietro e attaccare discorso. L'incanto
felicementeera in ogni cosa... del restonon c'era angolo a Weatherend chenon fornisse occasione per attardarsi. Era in
quell'affacciarsi dalle grandi finestre della giornata d'autunno che svaniva;in quella luce rossastrache erompendo alla
fine dalla bassascura fascia di cielopenetrava in un lungo raggio egiocava sugli antichi pannelli di legnosulle
antiche tappezzeriesugli ori antichisugli antichi colori. Ma l'incantoforsefu soprattutto nel modo in cui lei gli si
avvicinòcome riservandogli la possibilitàqualora egli preferisse nondar peso all'intera faccendadi considerare la sua
gentile attenzione come parte delle sue normali mansioniessendo leiincaricata di intrattenere i visitatori più
sprovveduti. Manon appena udì la sua voceil vuoto fu colmato e Marcherritrovò l'anello mancante; la delicata ironia
che aveva percepito nell'atteggiamento di lei perse il suo vantaggio. Marcherfece quasi un balzo in avanti per arrivare
prima. «Vi ho incontrata anni e anni orsonoa Roma. Ricordo tuttoperfettamente.» Lei confessò il suo disappunto: era
così sicura che non ci sarebbe riuscito. Per provare quanto buona fosse lasua memoria Marcher cominciò a snocciolare
una reminiscenza via l'altracosì come gli venivano man mano che lerichiamava. Il volto e la voce di leiadesso tutti
per luioperarono il miracolo... come la torcia di un lampionaio chetrasforma in fiammasfiorandoli uno ad uno un
lungo filare di lampioni a gas. Marcher si compiacque di quella brillanteilluminazionecosa che non gl'impedì di
sentirsi ancor più soddisfatto quando leidivertitagli fece notare chenella fretta di precisare ogni dettaglioaveva
commesso un buon numero di errori. Non a Roma s'erano incontrati... ma aNapoli; e non otto anni addietro... erano
42ormai quasi dieci. E leinon si trovava là in compagnia di uno zio e di unaziabensì della madre e del fratello; oltre a
ciòMarcher non era arrivato con i Pemblesma con i Boyerse da Roma...un particolarequest'ultimoche poteva
provare e su cui lei insistette causando in Marcher un certo imbarazzo.Infattii Boyers li conoscevama non i Pembles
per quanto ne avesse sentito parlareed erano stati proprio i Boyers apresentarli. L'incidente del violento temporale che
li aveva costretti a rifugiarsi in uno scavo... questo incidente non eraavvenuto al Palazzo dei Cesaribensì a Pompei
proprio quando si erano trovati là per assistere a una scoperta importante.
Marcher accolse le sue correzioniaccettò di buon grado quelleosservazionisebbene ne risultasse - come May
non mancò di far notare - che in realtà di lei non ricordava un belnulla; si limitò però a registrare l'inconveniente del
fatto cheuna volta esaurita quella scrupolosa ricostruzione storicabenpoco rimaneva del loro rapporto passato.
Rimasero insieme a lungolei trascurando le sue mansioni - Marcher era tantoistruito che non poteva certo svolgerle
con lui - ed entrambi dimenticando la casaquasi aspettando che un altroricordo o due affiorassero alla loro memoria.
In pochi minutidopo tuttoavevano scoperto le proprie carte; era chiaroperò chedisgraziatamenteil mazzo non era
completo... che il passatostuzzicatoinvitatoinvocatonon poteva darepiù di quanto aveva. Li aveva solo portati a
incontrarsi: lei con i suoi vent'annilui con i suoi venticinque; erastranosembrarono dirsiche dal momento che c'era
non fosse stato un po' più generoso. Si guardarono l'un l'altro con lasensazione di un'occasione mancata; il presente
avrebbe potuto essere tanto migliore se il passatocosì lontanoe in terrastranieranon fosse stato tanto stupidamente
avaro. A conti fattinon erano più di una dozzina gli avvenimentivecchiecose di poca importanzach'erano potuti
accadere fra loro; banalità di gioventùsciocchezze e ingenuità dovuteall'ignoranza e all'inesperienzaqualche seme
sparsoma troppo profondamente sepolto - troppo profondamente davvero? - pergermogliare dopo tanti anni. Marcher
si rimproverava di non averle reso allora qualche servizio: salvarla da unabarca naufragata nella Baia o almeno
recuperarle la valigiarubatale dalla carrozza per le viuzze di Napoli daqualche lazzarone armato di stiletto. Oppure
sarebbe stato bello se fosse stato colto da una febbresolo in albergoedella fosse accorsa a curarlopreoccupandosi di
avvisare la famigliae di accompagnarlo a passeggio durante laconvalescenza. Allora sì che sarebbero entrati in
possesso di quel qualcosa che sembrava mancare al loro incontroattuale. Comunquea modo suoquest'incontro
appariva troppo bello per essere sciupato; cosìper pochi minuti ancoracontinuarono a chiedersi vanamente perché -
pur avendocome sembravaun certo numero di amici in comune - fosse statotanto a lungo differito il loro ritrovarsi.
Non usarono esattamente questo terminema quell'indugiareun minuto dopol'altroinvece di raggiungere gli altriera
quasi un confessare che non volevano assolutamente fosse un fallimento. Itentativi di trovare le ragioni del loro
mancato incontro servirono soltanto a dimostrare quanto poco conoscesserol'uno dell'altro. Venne dunque un momento
in cui Marcher provò un vero e proprio senso di angoscia. Era vano fingereche si trattasse di una vecchia amicavisto
che mancava loro qualsiasi punto in comunee a dispetto di ciò ebbel'impressione che in qualità di vecchia amica gli
sarebbe andata più a genio. Di nuovi ne aveva abbastanza... ne eraaddirittura attorniato nella casa di prima; come nuova
amica si sarebbe a stento accorto di lei. Gli sarebbe piaciuto inventarequalcosaindurla a far finta di credereassieme a
luiche all'origine ci fosse qualche episodio di tipo romantico odrammatico. Stava quasi sfidando il tempo con
l'immaginazione alla ricerca di uno spunto che facesse al casoe dicendo ase stesso chese non l'avesse trovato
quell'abbozzo di rinnovato rapporto avrebbe rischiato di prendere una piegaimbarazzante.
Si sarebbero separatie questa volta senza la possibilità di altriincontrise anche quel tentativo si fosse
concluso senza successo. E fu proprio alloraquando una svolta s'imponevacome egli comprese più tardichevenendo
meno ogni altro mezzolei si decise a prendere l'iniziativa edi fattoasalvare la situazione. Non appena May cominciò
a parlareMarcher sentì che ella aveva deliberatamente taciuto ciò che orastava per dire sperando di poterne fare a
meno; e questo scrupolo lo commosse quandotre o quattro minuti dopoebbemodo di misurarne il valore. Ciò che
May dissead ogni modoalleggerì non poco l'atmosfera e riallacciòl'anello mancante... quell'anello che con strana
leggerezza aveva perso.
«Un giornosapetemi diceste una cosa che non ho mai dimenticato e che daallora mi ha fatto pensare a voi
più volte; era un giorno caldissimo e stavamo attraversando il golfo perandare a Sorrento in cerca di un po' di
refrigerio. Fu mentre tornavamogodendoci il fresco sotto la tenda dellabarcache mi diceste appunto... proprio non
ricordate?»
Marcher aveva dimenticatoe ne fu più sorpreso che vergognoso. Ma il bellofu che non colse in quelle parole
nessun richiamo volgare a qualche «tenero» discorso. La vanità delle donneha la memoria lungama in quel caso non
sembrava proprio che May stesse vantandosi con lui di un complimento o di unmalinteso. Con un'altra donnauna
donna totalmente diversaavrebbe magari potuto temere la rievocazione diqualche avventata «profferta». Così
costretto ad ammettere d'aver veramente dimenticatoebbe l'impressione chesi trattasse di una perdita piuttosto che di
un guadagno; gli sarebbe stato utile ricordare la cosa menzionata da May.«Ci sto pensandoma... noci rinuncio.
Eppure ricordo quel giorno di Sorrento.»
«A questo puntonon credo che voi possiate ricordare» disse dopo unattimo May Bartram; «e non sono
neppure sicura se io debba desiderarlo. È terribile riportare una personaindietro a ciò che era dieci anni prima. Se avete
vissuto finora prescindendo da quella cosa» accennò con un sorriso«tanto meglio.»
«Ma se così non è stato per voiperché dovrebbe esserlo per me?»chiese lui.
«Volete dire prescindere da ciò che io stessa ero?»
«Da ciò che io ero. E io eroovviamenteun somaro» proseguìMarcher; «ma preferirei sapere da voi appunto
che specie di somaro fossi allora - dal momento che qualche ricordo voil'avete - piuttosto che non saperne nulla.»
Ella esitò ancora. «Ma se avete completamente cessato di appartenere aquella specie...?»
43«A maggior ragione non mi costerà nulla sapere... Senza dire chemagarinon ho cessato affatto di
appartenervi.»
«Forse. Eppure se così fosse» aggiunse May«dovrei supporre chericordereste. Non che io associ al mio
ricordo l'odiosa qualifica che vi siete data. Se solo vi avessi preso per unosciocco» spiegò«la cosa di cui parlo non mi
sarebbe rimasta dentro a tal punto. Si trattava di voi.» S'interruppequasivolesse dargli il tempo di ritrovarla da solo;
ma siccomelimitandosi a incrociare lo sguardo di lei con aria sempre piùstupitaMarcher non accennava rispostaMay
a un tratto si decise: «È mai successa?»
Fu allora checontinuando a fissarlauna luce gli balenò dentro e ilsangue lentamente gli affluì al volto che
prese a bruciargli man mano che il ricordo si chiariva. «Volete dire che viconfidai...?» Ma si trattenneper paura di
tradirsio che la sua supposizione potesse essere errata.
«Era una cosa che vi riguardava personalmenteche era difficiledimenticare... beninteso sempre che ci si
ricordasse di voi. Ecco perché vi chiedo» May sorrise«se la cosa che midicesteè poi avvenuta»
Ora sì che capiva Marcherma venne sopraffatto dallo stupore edall'imbarazzo e Mayaveva capito anche
questone fu dispiaciuta per lui come se la sua allusione fosse stata unerrore. Gli bastò un attimo per avvertire che non
a un errore era dovuto il suo imbarazzobensì alla sorpresa. Anzidopo loshock inizialeil fatto che lei sapesse
cominciòper quanto abbastanza stranamentea prendere per lui un dolcesapore. May era dunque la sola persona al
mondo che sapessee l'aveva continuato a sapere per tutti quegli annimentre la circostanza di averle sussurrato un
segreto così gli era inspiegabilmente svanita dalla mente. Nessunameravigliaquindise non era stato possibile che si
incontrassero come se nulla fosse accaduto. «Credodi sapere» disse allafine Marcher«di sapere a cosa alludete. Solo
è curiosoma avevo perduto perfino la sensazione di avervi introdotto a talpunto nella mia intimità.»
«Forse perché l'avete fatto con molte altre persone?»
«Al contrario. Nessun altro da allora.»
«Cosìio sarei l'unica persona a sapere?»
«L'unica al mondo.»
«Bene» continuò lei in fretta«in quanto a me non ne ho mai fattoparola. Maimai ho riferitoparlando di voi
quanto mi diceste allora.» Lo guardò in un modo tale che lui le credettecompletamente. I loro occhi s'incontrarono e a
Marcher non restò più alcun dubbio. «Né mai lo farò.»
C'era nella sua voce una serietà taleeccessiva perfinoche tolse aMarcher qualunque sospetto d'ironia da parte
di lei. In qualche modo considerò l'intera faccenda come un nuovo tesoro peril fatto stesso che lei fosse già in possesso
del segreto... E se May non aveva preso un atteggiamento sarcasticoevidentemente simpatizzava con luie questo a
Marcherin tutti quegli anninon era capitato con nessuno. Sentiva cheadesso mai e poi mai avrebbe potuto anche solo
accennare a quelle confidenzema nondimeno si poteva tranquillamentepermettere il lusso di approfittare dell'incidente
di averlo già fatto a suo tempo. «Per favorealloranon fatelo. Lasciamole cose come stanno.»
«Ohper me va bene» rise lei«se per voi è lo stesso!» Al cheaggiunse: «Ma... avete sempre quel vostro
presentimento?»
Era impossibile per lui non rendersi conto che May era realmente interessataanche se la cosa non finiva di
stupirlo. Aveva sempre pensato di essere terribilmente soloed ecco che solonon era affatto. Né lo era mai stato - così
sembrava - neppure per un'ora... a partire da quel pomeriggio sulla barcaaSorrento. Lei sì che era stata solagli parve
di intuire osservandolasola per la imperdonabile circostanza della suamancanza di fedeltà. Dirle quello che le aveva
detto... cos'altro era stato se non chiederle qualcosa? Qualcosa che ellaaveva concesso in tutta generositàsenza che lui
non foss'altro che con un ricordo o un pensiero gentiledato che non c'erastato un altro incontrosi fosse mostrato
riconoscente. In sostanza egliall'iniziole aveva chiesto semplicementeche non ridesse di lui ed ella se ne era
meravigliosamente astenuta per dieci annie continuava ad astenersene.Infinita era dunque la gratitudine che Marcher
le doveva. Tanto più che ora voleva sapere con esattezza in che modo loavesse giudicato allora. «Come vi ho detto
esattamente...?»
«Circa la natura di quel vostro presentimento? Manel modo più semplice.Diceste che sin dalla primissima
infanzia avevate avutonel più profondo di voicome la sensazione diessere destinato a qualcosa di raro e di strano
prodigioso forse e terribile; qualcosa che vi avrebbe colpitoe magarisopraffattopresto o tardie di cui avevate il
presentimento e la certezza fin nelle ossa.»
«E a voi questo sembra tanto semplice?» chiese John Marcher.
May rifletté un momento. «Chissàforse perché mentre parlavate misembrava di capirvi così bene.»
«Davvero mi capite?» chiese lui avidamente.
Lo sguardo benevolo di May tornò a fissarsi su di lui. «E avete ancoraquella convinzione?»
«Oh!» esclamò Marcher in segno d'impotenza. Aveva troppe cose da dire.
«Di qualsiasi cosa si tratti» concluse lei con decisione«non è ancoracapitata.»
Marcher scosse la testa arrendendosi completamente. «Non è ancora capitata.Solovedetenon si tratta di una
cosa che io debba farech'io debba compiere nel mondoperdistinguermi e farmi ammirare. Non sono somaro a tal
punto. Sarebbe senza dubbio molto meglio che lo fossi.»
«Si tratta allora di qualcosa che dovrete semplicemente subire?»
«Behdiciamo attendere... qualcosa che devo incontrareaffrontarecheeploderà all'improvviso nella mia vita;
forse distruggendo ogni ulteriore consapevolezzaforse distruggendomi; ameno che non si accontenti di alterare ogni
equilibriocolpendo alle radici tutto il mio mondo e abbandonandomi alleconseguenzequali che siano.»
44May sembrò afferrare il concettoma la luce dei suoi occhi continuò perlui a non essere derisoria. «Ciò che mi
state descrivendo non è forse l'attesa o la sensazione di pericolo -familiare a tanti - di innamorarsi?»
John Marcher rifletté. «Mi chiedeste la stessa cosa allora?»
«No... non ero così disinvolta. È un'idea che mi viene adesso.»
«Certo» disse lui dopo un istante«certo che vi viene adesso. E anche ame. E non è escluso che sia proprio
questo ciò che mi aspetta. Soltanto» proseguì«ritengo che se di questosi fosse trattatome ne sarei accorto.»
«Volete dire che siete già stato innamorato?» E poiché Marcher silimitava a guardarla in silenzio: «Siete stato
innamoratoe la cosa non ha rappresentato poi questo grande cataclismanons'è rivelata la prova capitale... non è
così?»
«Sono ancora quicome vedete. Non sono stato sopraffatto.»
«Allora non è stato amore» disse May Bartram.
«In ogni modo almeno pensavo che lo fosse. Per tale l'ho preso... e l'hocreduto sino ad ora. È stata una cosa
piacevoleuna cosa deliziosauna cosa disperante» spiegò. «Matutt'altro che strana. Non era come dovrebbe essere la
mia cosa.»
«Volete forse una cosa che sia solo vostra... qualcosa che nessun altropossa provare o abbia mai provato?»
«Non è questione di ciò che io ‹voglio›... Dio sa che non voglioproprio nulla. Si tratta soltanto dell'angoscia
che mi assilla... con cui mi tocca vivere giorno dopo giorno.»
Marcher parlò con tanta lucidità e tale coerenza da sentirseneulteriormente impegnato. Ammesso che prima lei
non fosse stata interessata ora non poteva non esserlo. «È come unasensazione di violenza incombente?»
A Marcher ormai piaceva sicuramente l'idea di riparlarne. «Non sono affattosicuro che - quando realmente
capiterà - sarà necessariamente una cosa violenta. Pensoanziche sarànaturale e soprattuttoinequivocabile. Per me è
semplicementela cosa. La cosa apparirà del tutto naturale.»
«Ma allora come potrà sembrarvi strana?»
Marcher rifletté. «Non lo sarà... per me.»
«Per chi dunque?»
«Beh» rispose luifinalmente sorridendo«diciamo per voi.»
«Dovrò allora esserci anch'io?»
«Ma voi ci siete già... dal momento che sapete.»
«Capisco» disse May pensierosa. «Ma io voglio dire presente allacatastrofe.»
Per un lungo minutoil tono leggero della loro conversazione cedette ilposto a una certa gravità; come se il
profondo sguardo che si scambiarono in qualche modo li legasse. «Dipenderàsoltanto da voi... se vorrete vegliare con
me.»
«Avete paura?» chiese May.
«Non lasciatemi ora» riprese lui.
«Avete paura?» ripeté lei.
«Credete che io sia semplicemente uscito di senno?» insisté lui invece dirispondere. «Vi faccio soltanto pena
come un innocuo lunatico?»
«No» disse May. «Credo di capirvi. E vi credo.»
«Intendete dire che sentite quanto la mia ossessione - povera vecchiaossessione! - possa corrispondere a
qualche possibile realtà?»
«A qualche possibile realtà.»
«Allora mi farete compagnia nell'attesa?»
May esitòpoi per la terza volta pose la sua domanda. «Avete paura?»
«Vi ho forse detto questo... a Napoli?»
«Noniente di simile.»
«Alloranon so. E mi piacerebbe saperlo» disse John Marcher. «Sarete voistessa a dirmi cosa ne pensate. Se
veglierete con me non potrete non accorgervene.»
«Benissimoallora.» Intanto avevano attraversato la salae una voltagiunti alla portaprima di uscirnesi
fermaronoquasi volessero passare in rassegna i termini della loro intesa.«Vi farò compagnia» disse May Bartram.
II
Il fatto che ella «sapesse» - sapesse eppure non si prendesse gioco di luiné lo tradisse - in breve tempo aveva
cominciato a costituire tra loro un intenso legameche divenne ancor piùtenace quandonel corso dell'anno che seguì
quel pomeriggio a Weatherendsi moltiplicarono le opportunitàd'incontrarsi. L'evento che più d'ogni altro aveva
favorito tali occasioni fu la morte della vecchia signoraprozia di Maysotto la cui ala protettricedopo la perdita della
madrela ragazza aveva in ampia misura trovato rifugioe cheanche quandoera rimasta vedova e la proprietà era
passata al figlioera riuscita - grazie al suo temperamento energico e alcarattere autoritario - a non perderela sua
posizione di predominio in seno alla famiglia. Un tale personaggio non potevascomparire dalla scena se non con la
morte cheseguita da molti cambiamentiebbe particolari conseguenze per lagiovane donna nella quale Marcher aveva
acutamente ravvisatosin dall'iniziouna dipendenza dolorosa anche sesopportata con disinvoltura. Marcher si rallegrò
45come non gli avveniva da tempoal pensiero che la signorina Bartram fossestata non poco alleviata nel suo dolore dal
fatto di trovarsi ora nella condizione di metter su una casetta sua a Londra.Il testamento della ziain verità assai
complicatole lasciava un piccolo patrimonio appena sufficiente a concederlequesto lusso; e quando l'intera faccenda si
avviò a conclusionecosa che peraltro richiese il suo tempofece sapere aMarcher che il felice traguardo era finalmente
in vista.
Ma prima di quel giorno Marcher l'aveva incontrata altre voltesia perchéMay accompagnava spesso l'anziana
signora in cittàsia perché John aveva di nuovo fatto visita agli amiciche tanto convenientemente facevano di
Weatherend uno degli incanti dell'ospitalità. Erano stati proprio questiamici a riportarvelo; e là era riuscito a isolarsi
nuovamente con la signorina Bartram; a Londrainvecepiù di una volta gliera riuscito di convincerla a lasciare per
breve tempo la zia. Si recavano allora insieme alla National Gallery e alMuseo di South Kensingtondovetra vividi
ricordiparlavano dell'Italia a ruota libera... senza tentare più diritrovarecome la prima voltail sapore della
giovinezza e dell'ingenuità. La prima volta a Weatherendbisogna direliaveva favoriti abbastanzatanto che ormai
secondo un'immagine suggerita da Marchernon erano più alla ricerca dellesorgenti del fiumebensì avevano come
sentito la loro barca scivolare decisa giù per la corrente.
Ora non c'erano dubbi: scendevano insieme lungo quel fiume; per il nostroeroe questo era chiarocome era
evidente che la felicissima causa di ciò fosse proprio in quel tesorosepolto che lei conosceva. Con le sue mani egli
aveva riportato quella piccola ricchezza alla luce - omeglioal vagochiarore di un pallido mattino costituito dalla loro
discrezione e dal loro riserbo - quel tesoro del qualedopo averlopersonalmente interratoaveva stranamente e per tanto
tempo dimenticato il nascondiglio. La straordinaria avventura d'essersinuovamente imbattuto proprio in quel luogo lo
rendeva indifferente a qualsiasi altra questione; avrebbe dedicatosenzadubbiopiù tempo ad analizzare il fatto curioso
del suo vuoto di memoria se non avesse preferito dedicarne tanto allasensazione di dolcezzadi sicurezza per il futuro
che proprio quel fattoper l'appuntoaveva contribuito a mantenere intatte.Non rientrava nei piani di Marcher che
qualcuno dovesse «sapere»anche perché non aveva mai ritenuto possibileconfidarsi con alcuno: impossibileperché
nulla poteva aspettarsi se non le reazioni divertite di un mondoindifferente. Madal momento che un misterioso destino
gli avevaun tempoaperto suo malgrado la boccaavrebbe preso questo comeun compenso e ne avrebbe tratto il
massimo profitto. Il fatto che la persona giusta «sapesse» temperaval'asprezza del suo segretoancor più di quanto la
sua diffidenza gli avesse consentito d'immaginare; e May Bartram erachiaramente la persona giustaperché... ebbene
perché c'era. Il fatto stesso che sapesserisolveva ogni questione; ormaise non fosse stata la persona giustase ne
sarebbe accorto. Era indubbiamente proprio questo l'elemento chenella suasituazionelo induceva a vedere in May
solo la confidente e a non darle altro merito se non quello che le veniva dalfatto - e soltanto da quello - d'interessarsi
alla sua condizionecon tutta la compassionela partecipazionela serietàe la disponibilità a non considerarlo come il
più strampalato dei lunatici. Consapevoleinsommache May gli risultavapreziosa proprio perché gli dava quella
costante sensazione di essere predestinato a qualcosa di meravigliosoMarcher si sforzò di ricordare come anche lei
avesse una vita propriacon avvenimenti che potevano capitare a leie dei quali non si poteva non tener conto in un
rapporto d'amicizia. Del restoqualcosa di decisamente notevole gli accaddeal riguardoproprio in questo rapporto...
come un improvviso passaggio della sua consapevolezza da un estremoall'altro. Si era sempre consideratofintanto che
nessuno era al corrente del suo segretocome la persona meno egoista delmondocapace di sopportare tutto il suo
fardellola sua perpetua tensioneserenamentesenza dir nullasenzalasciar capire agli altri gli effetti che ciò causava
sulla sua vitasenza invocare dagli altri nessuna indulgenza ein cambioconcedendo dal canto suo tutte quelle che gli
venivano richieste. Non aveva imposto alla gente il disagio di doverfrequentare un uomo angosciatosebbene avesse
avuto momenti di forte tentazionespecialmente quando qualcuno si lamentavadi sentirsi veramente «sconvolto». Se
questo qualcuno fosse stato davvero sconvolto come lui lo era - non s'era maisentito a postoneppure per un'ora nella
sua vita - certamente lo avrebbe capito. Non toccava a luicomunqueinformarliquindi li stava ad ascoltare per civiltà.
Ecco perché aveva modi così irreprensibili - anche se piuttosto sbiaditi;ecco perchésoprattuttoriusciva a considerare
se stessoin un mondo avidopiuttosto - anzi eccezionalmente - altruista.Secondo noiè proprio per questo che
Marcher valutava a tal punto questo aspetto del suo carattere da intuire ilpericolo attuale che gli venisse menopericolo
contro il quale s'era impegnato con se stesso a stare bene in guardia. Eraprontociò nonostantead essere un poco
egoistadal momento che sicuramente non gli s'era mai presentata occasionepiù affascinante. «Quel poco» in una
parolaera proprio quanto la signorina Bartramgiorno dopo giornoeradisposta a concedergli. Mai John avrebbe
potuto essere in qualche modo oppressivoné avrebbe perduto di vista ilimiti entro i quali il rispetto per lei - il più alto
rispetto - doveva mantenersi. Avrebbe piuttosto stabilito tassativamente itermini sotto i quali le questioni di leile sue
esigenzele sue eccentricità - giunse persino ad attribuire loro l'ampiezzadi tale definizione - sarebbero via via rientrati
nel quadro dei loro rapporti. E tutto ciònaturalmenteera un segno diquanto lui desse per scontato tale rapporto. Per
questo non c'era niente altro da fare. Semplicemente esis teva; era venuto almondo con la prima penetrante domanda
che aveva rivolto a Marcher quel luminoso pomeriggio d'autunno a Weatherend.La vera forma che avrebbe dovuto
assumeredato l'ampio presupposto da cui scaturivaera quella del loromatrimonio. Ma il lato diabolico della questione
risiedeva nell'ironia che giust'appunto quel presupposto metteva ilmatrimonio fuori causa. Il presentimentoil timore
l'ossessione di luiin brevenon era un privilegio ch'egli potesse invitareuna donna a condividere; ed'altro cantoil suo
problema stava proprio nelle conseguenze di tale angoscia. Qualcosa loattendevaalle curve e agli incroci lungo il
cammino dei mesi e degli annicome una bestia feroce in agguato nellagiungla. Poco significava che la bestia in
agguato fosse destinata a sbranarlo o ad essere abbattuta. Il punto era chesarebbe inevitabilmente balzata fuori; e l'unica
46conclusione possibile era che un uomo d'onore non poteva permettere che unasignora l'accompagnasse durante una
caccia alla tigre. Questa infatti era l'idea che Marcher aveva finito perfarsi della propria vita.
Al principionondimenodurante i loro occasionali incontri avevanoaccuratamente evitato qualsiasi allusione
a quel lato della faccenda; e questo era un segnoche Marcher fusignorilmente sollecito a forniredi quanto poco si
aspettasse e gl'importasse di tornare sempre su quello stesso argomento. Unatteggiamento che in luivisto dal di fuori
si notava come una gobba sulla schiena. Ma il sottintenderlo costituivaegualmente la base di ogni minuto della
giornataindipendentemente dal fatto che se ne parlasse. Certo uno puòparlare come parla un gobbo dal momento che
almeno l'aspetto del gobbo ce l'ha. Quello era un dato di fattoe lei loosservava; ma la gentedi solitoosserva meglio
in silenzioil silenzio infatti sarebbe stato una delle caratteristichepredominanti della loro attesa. Al tempo stesso
Marcher però cercava di non apparire teso e solenne; teso e solenne comes'immaginava lo vedessero gli altri. Con
l'unica persona che sapevabisognava essere disinvolto e naturale...alludere piuttosto che dar l'idea di evitare la
questioneevitarla piuttosto che dar l'idea di cercarlae in ogni casomantenerla entro toni familiarischerzosi perfino
piuttosto che pedanti e sinistri. Fu proprio una considerazione del generead esempioad ispirarlo quando scrisse
scherzosamente alla signorina Bartram che forse il grande evento tanto attesodalle mani di Dio altro non era se non la
circostanzache lo toccava tanto da vicinoche lei avesse acquistato unacasa a Londra. Era la prima allusione
all'argomento poichédopo quella voltanon ne avevano evidentemente piùavuto bisogno; ma quando lei risposedopo
avergli dato sue notiziedi non essere per nulla soddisfatta che una simileinezia potesse rappresentare il coronamento di
un'attesa tanto particolarefu quasi indotto a chiedersi se lei non neavesse di quel suo strano presentimento una
concezione persino più profonda di quanto non ne avesse lui stesso. Ad ognimodoera destino che Marcher si rendesse
conto poco alla voltacon il passare del tempoche lei teneva di continuod'occhio la sua vitala giudicavala valutava
alla luce delle cose di cui era a parte e checon il passare degli annialla fine fra loro non veniva più menzionata se non
come la «vera verità» sul conto di lui. Del restoproprio questa erasempre stata la formula adottata da Marcher per
farvi riferimentoma May la fece propria con tanta disinvoltura cheadistanza di tempolui si rese conto che non era
percepibile il momento in cui leicome egli usava diresi era immedesimatanei suoi pensierio comunque era passata
da un atteggiamento di meravigliosa benevolenza a quello di ancor piùmeravigliosa fiducia in lui. Gli sarebbe sempre
stato possibile accusarla di trattarlo come il più inoffensivo dei maniacie questaalla lunga - tanto vasto era il campo
che abbracciava - rappresentò per lui l'interpretazione più naturale dellaloro amicizia. May doveva pensare che sì... era
un po' svitatoma malgrado ciò gli voleva bene e praticamente rimanevacontro il resto del mondola sua custode
saggia e gentilenon proprio ricompensata ma assai divertita ein assenzadi altri legami affettivisistemata con un
certo decoro. E se il mondo lo reputavanaturalmenteun tipo bizzarroleisoltanto leisapeva quantoe soprattutto
perchébizzarro; ecco cosa esattamente le consentiva di sistemare nellegiuste pieghe come un velo di protezione.
Aveva imitato la gaiezza di Marcher - visto che avevano deciso di metterlasul piano della gaiezza - così come imitava
ogni altra cosa sua; e certocol suo tatto infallibileseppe giustificarela percezione più sottile del grado di persuasione
cui aveva finito per indurla. Leinon nominava mai il segreto dellavita di John se non come «la vera verità sul vostro
conto»e riusciva nondimeno in quel modo meraviglioso a farlo apparire comeil segreto della propria vita. Insomma
ecco come Marcher poteva avvertire la costante indulgenza di lei; perchétutto sommatonon avrebbe potuto definirla
diversamente. Egli era indulgente con se stessoma Mayin realtàlo eraanche di più; forse perché in una posizione
migliore per osservare la faccendarintracciava l'infelice perversione dilui lungo tutte quelle anse che lui riusciva a
malapena a seguire. Se Marcher ben sapeva cosa aveva dentroleioltre asaperlone osservava anche le manifestazioni;
se John conosceva una per una tutte le cose importanti che si erasubdolamente trattenuto dal fareMay era in grado di
calcolarne la somma totaledi comprendere cosasenza quel pesante fardellosullo spiritolui avrebbe potuto realizzare
e di stabilire così in che misuranonostante le sue dotiegli venisse menoa se stesso. Sopratutto May coglieva la
differenza tra alcuni atteggiamenti esteriori di Marcher - quelli cheadottava nel suo piccolo ufficio governativo
nell'amministrazione del suo modesto patrimonionella cura della suabibliotecadel suo giardino in campagnadegli
amici londinesi di cui accettava e restituiva gli inviti - e il distacco chesi celava sotto tali atteggiamenti e che faceva del
suo contegno in generaledi tutto ciò che poteva più o meno definirsicontegnoun continuo sforzo di dissimulazione.
Quella che indossavainsommaera la maschera della smorfia socialemadalle orbite occhieggiava uno sguardo
tutt'altro che in sintonia con gli altri lineamenti. Di tutto ciòlostupido mondo attorno a luiin tutti quegli anni si era
reso conto soltanto a metà. May Bartram però c'era riuscitae avevacompiutocon eccezionale abilitàil prodigio di
incontrare simultaneamente - o forse soltanto alternativamente - il suosguardo direttooltre la mascheradi mescolare la
propria prospettiva alla suaquasi si trovasse invece alle sue spalledietro le stesse orbite.
Cosìmentre invecchiavano insiemelei vigilava con lui e permetteva chequesto sodalizio desse forma e
colore alla propria esistenza. Anche sotto il comportamento di lei avevapreso ad insinuarsi il distaccoe il contegno era
divenuto per leinel senso sociale del termineuna rappresentazione falsadi se stessa. Una sola era la vera
rappresentazione di sé valida in ogni momentoma quella non la potevaoffrirea nessunoe tanto meno a John
Marcher. Tutto l'atteggiamento di lei era come una virtuale affermazionelacui percezioneperòsembrava riservata a
lui unicamente come una delle tante cose che necessariamente si affollavanofuori della sua consapevolezza. Se poi
oltretuttolei dovevacome lui del restosacrificarsi per la loro veraveritàciò serviva a garantirle un compenso ancor
più sollecito e più naturale. I due conobbero lunghi periodiquandostavano insieme ai tempi di Londradurante i quali
un estraneo che li ascoltasse non avrebbe minimamente provato il desiderio diaguzzare le orecchie; d'altro cantoera
nondimeno possibile che la vera verità in qualsiasi momento affiorasse insuperficiee in tal caso chi li ascoltava si
sarebbe sentito autorizzato a chiedersi di cosa mai stessero parlando.Avevano ben presto stabilito che la società fosse
47per fortunapoco intelligentee il margine concesso loro da talecircostanza era diventato di fatto uno dei loro luoghi
comuni. Eppure a volte la situazione tornava a rinnovarsi... di solito pereffetto di qualche frase di lei. Indubbiamentele
sue espressioni avevano il vizio di ripetersima a intervalli tutto sommatogenerosi.
«Ciò che ci salvavedeteè che noi rientriamo a perfezione in un modellomolto comune: quello di un uomo e
di una donna che hanno fatto della loro amicizia una consuetudine quotidiana- o quasi - della qualealla finenon sanno
più fare a meno.» Questaper esempioera una delle battute che lei avevafrequentemente occasione di faresebbene ne
avesse fornito diverse variazionia seconda dei momenti. A noi interessa inmodo particolare la piega che quella sua
battuta prese un pomeriggioquando Marcher s'era recato a farle visita inoccasione del suo compleanno.
Quell'anniversario era caduto di domenicain una stagione di nebbie fitte edi diffuso grigiore; ma lui le aveva portato il
suo dono ritualeconoscendola ormai da tempo sufficiente per poter stabilirequali fossero le piccole tradizioni cui ella
teneva. Era una delle prove date a se stessoquel regalo offerto ognicompleannodi non essere sprofondato in un totale
egoismo. Si trattava per lo più di un gingillo da pocoma nel suo generesempre di gustoe Marcher badava
regolarmente a spendere più di quanto pensava di potersi permettere.
«La nostra consuetudine vi protegge almeno - non vi pare? - agli occhi dellagentedopo tutto vi rende simile
agli altri uomini. Qual è la più inveterata caratteristica degli uomini ingenere? Quale se non la capacità di trascorrere un
tempo infinito in compagnia di donne insipide... e di trascorrerlononvoglio dire senza annoiarsima senza
preoccuparsenesenza per questo scappare? La conclusioneovviamenteèidentica: io sono la vostra noiosa compagna
una parte del pane quotidiano per il quale pregate in chiesa. E ciò nascondele vostre tracce più d'ogni altra cosa.»
«E le vostre come le nascondete?» chiese Marcherche la sua donna noiosaera riuscita a divertire fino ad
allora. «Capisco naturalmente cosa volete dire quando parlate di salvarmi inun modo o nell'altroper quanto riguarda la
gente... ritengo d'averlo sempre capito. Soltantomi chiedocosa salva voi?È un pensiero che mi viene spessosapete?»
Sembrava che quel pensiero fosse venuto qualche volta anche a leima inmaniera alquanto diversa. «Volete
dire nei confronti delle altre persone?»
«Behin realtà voi siete coinvolta con me... se vogliamocome conseguenzadel mio coinvolgimento con voi.
Alludo all'immenso riguardo che sento di dovervitremendamente consapevolecome sono di tutto ciò che avete fatto
per me. Talvolta mi domando se sia davvero onesto... onesto avervi coinvoltain questo modo e - se così si può dire -
interessata a me. Quasi ho il timore di non avervi praticamente lasciato iltempo perché poteste disporre diversamente.»
«Invece di interessarmi a voi?» chiese lei. «Ahcosa di meglio sipotrebbe desiderare? Se sono rimasta a
‹vegliare› in vostra compagniacome tempo addietro ci accordammo che iofacessistare a vegliare è sempre di per sé
un lasciarsi assorbire.»
«Ohcertamente» disse John Marcher«se non aveste avuto la vostracuriosità...! Soltantonon vi capita mai
di pensaremano a mano che il tempo passaall'ipotesi che la vostracuriosità non stia ricevendo un compenso
adeguato?»
May Bartram rimase silenziosa. «Me lo chiedete forse perché avetel'impressione che ciò stia succedendo alla
vostra curiosità? Nel senso che siete stanco di aspettare?»
Ohse capì al volo l'allusione di lei! «Che succeda la cosa che nonsuccede mai? Che la bestia spicchi il balzo?
Nonon è cambiato niente. Non è una cosa per la quale io possa scegliereo decidere che cambi. Non è una cosa per la
quale possa esistere l'ipotesi d'un cambiamento. Sta nelle mani diDio. Siamo tutti in balia del nostro destino... ecco
tutto. Quanto alle vie che questo destino potrà prendereai modi in cui sicompirànon è cosa che ci riguarda.»
«Certo» rispose la signorina Bartram; «è evidente che il destino diognuno si compiee si è compiuto da
sempresecondo le vie e i modi che esso stesso si sceglie. Soltantovedetenel vostro caso le vie e i modi avrebbero
dovuto essere... ebbenequalcosa di così eccezionale e disi potrebbedirepeculiarmente vostro.»
Qualcosa in queste parole lo indusse a guardarla con sospetto. «Avete detto ‹avrebberodovuto essere›come
se in cuor vostro aveste cominciato a dubitarne.»
«Oh!» protestò lei vagamente.
«Come se pensaste» incalzò Marcher«che ormai non accadrà piùnulla.»
May scosse la testa lentamente ma in modo piuttosto misterioso. «Siete moltolontano dal mio pensiero.»
Egli continuava a guardarla. «Cosa vi succede allora?»
«Ebbene» rispose lei dopo un'altra breve pausa«semplicemente che sonopiù che mai sicura che la mia
curiositàcome la chiamate voisarà fin troppo ben ricompensata.»
Erano diventati decisamente seri adesso; Marcher s'era alzato dal suo postoaveva una volta di più fatto il giro
del salottino nel qualeun anno via l'altroaveva riproposto il suoineluttabile argomento; nel qualecome lui stesso
avrebbe dettola loro intima comunanza era stata servita in tutte le salsedove ogni oggetto gli era familiare come gli
oggetti della sua casae persino i tappeti erano consumati dal suo passoagitatocome le scrivanie dei vecchi uffici
contabili sono consumate dai gomiti di generazioni di impiegati. Legenerazioni dei suoi irrequieti stati d'animovi
avevano operato; quel luogo rappresentava la storia scritta della partecentrale della sua vita. Sotto l'impressione di
quello che la sua amica aveva appena finito di direMarcherper qualcheragionesi scoprì ancor più consapevole di
queste cose; al punto cheun momento doposi parò di nuovo di fronte alladonna.
«Vi è forse venuta paura?»
«Paura?»
48Marcher pensòmentre May ripeteva la parolache la sua domanda le avessefatto un po' cambiare colore; così
temendo d'aver urtato contro una veritàs'affrettò a spiegare con estremacortesia: «Ricordate che proprio questa era la
domanda che mi rivolgeste tanto tempo fa... quel primo giorno a Weatherend.»
«Ohsìe voi mi rispondeste che non lo sapevate... che dovevo essere io agiudicare. Da allora non ne abbiamo
quasi più parlatosebbene sia trascorso tanto di quel tempo.»
«Precisamente» la interruppe Marcher... «proprio come se si trattasse diuna questione troppo delicata da
affrontare alla leggera. Proprio come se ci fosse il rischio di scoprireainsisterciche davvero ho paura. Perché in tal
caso» disse«non sapremmo proprio cosa farenon vi pare?»
Lì per lìMay non fu in grado di rispondere a quella domandama poi:«Certi giorni ho sospettato che aveste
veramente paura. Ma certi giornicom'è ovvio» aggiunse«si può pensaredi tutto.»
«Di tutto!» gemette piano Marcherquasi per soffocare un singhiozzocomese si trovasse di fronteora più
scoperto che maila cosa sempre presente fra loro. Innumerevoli erano imomenti in cui si era sentito come braccato da
quegli occhi proprio di bestia che riuscivano ancora a strapparedalleprofondità del suo essereanche ora che ci si era
abituato... il tributo d'un sospiro. Tutto quello che avevano pensatodall'inizio alla finegli rovinava addosso; il passato
sembrava ridotto a una mera e sterile speculazione. Questo infatti era illuogo chein realtàaveva sempre colpito
Marcher per il fatto di esserne pieno... dove tutto veniva risolto tranne latensione dell'attesa. E rimaneva soltanto nella
sensazione di essere sospesa nel vuoto intorno ad esso. Persino la sua pauraoriginariase di paura s'era trattato
risultava smarrita nel deserto. «Pensocomunque» continuò Marcher«chevi rendiate conto di come io non abbia
paura adesso.»
«Ciò di cui mi rendo contoa voler ben vedereè che avete compiutoqualcosa che quasi non ha precedenti
quanto al modo di abituarsi al pericolo. Vivendoci insieme per così tantotempo e così da vicino ne avete come perduto
il senso; sapete che è lìma restate indifferentee non sentite piùneanche il bisognocome un tempoal buiodi
fischiettare. Considerata la natura del pericolo» concluse May Bartram«arrivo a dire di non ritenere che il vostro
atteggiamento possa essere facilmente superato.»
John Marcher accennò un vago sorriso. «Sarebbe eroico allora?»
«Certamente... chiamatelo pure così.»
Proprio cosìin realtàgli sarebbe piaciuto chiamarlo. «Sarei quindi unuomo coraggioso?»
«Era quel che dovevate dimostrarmi.»
Marcherperòrimase perplesso. «Ma un uomo coraggiosonon dovrebbesapere di cosa ha paura... o di che
cosa non ha paura? Iovedeteè proprio questo che non so. È unparticolare che non riesco a mettere a fuocoal quale
non riesco a dare un nome. So soltanto di essere esposto a un pericolo.»
«Sìma espostocome direcosì direttamentecosì intimamente. Mi paregià abbastanza...»
«Abbastanzadunqueda darvi la sensazione - e potremmo chiamarla fine econclusione della nostra attesa -
che io non abbia paura?»
«Voi non avete paura. Ma neppure si tratta» disse lei«della fine dellanostra attesa. O meglionon è la fine
della vostra. Avete ancora tutto da vedere.»
«E perché voi no?» chiese Marcher. Per tutta la giornataaveva avutol'impressione che lei nascondesse
qualcosae a maggior ragione l'ebbe in quel momento. Era la sua primaimpressione del generee quindi costituiva
decisamente un evento; tanto più se si pensa che Maysulle primenonrisposetanto che fu costretto a continuare lui.
«Voi sapete qualcosa che io non so.» E qui la sua voceper essere quelladi un uomo coraggiosoaccusò un certo
tremore. «Voi sapete cosa deve succedere.» Il silenzio di leiel'espressione del suo voltofurono quasi una
confessione... gli tolsero ogni dubbio. «Voi sapetee avete paura didirmelo. Una cosa così terribile che avete paura
ch'io la scopra.»
Tutto ciò poteva essere veroe infatti May appariva come secogliendola disorpresaMarcher avesse valicato
un cerchio mistico che lei s'era segretamente tracciata attorno. Lei avrebbeanche potutodopo tuttofare a meno di
preoccuparsi; e il colmo era che anche luiad ogni modonon ne avrebbesentito la necessità.
«Non la scoprirete mai.»
III
E fu tuttoma nondimeno segnòcome ho già dettouna data storicacosache in seguito fu sempre più
evidente poichéanche dopo lunghi intervalli di tempotutte le volte chetra loro avvennero delle coseebbero sempre
in rapporto a quell'orail carattere di richiami e di conseguenze. L'effettoimmediato era stato quello di mitigare una
certa insistenza... quasi di provocare una reazione; come se la loroquestione fosse caduta sotto il proprio peso e come se
Marcherdall'incidenteavesse tratto uno dei soliti ammonimenti control'egotismo. Aveva sempre conservatoe tutto
sommato gli sembrava a un buon livello di decenzala consapevolezzadell'importanza di non essere egoista e in verità
non aveva mai peccato in quella direzione senza sforzarsi poiabbastanzaprontamentedi ristabilire l'equilibrio. Spesso
riparava ai propri errorise era la stagioneinvitando l'amica adaccompagnarlo all'opera; e non senza una certa
frequenza era così successo cheper dimostrarle che non desiderava offrireal suo spirito un unico tipo di cibofosse lui
a convincere May ad accompagnarlo all'opera una dozzina di volte al mese.Accadeva addirittura che
riaccompagnandola a casa in queste occasioniMarcher accettasse di salire dalei per concludere - come diceva - la
49seratae cheper meglio commentarlasedesse alla cenetta frugale ma sempreaccurata e pronta per lui. La sua logica lo
consigliava di evitare quel continuo insistere con lei su se stesso; adesempiocapitava in alcune di quelle occasioni che
avendo entrambi familiarità con il pianoforte e avendolo a portata di manosuonassero insieme brani dell'opera. Il che
tuttavia non impedì che una sera Marcher cedesse alla tentazione diricordare a May che non aveva ancora risposto a
una certa sua domandaquella che le aveva fatto durante la loroconversazione il giorno del suo ultimo compleanno.
«Che cos'è che salva voi?...» salvava leivoleva dire Marcherdaquell'apparenza di anticonformismo rispetto al
comune modello umano. Se egli si era virtualmente sottratto all'attenzionedella gentecome aveva detto lei stessa
comportandosinel particolare più importantecome si comporta la maggiorparte degli uomini - trovando cioèla
risposta alla vita nel cucire insieme una specie di relazione con una donnadi pari livello - in che modo vi si era sottratta
lei? E non era probabile invece che la loro relazionese tale eravisto cheormai dovevano supporre che non fosse
passata inosservataavesse fatto parlare di lei?
«Non ho mai detto» rispose May Bartram«che non si sia parlato un belpo' di me.»
«Ahbeneallora non siete ‹salva›.»
«Non ha mai rappresentato un problema per me. Se voi avete avuto la vostradonna» disse lei«io ho avuto il
mio uomo.»
«E con questo intendete dire che vi sentite a posto?»
Ohera sempre come se ci fosse tanto da dire! «Non vedo perché umanamente- e di questo stiamo parlando -
io debba sentirmi meno a posto di voi.»
«Capisco» commentò Marcher. «‹Umanamente›senza dubbiosignificache vivete per qualcosa... cioènon
solo per me e per il mio segreto.»
May Bartram sorrise. «Ma non mi piace neppure che si noti che io non vivoper voi. È della mia intimità con
voi che stiamo parlando.»
Marcher sorrise quando realizzò dove voleva andare a parare. «D'accordomadal momento checome voi dite
io sono un uomo come tantialmeno agli occhi della genteanche voi allora -non è così? - non siete altro che una donna
come tante. Voi mi date una mano ad essere un uomo come gli altri. Quindi selo sono io- mi sembra di aver capito -
non siete propriamente compromessa. È così?»
May si concesse un'altra delle sue pausema quando si decise a parlare lofece senza mezzi termini. «È così. Ed
è quanto mi sono prefissa... aiutarvi a passare per un uomo come tutti glialtri.»
Marcher ebbe cura di incassare quell'osservazione in maniera elegante.«Siete davvero molto cara e generosa
con me! Come farò mai a ripagarvi?»
May fece ancora un'ultima solenne pausacome se ci potesse essere di chescegliere. Alla fine rispose.
«Continuando a essere come siete.»
Ricaddero dunque nella loro consuetudineMarcher continuò a essere com'erae per tanto tempo che giunse
inevitabilmente il momento di scandagliare ulteriormente i loro abissi.Questi abissicostantemente collegati da un
ponte abbastanza solido malgrado la sua leggerezza e le occasionalioscillazioni in un'atmosfera in qualche modo
vertiginosarichiedevano di tanto in tantonell'interesse dei loro nerviche si calasse lo scandaglio e se ne scandagliasse
la profondità. Una differenza comunque si era creatauna volta per tuttein virtù del fatto che Mayin tutto quel tempo
non sembrava sentire la necessità di rintuzzare l'accusa di Marcher dicelare un'idea che non osava esprimere... accusa
pronunciata poco prima che terminasse una delle loro ultime intensediscussioni. Marcher era ormai certo che lei
«sapeva» qualcosa e che quel qualcosa doveva essere penoso... troppo penosoper poterglielo confessare. Quando egli
ne aveva parlato come di una cosa penosach'ella temeva appuntodi fargliscoprirela risposta di May aveva lasciato la
questione in sospesotroppo ambigua per essere accantonataeppuredata laparticolare sensibilità di Marcherquasi
troppo spaventosa per essere di nuovo affrontata. Egli ci girava attorno auna distanza che ora aumentavaora
diminuivae che tuttavia non di molto poteva variare per via della certezzaassai viva in Marcherche lei dopotutto non
potesse «sapere» nulla meglio di lui. May disponeva delle stesse sue fontidi conoscenza... se noncertamentedi nervi
più vigili. Quella dote che hanno le donnequando le appassiona qualcosadi scoprire negli altri cose che essi stessi non
riescono a scoprire. I nervii sensila fantasia delle donnesonoautentici organi conduttori e rivelatorie la cosa
meravigliosa di May Bartram era in quell'essersi dedicata completamente alsuo caso. In quei giorni Marcher sentì
confusamentecosa mai avvenuta primacrescergli dentro il terrore diperderla in seguito a qualche catastrofe... qualche
catastrofe che comu nque non sarebbe ancora stata la catastrofe: inparte perché leiquasi all'improvvisoaveva
cominciato a dargli l'impressione di essergli più che mai indispensabileein parte perché tale impressione venne a
coincidere con sintomi inquietanti nella salute di lei. Una caratteristicadel distacco interiore che egli aveva sino allora
coltivato con successoe al quale facciamo risalire ogni suo gestoera chele sue complicazioniquali che fosseromai
come in quella contingenza apparvero tanto gravi da addensarglisi attornoalpunto da fargli chiedere se per caso non si
trovasse davvero a portata di vistao d'uditoo di tattoo comunque nelleimmediate vicinanzedella cosa che stava
aspettando.
Quando venne il giornocosì come doveva venirein cui l'amica gliconfessò il suo timore d'una seria malattia
al sangueMarcher sentì come piombargli addosso l'ombra d'una svolta e ilgelo di uno shock. Immediatamente
cominciò a figurarsi complicazioni e disastrie soprattutto a vedere ilpericolo corso da May come la minaccia diretta di
qualche privazione personale che incombesse su di lui. Ciò gli causò ancheuno di quei parziali recuperi d'equanimità
che gli risultavano tanto gradevoli... mostrandogli che prima d'ogni altracosa si preoccupava della perdita che lei stessa
avrebbe patito. «E se dovesse morire prima di sapereprima di vedere...?»Sarebbe stato crudelenel primo stadio della
50malattiaporle una simile domanda; ma l'eco che in lui aveva avuto lanotizia non fecesulle primeche risvegliare la
preoccupazione per se stessoe quell'eventualità era di fatto ciò che piùl'addolorava per lei. Inoltrese davvero May
«sapeva»nel senso che possedeva qualche - come definirla? - magica eirresistibile illuminazionenon è che ciò
migliorasse la questioneanzi la peggioravase si tiene in conto che ladonna s'era a tal punto immedesimata nella
curiosità di Marcherda farne la base della propria esistenza. Era vissutaper tutto quel tempo nell'attesa di quello che
sarebbe dovuto succederee sarebbe stato straziante per lei dover rinunciareprima che si compisse il mistero. Tali
riflessionicome dicoebbero l'effetto di stimolare la generosità diMarcher; eppurequali che fossero queste riflessioni
egli si sentìcon la fine di un intero periodo della sua vitavieppiùdisorientato. Quel periodo si chiudeva per lui con
incedere misterioso e inesorabilee - colmo delle stranezze! - gli regalavaindipendentemente dalla minaccia di una
serie di disagiquasi l'unica sorpresa positiva che la sua carrierase dicarriera si poteva parlaregli avesse mai offerto.
May se ne stava in casa come non aveva fatto mai; Marcher era costretto adandar da lei per vederla... Lei non poteva
più incontrarlo dovunqueeppure non esisteva angolo della loro vecchia eamata Londra in cuiper il passatoin
un'occasione o nell'altranon l'avesse fatto; e la trovava sempre sedutaaccanto al fuocosprofondata in una poltrona di
vecchio stile che sempre meno era in grado di abbandonare. Un giornodopoun'assenza più lunga del solitovenne
colpito dall'impressione che lei gli sembrasse improvvisamente molto piùvecchia di quanto non avesse mai pensato;
poiperòs'accorse che la sorpresa dipendeva soltanto da lui... erasemplicemente la prima volta che ci faceva caso. May
sembrava più vecchia perché inevitabilmentedopo tanti anniera vecchiao quasi; il ches'intendenon era meno vero
nel caso del suo amico. Se lei era vecchiao quasiJohn Marcher lo erasenza possibilità di dubbioeppure fu la sua
versione della cosanon la propriaa fargli realizzare quella verità. Dalì cominciò la serie delle sue sorpreseche da
allora non smisero di moltiplicarsi a raffica: era come senel modo piùstrano del mondofossero state tutte mantenute
sotto segretoseminate in un folto mazzoin serbo per il tardo pomeriggiodella vitaper la fase in cui per la maggior
parte della gente l'imprevisto è ormai tramontato.
Una di queste fu quella di sorprendersi - perché proprio così accadde - adomandarsi se il grande evento non
stesse finalmente per acquistare formae se questa forma non rischiassed'essere null'altro che la condanna ad assistere
al trapasso di quella incantevole creaturadi quell'amica meravigliosa. Maigli era capitato di qualificarla cosìsenza
riservefin tanto che non aveva dovuto confrontarsi con il pensiero di unasimile eventualità; a dispetto di ciòsi
misurava in lui il dubbio chein risposta al suo perenne enigmala merascomparsa di un elementoseppur tanto
preziosopotesse rappresentare per lui una meschina limitazione.Sicuramenterispetto al suo atteggiamento per il
passatoavrebbe significato una caduta di dignità alla cui ombra la suaesistenza non poteva che trasformarsi nel più
grottesco dei fallimenti. Si era sempre guardato bene dal considerare la suavita come un fallimento fin tanto che aveva
dovuto attendere la comparsa dell'evento che avrebbe potuto farne unsuccesso. Aveva atteso una cosa ben diversanon
certo quella che si stava rivelando ora. Il respiro della sua fiduciacomunquesi fece davvero affannoso quando realizzò
appieno quanto tempo aveva aspettatoo almeno quanto tempo aveva aspettatola sua compagna. Il pensiero che lei
oltretuttoavesse praticamente atteso invano... eccoquesto gli facevamolto maletanto più che all'inizio lui si era
limitato a divertirsi con quel loro «segreto». Tale preoccupazione divenneancor più drammatica con l'aggravarsi della
malattia di Maye lo stato mentale che si produsse in luie che egli stessofinì col considerare un preciso deterioramento
della sua salute fisicava annoverato come un'altra delle sue sorprese. Unasorpresa cui se ne collegava direttamente
un'altravale a dire la consapevolezza a dir poco stupefacente di uninterrogativo che avrebbe potuto svelarese solo
avesse osatotutto ciò che stava succedendocos'altro significava - cioècosa significava leicosa significavano lei e la
sua vana attesa e la sua probabile morte e il tacito ammonimento di tutta lavicenda - se non chea quel puntoera
semplicementeera rovinosamente troppo tardi? Maia nessuno stadio dellasua bizzarra coscienzaMarcher aveva
ammesso il dubbio di una ipotesi del genere; maise non in quei pochi ultimimesiera stato tanto infedele alle proprie
convinzioni da non ritenere che l'atteso evento avesse tutto il tempo peraccaderesenza mai preoccuparsi se lui stesso
l'avrebbe o no avuto. Il fatto è che alla fineproprio alla fineluicertamente questo tempo non l'ebbeo l'ebbe in
ridottissima misura... taleabbastanza prestoper come gli si misero lecosesi presentò l'imprevisto con il quale la sua
vecchia angoscia ebbe a fare i conti: e in ciò non fu d'aiuto l'evidenzasempre più chiara che l'assoluta vaghezzaalla cui
ombra era sempre vissutonon avesse quasi più margine. Poiché era nelTempo che avrebbe dovuto incontrare il suo
destinocosì era nel Tempo che il suo destino doveva compiersi; e mentreegli si risvegliava al senso di non essere più
giovane - che peraltro corrispondeva esattamente al senso di essere esauritoa sua volta corrispondente al senso di
essere debole - i suoi occhi s'aprirono anche ad un'altra verità. Era tuttauna concatenazione di cose; erano soggettisia
lui che la sua assoluta vaghezzaall'identica e imprescindibile legge.Quando le possibilità stesse si fossero tutte
esauritequando il segreto degli dèi si fosse rarefattoper così direevaporatoallorae soltanto allorasi sarebbe potuto
parlare di fallimento. Di un fallimento senza bancarottasenza disonorisenza requisizionisenza esecuzioni; del
fallimento di non essere nulla. E cosìnella valle oscura in cuiinaspettatamente era deviato il suo sentieroMarcher
avanzando a tentonisi poneva non poche domande. Non gl'importava qualeterribile catastrofe incombesse su di luia
quale ignominia o a quale mostruosità potesse venire associato - giacchédopotuttonon era vecchio per soffrire -
purché almeno si trattasse di qualcosa decentemente proporzionatoall'atteggiamento da lui sempre tenutoper tutta la
vitanei riguardi di quella minacciosa presenza. Gli rimaneva ormai un unicodesiderio... di non essere stato «venduto».
IV
51Fu allora cheun pomeriggionei primi giorni di primaveraMay affrontò inquel suo modo la schietta
rivelazione che Marcher le fece delle sue apprensioni. John s'era recato avisitarla sul tardima non era ancora sera e
May gli si presentò in quella cornice di lucetipica delle giornate di fineaprileche spesso ha il difetto di infonderci una
ancor più penetrante tristezza che non certe grige ore d'autunno. Lasettimana era stata caldasi diceva che la primavera
fosse iniziata anzi tempoe May Bartram sedevaper la prima voltaquell'annosenza aver acceso il fuoco; un
particolarequestoche agli occhi di Marcher conferiva alla scena di cuifaceva parte un aspetto di calma e di fatalità
come se tutto il contestonel suo ordine immacolato e nella sua fredda einsignificante disposizionesottintendesse che
non avrebbe mai più acceso il fuoco. Lo stesso aspetto di lei - ma Marchernon avrebbe saputo dirne il perché - non
faceva che intensificare quella sensazione. Pallida quasi come ceracon involto una serie di rughe e di segni tanto
numerosi e sottili che parevano incisi con un agocon drappeggi d'un biancotenue messi in rilievo da una sciarpa verde
sbiaditail cui tono delicato risultava ancor più ingentilito dagli anniMay era l'immagine d'una serena e squisitama
impenetrabile sfingela cui testaper non dire tutta la personaavrebbepotuto benissimo essere stata incipriata
d'argento. Era una sfingema con i suoi petali bianchi e le sue verdi frondeavrebbe anche potuto essere un giglio... ma
un giglio artificialesuperbamente imitato e accuratamente conservatoimmacolato e senza polvereper quanto non
esente da un leggero appassimento e da un intreccio di grinze appenapercettibiliconservato appunto sotto una
campana di vetro. La perfezione della cura domesticad'una nettezza lucentee raffinataregnava sempre nelle sue
stanzeche però ora apparivano come se ogni cosa fosse stata avvoltapiegataripostatanto da consentire a May di
starsene lì seduta con le mani incrociate e null'altro da fare. Era come«al di fuori»agli occhi di Marcher; il suo lavoro
era compiuto; ella comunicava con lui come attraverso una distesa marina ocome se fosse già approdata a qualche isola
di pacee ciò gli diede uno strano senso d'abbandono. Forse chedopo cheMay l'aveva per tanto tempo attesa al suo
fiancola risposta alla loro incognita aveva ora raggiunto a nuoto il suorifugio e le si era rivelatafacendo praticamente
venir meno la ragione del suo compito? Marcher era arrivato a fargliene unacolpa quandoqualche mese primale
aveva rinfacciato di essere già a conoscenza di un segreto e dinasconderglielo. Era un puntoquestosul quale dopo di
allora lui non aveva mai più osato insisteretemendo vagamente che facendociò potesse nascere un dissensoforse un
disaccordotra di loro. Fatto sta che negli ultimi tempi Marcher eradiventato alquanto nervosocosa che non gli era mai
capitata in tutti quegli anni; e la stranezza era che il suo nervosismoavesse aspettato a manifestarsi finché non gli erano
cominciati i primi dubbiche si fosse tenuto a distanza fin tanto cheMarcher aveva goduto delle sue certezze. C'era
qualcosagli sembravache la parola sbagliata gli avrebbe fatto precipitaresulla testaqualcosa che almeno avrebbe
alleviato così la sua tensione. Ma non voleva pronunciarlaquella parolasbagliata; poteva guastare ogni cosa. Voleva
che il segreto gli si svelasse cadendogli addossose possibilecon il suoautorevole peso. Se May doveva abbandonarlo
toccava certamente a lei prendere congedo. Ecco perché non le chiese dinuovo direttamente di confidargli ciò che
sapeva; ma per lo stesso motivoaffrontando la questione da un altro latole disse nel corso di quella visita: «Quale
pensate sia la cosa peggiore che possa capitarmi a questo punto?»
In passatole aveva già rivolto la stessa domanda abbastanza di frequente;e cosìcon il curioso e irregolare
ritmo delle loro intimità e delle loro ritrosìes'erano scambiati delleidee in propositoidee che poi s'erano visti spazzar
via da momenti di freddezzacancellate come figure tracciate sulla sabbia.Una caratteristica delle loro conversazioni
era sempre stata quella secondo cui anche le più antiche allusioni nonrichiedevano che un accenno di deroga oppure un
modesto richiamo per tornare a galla e riecheggiareper l'occasionecomenuove. Cosìin quel momentoMay poté
accogliere la richiesta di Marcher quasi fosse una novità e con pazienza.«Oh sìci ho pensato ripetutamentema mi è
sempre parso che non sarei riuscita mai a venirne a capo. Ho pensato allecose più spaventosetante che mi è stato
impossibile scegliere; e immagino che lo stesso abbiate fatto voi.»
«Certo! Addirittura mi sento come se non avessi fatto altro. È come seavessi trascorso la vita a pensare solo
cose terrificanti. Di molte di questea varie ripresevi ho parlatoma pertante altre non mi è riuscito.»
«Erano davvero talmente spaventose?»
«Troppotroppo spaventose... alcunealmeno.»
May lo fissò per un istantee Marcherraccogliendo il suo sguardo erealizzandone la sublime limpidezza
provò la incoerente sensazione che quei suoi occhi fossero non meno belli diquanto lo erano stati in gioventùma belli
di una strana e fredda luce... una luce che in qualche modo faceva partedell'effetto - se nonpiuttostodella causa - della
pallida e aspra dolcezza di quella stagione e di quell'ora. «E dire»commentò May alla fine«che ne abbiamo
menzionati di orrori!»
Udirla parlare di «orrori»con quell'aspetto e in un contesto del generenon fece che sottolineare la singolarità
della circostanzama pochi minuti dopo lei avrebbe fatto qualcosa di ancorpiù singolaredi cui già s'annunciava il
preludioe il cui pieno significato - tuttavia - Marcher avrebbe afferratosoltanto in seguito. A voler ben vederenon era
difficile riconoscere negli occhi di May il segno della viva trepidazione deiloro tempi migliori. Marcher dovette
comunque ammettere quanto ella diceva. «Oh certovi sono stati momenti incui ci siamo spinti parecchio in là.» Poi si
sorprese nell'atto di parlare come se tutto ciò fosse superato.Probabilmentecosì desiderava in cuor suo che fosse; e la
conclusioneper luidipendeva sempre più chiaramente dall'amica.
Ma lei ebbe ora un tenero sorriso. «Ohparecchio in là...!»
L'esclamazione suonò curiosamente ironica alle orecchie di Marcher. «Voletedire che siete pronta a spingervi
anche più in là?»
May era delicata e antica e affascinante mentre continuava a guardarloeppure era come se avesse smarrito il
filo. «Veramente ritenete che siamo andati molto in là?»
52«Behpensavo fosse proprio questo il punto a cui volevate arrivare... ilfatto che non abbiamo mancato di
guardare in faccia praticamente ogni cosa.»
«Compresi noi duel'uno con l'altra?» May sorrise di nuovo. «Ma aveteragione voi. Ci siamo sempre
scambiati grandi fantasiespesso grandi paure; ma molte altre sono rimasteinespresse.»
«Allorail peggio... quello non l'abbiamo affrontato. Per quel che miriguardaritengo di poterlo affrontarese
solo sapessi quale pensate che sia. Mi sento» spiegò Marcher«come seavessi perduto la capacità di concepire simili
cose.» E si domandò se davvero appariva confuso come lui si sentiva. «Comese si fosse esaurita...»
«Perché allora date per scontato» chiese lei«che la mia non lo sia?»
«Perché mi avete dato le prove del contrario. Per voi non è questione diconcepiredi immaginaredi
confrontare. Non si tratta ora di scegliere.» Einfinesi decise a parlarchiaro. «Voi sapete qualcosa che io non so. Me
l'avete lasciato intendere prima.»
Queste ultime parole ebbero un certo effetto sulla donna; Marcher se ne reseconto all'istante
straordinariamentee May replicò con fermezza. «A dire il veromio caroio non vi ho lasciato intendere proprio
nulla.»
Marcher scosse la testa. «Non potete nasconderlo.»
«Ohoh!» fu l'esclamazionequasi un gemito soffocatocon cui May Bartramironizzò su ciò che non poteva
nascondere.
«L'avete ammesso mesi orsonoquando ve ne parlai come di qualcosa chetemevate che io scoprissi. La vostra
risposta fu che io non avrei potuto scoprirloche non l'avrei scopertoenon pretendo quindi d'averlo fatto. Ma qualcosa
dunque avevate in menteed ora capisco che doveva trattarsie a tutt'oggisi trattadella possibilità chedi tutte le
possibilitàv'è apparsa come la peggiore. Ecco» proseguì«eccoperché vi supplico. La sola cosa di cui ho paura oggi è
l'ignoranza... non è la consapevolezza.» Poivisto che lei non sipremurava di rispondere: «Ne sono tanto più sicuro
perché vi leggo in voltoperché sento quiin quest'aria e in mezzo aqueste apparenzeche voi ormai ne siete fuori.
Avete finito. Avete avuto la vostra esperienza. Ed ora mi abbandonate al miodestino.»
EbbeneMay stette in ascoltopallida e impassibile sulla poltronacomedavanti a una decisione da prendere
tanto che il suo comportamento risultò francamente essere una confessioneper quanto ancora velata da una traccia di
debole e intima resistenzadi una imperfetta capitolazione. «Di fattocredo si tratti della peggiore» si lasciò finalmente
dire. «Intendola possibilità di cui non v'ho mai parlato.»
Ciò fece zittire Marcher per un momento. «Più mostruosa di tutte lemostruosità che abbiamo elencato?»
«Più mostruosa. Non vi pare sufficientemente indicativo» chiese May«che la si qualifichi come la peggiore?»
Marcher ci pensò sopra. «Sicuramente... se anche voicome mevi riferitea qualcosa che comprenda tutte le
disgrazie e gli obbrobrî concepibili.»
«Di ciò si tratterebbe se dovesse accadere» disse May Bartram.«La cosa di cui stiamo parlandoricordateloè
soltanto una mia idea.»
«È una vostra convinzione» precisò Marcher. «Ed è quanto mi basta.Sento che le vostre convinzioni sono
giuste. Quindise ne avete una e non m'illuminate in proposito è come se miabbandonaste.»
«Nono!» ripeté lei. «Io sono con voiancora con voi... non lovedete?» E come se volesse rendergli quella
dichiarazione più verosimile si sollevò dalla poltrona - un movimento cheraramente arrischiava in quei giorni - e gli si
mostròtutta morbida e ornata di drappinella sua candida gracilità.«Non vi ho abbandonato.»
Fu veramentequello sforzo contro la debolezzauna generosa assicurazionee se il successo di quello slancio
non fosse statofortunatamentecompletoavrebbe fatto vibrare in Marcherpiù le corde del dolore che quelle del
piacere. Ma il freddo incanto dei suoi occhi s'era diffuso al resto della suapersonache ora esitava davanti a luitanto
che per un minuto fu come assistere a un suo recupero di giovinezza. Marchernon poteva commiserarla per questo;
poteva soltanto accettarla per come gli si mostrava... ancora in gradononostante tuttodi prestargli il suo aiuto. Era
come seal tempo stessola sua luce potesse svanire da un momentoall'altro; ecco perché doveva profittarne il più
possibile. Fu allora che gli passarono davanti in rassegnanon senza unacerta intensitàle tre o quattro cose che più
desiderava chiarire; ma la domanda che gli venne istintivamente alle labbradi fatto coprì le altre. «Ditemi allora se
dovrò soffrire consapevolmente.»
May scosse prontamente il capo. «Mai!»
A conferma del credito che lui le attribuivail tono deciso di quellarisposta produsse in Marcher un effetto
straordinario. «Orbeneche c'è di meglio? E questo voi lo chiamate ilpeggio?»
«Pensate davvero che non ci sia nulla di meglio?» chiese lei.
E sembrò sottintendere qualcosa di tanto speciale che Marcher bruscamente sirifece pensierosopur senza
perdere di vista lo spiraglio di una ipotesi di sollievo. «Perché noseuno non se ne rende conto?» Dopo di chementre i
loro occhi si incrociavano in silenzio sulla domanda di luilo spiraglio sidilatò e qualcosa gli venne incontro balzando
prodigiosamente fuori proprio dal volto di lei. Quanto al suo voltocome perriflessoall'improvviso arrossì fino alla
frontee lui prese a respirareaffannosamentesotto la spinta di unapercezione con la qualeimmediatamenteogni cosa
veniva a coincidere. L'eco del suo affanno riempì l'atmosfera tutt'intornofinché egli non riuscì ad articolare:
«Capisco... se non soffro!»
Nello sguardo di leituttaviapersisteva il dubbio. «Capite... cosa?»
«Maquel che voi intendete... che avete sempre inteso dire.»
Lei scosse di nuovo la testa. «Quel che intendo non è quel che sempre hointeso dire. È diverso.»
53«Qualcosa di nuovo?»
May esitò un istante. «Qualcosa di nuovo. Ma non quel che pensate voi. Loso quel che voi pensate.»
La curiosità di Marcher riprese fiato; ma la precisazione di May potevaanche essere un errore. «Non è che io
sono uno sciocco?» chiese luia metà tra l'avvilito e il sarcastico.«Non è che sia tutto un equivoco?»
«Un equivoco?» echeggiò lei pietosamente. Quella possibilitàquella sì- Marcher lo intuì all'istante - per lei
sarebbe stata mostruosa; e dal momento che gli garantiva l'immunità daldolore non era quella la cosa che lei aveva in
mente. «Oh no» dichiarò infatti May; «nulla del genere. Non vi sieteingannato.»
Eppure Marcher non poté fare a meno di chiedersi sesollecitata a quelmodonon stesse parlando soltanto per
proteggerlo. Ebbe quindi l'impressione che la sua posizione potesseaggravarsi di molto se la sua storia si fosse rivelata
una totale insulsaggine. «Mi state dicendo la veritàcosì che io nonsarei stato più idiota di quanto sono disposto a
riconoscere? Non ho vissuto con una vana fantasianella più ottusadelle illusioni? Non ho aspettato tantosolo per
vedermi chiudere la porta in faccia?»
Di nuovo May scosse la testa. «Comunque stiano le cosenon è questa laverità. Quale che sia la realtàsi tratta
di una realtà. La porta non è chiusa. La porta è aperta» disse MayBartram.
«Allora qualcosa deve succedere?»
May indugiò una volta di piùsenza togliergli di dosso il suo freddo dolcesguardo«Non è mai troppo tardi.»
Con il suo passo malfermoaveva ridotto le distanze tra loroper fermarsipiù vicina a luipiù raccolta accanto a lui
come se per un istante ancora gravasse su di lei il peso dell'inespresso. Ilsuo avanzare avrebbe anche potuto
rappresentare una sorta di delicata enfasi per sottolineare ciò che stava altempo stesso esitando e decidendosi a dire.
Marcher era rimasto in piedi accanto al caminospento e sobriamente adornoguarnito soltanto di un perfetto e antico
piccolo orologio francese e di due porcellane di Dresda rosa; May con la manoafferrò il ripiano del caminolasciando
Marcher nell'attesae lo tenne stretto per un po' come in cerca di appoggioe d'incoraggiamento. Ma si limitò a lasciare
Marcher nell'attesa; o megliolui si limitò ad attendere. Improvvisamentegrazie al gesto di lei e a tutto il suo modo di
farea Marcher parve meraviglioso ed emozionante il fatto che May avessequalcos'altro da dargli; qualcosa di cui il
viso sciupato della donna prese a illuminarsi delicatamente... a luccicarequasi quanto il bianco bagliore d'argento della
sua espressione. Aveva ragione leiincontestabilmenteperché ciò cheMarcher poté scrutare nel suo volto era la verità;
e stranamentesenz'alcun nessomentre nell'aria era ancora percepibilel'eco della loro conversazione su quella cosa
terrificante che doveva essere la veritàMay si sforzò di farla apparireeccessivamente benigna. Questo particolarenon
senza causargli una certa confusionefece ancor più ardentemente desiderarea Marcher che lei si rivelassecosì che i
due continuarono per qualche minuto in silenziolei proiettando su di lui ilchiarore del suo vis opremendo
imponderabilmente con il suo corpo in avantimentre in lui lo sguardo eratutto gentilezza e attesa. La conclusione
malgrado ciòfu che quanto lui aveva atteso mancò di rivelarglisi. Accaddeinvece qualcos'altroqualcosa che sulle
prime apparve consistere nella mera circostanza che lei socchiudesse gliocchi. Nello stesso istanteMay cedette a un
lento e tenue fremitoe sebbene lui stesse lì a fissarla - a fissarlaanzicon sguardo ancor più intenso - gli voltò le spalle
e ritornò alla sua poltrona. Così si concludeva quello che era stato il suotentativolasciando ora Marcher più pensieroso
che mai.
«Ebbenenon dovete dirmi...?»
PassandoMay aveva sfiorato un campanello accanto al camino prima dilasciarsi cadere particolarmente
pallida sulla poltrona. «Temo di sentirmi troppo male.»
«Troppo male per dirmi?» Acuto si destò in luie quasi gli giunse allelabbrail timore che lei potesse morire
senza dargli la luce. Si trattenne appena in tempo dall'esprimere in questitermini la sua domandama May rispose come
se avesse udito pronunciare quelle parole.
«Non sapete... adesso?»
«‹Adesso›...?» La donna aveva parlato come se una qualche differenza sifosse verificata in quel preciso
istante. Ma la domestica accorsa sollecitamente al suono della campanaeraormai fra loro. «Non so nulla.» E in seguito
avrebbe ammesso con se stesso che doveva aver parlato con odiosa impazienzacon impazienza tale da aver dato
l'impressione cheal sommo dello sconcertosi lavasse le mani dell'interafaccenda.
«Oh!» esclamò May Bartram.
«State soffrendo?» chiese Marcher mentre la cameriera accorreva verso dilei.
«No» disse May Bartram.
La camerierache le aveva infilato un braccio attorno alla vita come sevolesse condurla nella sua stanza
lanciò verso Marcher un'occhiata che supplichevolmente contraddiceva lapadrona; ciò nonostantetuttaviauna volta di
più lui fece mostra del suo non volersi render conto. «Insommacos'èaccaduto?»
May adesso era nuovamente in piedigrazie all'aiuto della compagnaeMarchersentendosi imporre l'obbligo
di ritirarsiaveva distrattamente raccolto guanti e cappello per poiraggiungere la porta. Ma non mancò di attendere la
sua risposta. «Quel che doveva accadere» disse May.
V
Marcher tornò il giorno dopoma lei non fu assolutamente in grado diriceverlo; e poiché era decisamente la
prima volta che accadeva una cosa del genere da quando era iniziata la lorolunga frequentazioneMarcher se ne andò
54sconfitto e avvilitoquasi adirato - oper lo menocon la sensazione chequella battuta d'arresto nelle loro usanze altro
non fosse che il principio della fine - e si aggirò da solo con i suoipensierispecialmente con quello che meno riusciva a
tenere a freno. May stava morendo e lui l'avrebbe perduta; lei stava morendoe la vita di lui si sarebbe conclusa. Si
fermò nel Parco in cui s'era addentratocon fisso davanti agli occhi queldubbio sempre ricorrente. Lontano da lei il
dubbio tornava alla carica; finché era stato in sua presenza le avevacredutoma quando realizzò l'abbandono in cui ora
si trovava non poté fare a meno di rifugiarsi nella spiegazione cheperessere quella più a portata di manopoteva dargli
il massimo di pietoso calore e il minimo di freddo tormento. May l'avevaingannato per proteggerlo... per distoglierlo
con qualcosa in cui lui potesse trovar pace. Che mai poteva essere la cosache doveva capitarglidopo tuttose non
proprio questa cosa che aveva cominciato ad accadere? Lo spegnersi di Maylasua mortela conseguente solitudine per
lui... ecco quel che s'era figurato come la Belva nella Giunglaquel che erain serbo per lui nelle mani di Dio. Ne aveva
avuto un segnale da lei mentre la lasciava... cos'altro al mondo avrebbepotuto voler dire? Non si trattava di una cosa
d'ordine mostruoso; non di chissà quale raro e nobile destino; non di uncolpo di fortuna di quelli che travolgono e
rendono immortali; era soltanto qualcosa che recava il marchio della comunesorte. Ma il povero Marcherin quel
frangentegiudicava sufficiente la comune sorte. Avrebbe servito al suoscopoe lui avrebbe piegato il suo orgoglio ad
accettarla persino quale coronamento di una interminabile attesa. Si mise asedere su di una panchina nel crepuscolo.
Non era stato un pazzo. Come aveva detto leiqualcosa era dovuto accadere.Prima di rialzarsivenne folgorato dall'idea
che l'esito finale di fatto si conciliasse con la natura del lungo viale cheaveva dovuto percorrere per raggiungerlo.
Condividendo la sua ansia e concedendo tutta se stessala propria vitaall'impegno di condurre alla mèta quell'ansia
May lo aveva accompagnato passo dopo passo lungo il cammino. Lui avevavissuto grazie al suo confortoe lasciarsela
indietro ora avrebbe significato sentirne crudelmentedannatamente lamancanza. Cos'altro avrebbe potuto essere più
travolgente?
Ebbenelo avrebbe saputo entro la settimanaperché - dopo averlo tenuto abada per un po'lasciandolo
inquieto e triste durante una serie di giorni nei qualipuntualmentelui sipresentò a chiedere sue notizie senza mai
riuscire a vederla - May pose fine al suo patimentoricevendolo là dovel'aveva sempre ricevuto. Eppure era stata
accompagnata fuorinon senza qualche rischioalla presenza di tanti oggetticheconsciamentevanamente
rappresentavano metà del loro passatoe scarsi vantaggi potevano ormaivenire dalla gentilezza di quel suo ingenuo
desideriopersino troppo evidentedi calmare l'ossessione di John e di dareun sollievo alla sua prolungata pena. Ecco
chiaramente cosa lei volevala sola cosa possibile per la sua pace interiorefinché ancora era in grado di tendere la
mano. Marcher fu talmente turbato dallo stato di May cheuna voltaaccomodatosi accanto alla sua poltronacedette
alla tentazione di lasciar andare ogni cosa; fu lei stessa dunque ariportarlo sull'argomentoa rievocareprima di
congedarlole ultime battute del loro precedente incontromostrando cosìquanto le premeva di lasciare le loro faccende
in ordine. «Non sono sicura che voi abbiate capito. Non avete più nulla daaspettare. Ormai è successo.»
Ohl'occhiata che le lanciò! «Veramente?»
«Veramente.»
«La cosa checome dicestedoveva accadere?»
«La cosa su cui cominciammo a vegliare insieme nella nostra gioventù.»
Faccia a faccia con leiuna volta di più non poté che crederle; era unapretesaquella di Mayalla quale lui
aveva così miseramente poco da opporre. «Volete dire che è successa sottoforma di evento esplicito e definitocon un
nome e una data?»
«Esplicita. Definita. Non so nulla circa il ‹nome›ma con una dataeccome!»
Marcher si sentì di nuovo e perdutamente in alto mare. «Ma è successa dinotte... è arrivata e m'è passata
accanto?»
May Bartram ebbe uno dei suoi stranileggeri sorrisi. «Oh nonon èpassata accanto a voi!»
«Mase non me ne sono accorto e se non m'ha toccato...?»
«Ahil fatto che non ve ne siate accorto» - e parve esitare un istante pervalutare quanto stava per dire - «il
fatto che non ve ne siate accorto è la stranezza nella stranezza. Èil prodigio del prodigio.» Parlava quasi con la
delicatezza di un bimbo malatoma malgrado ciòadessoadesso che tuttoera finitocon la perfetta determinazione di
una sibilla. Era evidente che lei sapeva ciò che sapevae l'effetto ch'ebbesu di lui fu di qualcosa che avesse a che fare
nella sua sublime espressionecon la legge che lo aveva governato. Anzierala voce autentica di quella leggeche si
sarebbe così rivelata per bocca di lei. «Vi ha toccato sì» proseguìMay. «Ha assolto al suo compito. E vi ha reso tutto
suo.»
«Così totalmente senza che io me ne sia accorto?»
«Così totalmente senza che voi ve ne siate accorto.» La mano di Marchernell'atto di chinarsi verso di leisi
posò sul bracciolo della poltronae Mayrinnovando il suo vago sorrisoviadagiò sopra la sua. «È abbastanza che me
ne sia accorta io.»
«Oh!» esclamò Marcher col respiro affannosocome lei stessa tanto disovente aveva fatto nel recente passato.
«Ciò che dissi tempo fa è vero. Ormai non lo saprete piùe penso chedovreste esserne contento. L'avete
avuta» disse May Bartram.
«Ma avuto cosa?»
«Ebbenela cosa per la quale foste designato. La prova della vostra legge.Ha agitofinalmente. Sono davvero
soddisfatta» aggiunse poi coraggiosamente«d'esser stata capace di vederecosa non è.»
55Marcher continuava a inchiodarle gli occhi addossoe - con la sensazione chetuttopersino leigli stesse
oltremodo sfuggendo - l'avrebbe anche brutalmente provocata se non avesseavuto il sospetto di abusare della sua
debolezza qualora si fosse spinto oltre l'accettazione devota di quanto leigli stava dandoun'accettazione silenziosa
come di fronte a una rivelazione. Se si decise a parlarefu perché spintodal presentimento della sua incombente
solitudine. «Se siete soddisfatta di ciò che ‹non› èallora vuol direche avrebbe potuto essere peggio?»
May distolse gli occhiguardando dritto davanti a sé; e dopo un momento:«Behsapete i nostri timori.»
Marcher rimase perplesso. «Si tratta quindi di qualcosa che non abbiamo maitemuto?»
A quel puntolentamentelei tornò a rivolgergli lo sguardo. «Abbiamo maisognatofra i tanti nostri sogniche
un giorno avremmo potuto sedere qui e parlarne in questo modo?»
Per qualche istanteMarcher tentò fra sé e sé di rievocare un ricordo delgenere; ma era come se i loro sogni
peraltro innumerevolisi trovassero dissolti in qualche fredda e densanebbia attraverso la quale il pensiero si smarriva.
«Vi pare possibile che non se ne sia parlato?»
«Comunque»stava facendo del suo meglio per lui«non da questo lato. Equestovedeteè l'altro lato.»
«Temo» replicò il povero Marcher«che tutti i lati siano uguali perme.» Poituttaviamentre lei gentilmente
scuoteva la testa in segno di rimostranza: «Da com'erano le coseavremmopotuto non arrivarci...?»
«Arrivare al punto in cui siamo... in alcun modo. Ci siamooramai»... obiettò lei con leggera enfasi.
«Bel vantaggio ce ne viene!» fu lo schietto commento del suo amico.
«Ce ne viene tutto il vantaggio possibile. Tanto per cominciarela cosa nonc'è più. È passata. L'abbiamo alle
spalle» disse May Bartram. «Prima...» ma le si spezzò la voce.
Marcher s'era alzatoper non affaticarlama gli fu arduo combattere il suoassillante desiderio. DopotuttoMay
non gli aveva confidato nullaa parte la circostanza che la sua luce eravenuta meno... particolare che aveva
perfettamente intuito anche senza di lei. «Prima...?» echeggiòtimidamente.
«Primacapiteera sempre sul punto di succedere. E ciò la rendeva semprepresente.»
«Ohpoco m'importa che succede ora! Oltretutto» aggiunse Marcher«misembra che la preferivo presente
come dite voipiuttosto che assente con la vostra assenza.»
«Oh la mia!»... e le sue pallide mani accennarono un gesto di noncuranza.
«Che sarebbe poi l'assenza di tutto.» Marcher provò la tremenda sensazionedi star lì dinanzi a lei - con
riferimento a tutto tranne che a questo abisso senza fondoa questo abissosenza scampo - per l'ultima volta della loro
vita. E tale sensazione gli rimase addosso con un peso che a fatica riuscivaa sorreggeree fu proprio quel peso
apparentementea fargli esprimere quel che restava in lui di pronunciabileprotesta. «Vi credo; ma non posso
cominciare a far finta di capirvi. Nullaper meè passato; nulla potràpassare finché non passerò anch'ioe in tal senso
prego le mie stelle perché ciò avvenga il più presto possibile. Diciamopurecomunque» aggiunse«che mi sarei
mangiato il mio dolcecome affermate voifino all'ultima briciola... mapuò un avvenimentodi cui non mi sono
minimamente accortoessere quello per il quale ero stato destinato?»
May l'affrontò forse meno direttamentema l'affrontò imperturbata. «Mipare che diate troppo per scontate le
vostre ‹sensazioni›. È vero che dovevate patire il vostro destino. Maciò non implicava necessariamente conoscerlo.»
«Ma com'è possibile... cos'è allora questa consapevolezza se nonsofferenza?»
May alzò appena gli occhi su di luiin silenzio. «No... non voletecapire.»
«Ma io sto soffrendo» disse John Marcher.
«Nonovi prego!»
«Come posso evitare almeno questo?»
«No!» ripeté May Bartram.
Parlò con tono talmente decisomalgrado la sua debolezzache Marcherstette a fissarla per un istante... a
fissarla come se una lucesino ad allora nascostagli si fosse messa abrillare davanti agli occhi. L'oscurità vi si richiuse
soprama intanto il lampo s'era già trasformato per lui in una idea.«Perché non ho il diritto...»
«Non sapere... quando non ce n'è bisogno» esortò leicompassionevolmente. «Non ce n'è bisogno... perché
non dovremmo.»
«Non dovremmo?» Se soltanto avesse potuto afferrare cosa lei voleva dire!
«No... è troppo.»
«Troppo?» insisté a chiedere luima con la disillusione di chi vede ormaiprossimo il momento della rinuncia.
Le parole di Mayse veramente volevano dire qualcosalo colpirono in questaluce - la stessa luce del suo viso consunto
- come cariche di tutti i significatie il senso di ciò che laconsapevolezza aveva rappresentato per lei lo assalì con un
impeto che scoppiò in una domanda. «È di questo allora che statemorendo?»
May non poté che scrutarlodapprima seriamentecome per cogliere a chepunto esattamente lui si trovassee
dovette cogliere di fattoo forse soltanto temerequalcosa che sollecitòla sua compassione. «Vorrei vivere per voi
ancora... se potessi.» Gli occhi le si chiusero per un istantecome seraccolta in se stessasi stesse sforzando per
un'ultima volta. «Ma non posso!» disse risollevandoli per prendere commiatoda lui.
E realmente non potevacome risultò persino troppo presto e troppobruscamentee Marcher dopo
quell'occasione non ebbe più alcuna visione di lei che non fosse buio edesolazione. S'erano separati per sempre con
quella misteriosa conversazione; l'accesso alla sua camera di dolorerigorosamente sorvegliatagli fu quasi del tutto
proibito; d'altrondeora - di fronte a dottoriinfermiereai due o treparenti certamente attratti dalla supposizione di ciò
che lei aveva da «lasciare» -Marcher dovette realizzare quanto pochidiritticome venivano chiamati in casi del genere
56avesse da vantaree quanto strano poteva sembrare il fatto che la lorointimità non gliene avesse concessi di più. Il più
stupido dei cugini di quarto grado di May ne aveva di piùanche se lei nonaveva rappresentato nulla nella vita d i quella
persona. Per luiinveceMay aveva rappresentato l'esclusiva delleesclusive; come spiegare altrimenti la prerogativa di
indispensabilità del loro rapporto? Strani oltre ogni dire erano i sentieridell'esistenzafrustrante per lui l'anomalia
ris ultante da quella sua mancanzaalmeno per come lui la sentivadi undiritto impugnabile. Una donna poteva essere
statacome si dicetutto per luieppure ciò non bastava a sancire il suoruolo in una relazione che altri fossero costretti
a riconoscere. Se tale circostanza fu evidente in quelle conclusivesettimanea maggior ragionee più crudelmentesi
palesò nell'occasione degli estremi uffici resinell'immenso e grigiocimitero londinesea ciò che di mortalea ciò che
di prezioso v'era stato nella sua amica. La partecipazione al suo funeralenon fu numerosama Marcher si vide dedicare
un'attenzione non superiore a quella che gli sarebbe toccata se ci fossestato un migliaio di presenti. A partire di quel
momentoin praticasi trovò faccia a faccia con la prospettiva di poterapprofittare straordinariamente poco
dell'interesse che May Bartram aveva riposto in lui. Non che avrebbe potutodire cosa in realtà s'aspettavama di certo
non s'aspettava di dover patire una duplice privazione. Non solo gli eravenuto meno l'interesse di leima gli sembrava
anche di sentirsi privato - e per una ragione che non riusciva a cogliere -della distinzionedella dignitàdel decorose
non altrodell'uomo gravemente colpito da un lutto. Era come se agli occhidella società non fosse stato gravemente
colpito da un luttocome se ancora ne mancassero i segni o le provee comesenondimenola sua condizione non
potesse mai essere dichiarata né la sua perdita colmata. Vi furono momentinel corso di quelle settimanein cui avrebbe
tanto volutomagari con qualche gesto aggressivoproclamare l'intimità diquella sua perditaperché qualcuno potesse
metterla in discussione e luiper reazioneriaffermarla con gran sollievodel suo spirito; ma a questi momenti ne
seguirono rapidamente altri di più inerme irritazionedurante i qualirimuginando su quelle cose con coscienza più
serena ma di fronte a un vuoto orizzontegli capitò di interrogarsi se nonavrebbe dovutoper così direrisalire a molto
tempo addietro.
A dire il verogli capitò di interrogarsi su parecchie questioniequell'ultima speculazione trovò dunque la
compagnia di tante altre. Cosa avrebbe potuto faredopo tuttolei viventesenza in un certo modo tradire entrambi?
Non avrebbe potuto far sapere che lei stava vegliando su di luiperchéquesto avrebbe reso di dominio pubblico la
superstizione della Bestia. Ma la stessa considerazione gli tappava la boccaora... ora che la Giungla era stata rasa al
suolo e la Bestia se l'era data a gambe. La cosa suonava decisamente tropposciocca e troppo insignificante; la
differenza che s'era creata per lui in quel frangente - l'estinzione nellasua vita dell'elemento di suspense - era taledi
fattoda sbalordirlo. Difficilmente avrebbe potuto dire a cosa quell'effettorassomigliasse; alla repentina cessazionealla
concreta proibizioneforsedi una musicapiù d'ogni altra cosain unluogo esclusivamente predisposto e assuefatto
alla sonorità e all'ascolto. Anche se in qualche momento del passato avevapotuto concepire la possibilità di sollevare il
velo dalla sua statua (del restocos'altro aveva fatto se non sollevarlo perlei?)pensare di farlo oraparlare alla gente in
generale della Giungla esplorata e confidare loro che ormai gli sembravainnocuasignificava non soltanto rischiare che
la sua vicenda venisse ascoltata come il racconto di una vecchia comarebensì sentirsi come seegli stessoraccontasse
una storia del genere. Allo stato attualerisultava insomma che il poveroMarcher era ridotto ad aggirarsi calpestando le
erbe frugate - dove nessun tipo di vita si agitavadove nessun alitorisuonavadove nessun occhio felino sembrava
sbirciare da una possibile tana - con tutta l'apparenza di essere in cacciadella Bestiama soprattutto con l'apparenza di
sentirne dolorosamente la mancanza. Egli si aggirava intorno e dentroun'esistenza chestranamenteera diventata più
spaziosaefermandosi saltuariamente laddove il sottobosco della vita glipareva più foltosi domandava avidamente
segretamente e penosamentese la Bestia si fosse nascosta qua o làse inun modo o nell'altro sarebbe balzata fuori; per
lo menosarebbe rimasta intatta la sua fede nella verità dell'assicurazionericevuta in proposito. Il mutamento dalla
vecchia alla nuova sensazione fu assoluto e definitivo: quanto dovevaaccaderealla fineera accaduto tanto
assolutamente e definitivamente chea malapenaMarcher fu in grado diprovare sia timori che speranze per il futuro;
tale fuin brevel'assenza di qualsiasi dubbio circa ciò che ancora potevasuccedere. Era destinato a vivere
esclusivamente con l'altro dubbioquello relativo al suo non identificatopassatoquello di dovere assistere allo
spettacolo della sua sorte impenetrabilmente velata e mascherata.
Il tormento di questa visione divenne dunque la sua principale occupazione;forse non avrebbe potuto
acconsentire a vivere altro che per la possibilità di continuare aindovinare. Leila sua amicagli aveva raccomandato di
lasciar perdere; gli aveva proibitoper quanto possibiledi saperee in uncerto qual modo gli aveva persino negato la
facoltà di apprendere: tutte cosequestetaliappuntoda togliergli lapace. Non che lui volesse - così ragionò per
correttezza - la ripetizione di qualche avvenimento passato e compiuto;soltantonon dovevacome banalizzando
lasciarsi sorprendere a dormire sonni tanto profondi da non essere in gradodi riguadagnaregrazie a uno sforzo di
pensierola perduta essenza di consapevolezza. A momentidichiarava a sestesso che o la recuperavatale essenza
oppure doveva rinunciare alla consapevolezza per sempre; e finì col fare diquesta idea il suo unico scopoper non dire
la sua sola passioneal punto che nessun'altrase raffrontata a quellasembrava non averlo mai neppure sfiorato. La
perduta essenza di consapevolezza divenne così per lui come un bambinosmarrito o rapito per un padre inconsolabile;
si dette a cercarla dovunquein lungo e in largoproprio come uno che bussaalle porte e si rivolge alla polizia. E fu con
questa predisposizione d'animo cheinevitabilmentesi mise a viaggiare;partì per un viaggio che era destinato ad essere
il più lungo possibile; gli balenò davanti l'idea chesiccome l'altrafaccia del globo non poteva avere meno da dirgli
forsenon senza la possibilità di una certa suggestionepoteva avere dipiù da dirgli. Prima di abbandonare Londra
comunquesi recò in pellegrinaggio alla tomba di May Bartrampercorse leinterminabili avenue della tetra metropoli
suburbanala rintracciò in mezzo a una selva di sepoltureesebbene vi cifosse andato per tutto tranne che per
57rinnovare il gesto di commiatoquando finalmente vi si trovò di frontesiscoprì irretito in lunghe commosse riflessioni.
Rimase lì per un'oraincapace di allontanarvisi eppure non meno incapace dipenetrare il buio della morte; fissando
l'iscrizione col nome di May e la datasbattendo la fronte contro l'evidenzadel segreto che mantenevanotrattenendo il
fiatocome nell'attesa che un qualche senso di compassione per lui sisollevasse da quelle pietre. S'inginocchiò per terra
comunquema in vano; le pietre trattennero quanto nascondevano; e se lalapide della tomba gli apparve come un vero e
proprio voltofu perché i due nomi di May gli apparvero come un paiod'occhi che non lo conoscevano. Ad essi rivolse
l'ultimo prolungato sguardoma non ne venne fuori neppure la più pallidaluce.
VI
Dopo di allorarestò lontano per un anno; visitò le profondità dell'Asiasoffermandosi in località di romantico
interessedi eccelsa solennità; ma ovunque lo seguiva il pensiero cheperun uomo che aveva conosciuto ciò che aveva
conosciuto luiil mondo fosse ordinario e vano. La condizione mentale in cuiaveva vissuto per tanti anni gli
risplendeva davantiper riflessocome una luce capace di colorare e diaffinareuna luce accanto alla quale lo splendore
dell'Oriente risultava grossolano e misero e inconsistente. La terribileverità era che - tra le altre cose - aveva perduto
anche la facoltà di discernimento; le cose che vedeva non potevano nonapparirgli banali visto che banale era divenuto il
suo modo di guardarle. Semplicementeapparteneva anch'egli ormai a quellaschiera... era nella polveresenza neppure
un dettaglio che lo distinguesse dal resto; e vi furono ore in cuidinanziai templi degli dèi e ai sepolcri dei rela sua
mente - associando per nobiltà - si volse alla quasi anonima lapide nellaperiferia londinese. Il ricordo di quella tomba
era diventato per luie ancor più intensamente grazie al temp o trascorso ealla distanzala sua sola testimonianza di un
glorioso passato. Era quanto gli era rimasto come ragione d'orgoglioal cuiconfronto persino le passate glorie dei
faraoni nulla erano per lui. Nessuna meravigliadunquese tornò làl'indomani del suo rimpatrio. Come l'altra voltasi
sentì attratto da una forza irresistibilema quasi con un senso di fiduciafrutto indubbiamente della lontananza di tutti
quei mesi trascorsi. Aveva accettatosuo malgradoun mutamento del propriomodo di sentire egirovagando per il
mondoera come se avesse girovagato dalla circonferenza al centro del suodeserto. Si era assicurato un certo equilibrio
e rassegnato necessariamente alla propria decadenza; immaginandosie nonsenza ragionesimile a certi vecchietti che
ricordava d'aver vistoe dei qualinonostante l'aspetto scarno eraggrinzitosi raccontava che in gioventù avessero
sostenuto decine di duelli o fossero stati amati da decine di principesse.Fatto sta chein qualche modotali personaggi
dovevano apparire straordinari agli occhi del prossimomentre lui non erastraordinario che per se stesso; e fu proprio
questa riflessione a stimolargli dentro l'ansia di rinnovare il prodigiotornando indietro - come si sarebbe espresso lui -
alla sua più intima presenza. Tale sollecitazione sortì quindi l'effetto diaccelerare i suoi passi e di impedire ogni
indugio. La visitainsommaera tanto più inevitabile quanto più era statoseparato dall'unica parte della sua persona che
ormai stimava.
Di conseguenzanon è azzardato dire che Marcher raggiunse la sua métaquasi in preda a una forma di
esaltazione e che vi indugiò con un senso di sicurezza. La creatura chegiaceva sotto quelle zolle sapeva della sua rara
esperienzatanto che orastranamenteil luogo veniva a perdere per lui lasua naturale assenza di comunicazione.
L'accolseanzicon dolcezza... noncome l'altra voltacon ironia; e gliriserbò lo stesso consapevole benvenuto che
ritroviamodopo un'assenzain cose che ci sono intimamente appartenute eche con la loro sola presenza sembrano
testimoniare l'esistenza di tale vincolo. La terrala lapide incisai fioriben curati lo commossero come se gli
appartenesserotanto da farlo sentireper l'occasionecome un signorottodi campagna soddisfatto della visita a un
terreno di sua proprietà. Qualsiasi cosa fosse accaduta... beneeraaccaduta. Questa volta non era tornato spinto dalla
vacuità di quella domandapoiché ormai la sua precedente inquietudine aproposito del «Che? Che cosa?»si era
praticamente esaurita. Eppurenon si sarebbe mai più separato da quel sito;vi sarebbe tornato ogni mesevisto che
grazie al suo confortoriusciva se non altro ad andare avanti. Fu così chela tomba di Maynel più singolare dei modisi
trasformò per lui in una risorsa positiva; tanto da indurlo a realizzarel'idea di periodici pellegrinaggiche finirono col
diventare una delle sue più inveterate abitudini. Riuscì insommaperquanto possa sembrare stranoa far sì chenel
contesto del suo mondo ormai talmente ridotto all'essenzialequel giardinodi morte gli concedesse i soli pochi metri
quadrati di terra sui quali gli era ancora permesso vivere. Era come senonrappresentando più nulla in nessun luogo e
per nessun altronulla persino per se stessoqui invece si sentisse tuttoe sebbene non certo alla presenza di una folla di
testimoni o a nessuno all'infuori di John Marcherse non altro perattestazione di quel registro che poteva sempre
consultare. Il registro aperto eraappuntola tomba della sua compagnaedera lì che giacevano i fatti del passatoera lì
che era contenuta la verità della sua vitalì erano le trascorse distanzenelle quali poteva smarrire se stesso. E infattidi
quando in quandoci si smarrivae con un effetto tale che gli pareva divagare attraverso i vecchi tempidando il
braccio a un compagno che eranel modo più straordinariol'altro sestessoil più giovane; e cosa ancor più
straordinariadi girare e rigirare attorno a una terza presenza... leiimmobilefissai cui occhiseguendolo in quel
girarenon lo abbandonavano maie la cui sede eraper così direil suopunto d'orientamento. Così in breve s'adattò a
vivere... nutrendosi della stessa illusione di un tempoe ricavandone nonsolamente un sostegno ma anche una identità.
Sarebbe potuto andare avanti per mesi e passò un anno; sicuramente l'avrebbesorretto anche oltre nel tempo
se non fosse stato per un inconvenienteapparentemente di poco contoche lospinse in tutt'altra direzionecon una
forza ben maggiore di qualsiasi impressione riportata dall'Egitto odall'India. Si trattò di una cosa estremamente
fortuita.. un batter di cigliacome si sarebbe spiegato in seguitosebbenedovesse poi vivere convinto che se la luce non
58gli fosse giunta in quel particolare modo gli sarebbe comunque venuta in unaltro. E dico che sarebbe vissuto per
convincersi di questo anche se - oserei affermare - non avesse dovuto faraltro nella vita. Concediamogli puread ogni
buon contoil beneficio della convinzionefaticosamente emersa in lui allafinesecondo cuiqualsiasi cosa potesse
essere accaduta o non accadutaavrebbe raggiunto con le proprie forze laluce. L'incidentein una giornata autunnale
non fece che accendere la scintilla alla miccia collocataa suo tempodallasua stessa infelicità. Con quella luce davanti
agli occhi poté rendersi conto chepersino in tempi più recentiil suomale era stato soltanto alleviato. Era stranamente
assopitoma palpitava ancora; bastava sfiorarlo perché riprendesse asanguinare. E a sfiorarloper la circostanzafu il
volto d'un comune mortale. Un volto chein uno di quei grigî pomeriggi incui le foglie si accumulavano
abbondantemente lungo i vialettinel cimiteroscrutò quello di Marcher conun'espressione tagliente come la lama d'un
rasoio. E Marcher la sentì talmente nel vivo da reagire con una smorfia aquel colpo deciso. La persona che così
tacitamente lo assalìl'aveva già notatagiungendo alla propria métaperché era assorta nella contemplazione di una
tomba poco distanteuna tomba apparentemente frescatanto che l'emozionedel visitatore non doveva essere da meno
quanto a spontaneità. Bastò questo particolare a inibire un'ulterioreattenzioneanche seper tutta la durata della sua
visita alla tomba di MayMarcher rimase vagamente consapevole della presenzadel vicinoun uomo all'incirca di
mezz'etàvestito a luttochein mezzo ai monumenti funebri e ai tassimortuarigli rivolse costantemente le spalle
curve. La teoria di Marcher in base alla quale tali elementi avevano direttoriferimento con ciò che lui personalmente
rivivevain quell'occasione - posso garantirlo - fu sottoposta a dura prova.Quella giornata autunnale gli risultava più
nefasta di qualsiasi altra negli ultimi tempie fu con una pesantezza maiprovata prima che si lasciò cadere sulla bassa
lastra di pietra che recava inciso il nome di May Bartram. Si lasciò caderecome impotente a muoversicome se qualche
molla in luiqualche incantesimo destinatoglisi fosse improvvisamentespezzato e per sempre. Se in quel momento
avesse potuto fare quel che si sentiva di faresi sarebbe semplicementesteso sulla lastra ch'era pronta ad accoglierlo
considerandolo come il luogo predisposto a ricevere il suo ultimo sonno. Perquale ragione al mondoormaigli toccava
stare ancora sveglio? Guardava fisso davanti a séassorto inquell'interrogativoe fu allora chementre passava per uno
dei sentieri accanto alla tombafu colpito da quel volto.
Il vicino s'era allontanato dalla tomba - come lui stesso avrebbe fattodelrestose solo ne avesse avuto la forza
- e si stava avviandolungo un vialetto che veniva nella sua direzioneverso uno dei cancelli. Cosìgiunse molto vicino
a Marchera passo lento - a maggior ragione se si pensa che una specie dibramosia aleggiava nel suo sguardo - e per un
buon minuto i due uomini si trovarono faccia a faccia. Marcher riconobbeimmediatamente in lui una persona
profondamente sconvolta... una percezione talmente acuta da cancellare ogniinteresse per altri dettagli: dall'abito all'età
alla presumibile indole ed estrazione sociale; niente aveva importanza difronte alla devastazione di quei lineamenti. E li
ostentavaquei lineamenti... questo era il punto; venne sollecitatopassandoda qualche impulso che poteva essere tanto
un cenno di compatimento quantopiù probabilmenteuna sfida a uncontrapposto dolore. Forse s'era già accorto del
nostro amicoforse in qualche precedente occasione aveva potuto notare inlui la serena consuetudine al luogocon cui
a malapena si conciliava lo stato di confusione dei suoi sentimentie forsedunque poteva essere rimasto colpito da
quella palese discordanza. Di una cosacomunquein primo luogo Marcher sirese immediatamente conto: che
quell'immagine di passione lacerata di fronte a lui era anch'essaa suavoltaconsapevole... di qualcosa che profanava
l'aria; ein secondo luogochestimolatoallarmatoscosso pur tuttaviaun momento dopo lui la stava osservando
allontanarsicon un senso d'invidia. La cosa più straordinaria che glifosse capitata - per quanto non fosse la prima volta
che usava tale aggettivo per definire episodi della sua vita - ebbe luogodopo quell'occhiata rapida e vagacome
conseguenza di tale impressione. L'estraneo passòma il crudo bagliore delsuo tormento rimasecostringendo il nostro
amico a chiedersi compassionevolmente quale sciaguraquale lacerazionequale insanabile ferita esprimesse. Cosa
aveva mai posseduto quell'uomoper sanguinare a tal modo dopo averlaperduta pur continuando a vivere?
Qualcosa - e la rivelazione gli procurò un'enorme angoscia - che luiJohn Marchernon possedeva; e la cui
dimostrazionegiust'appuntoera l'arida fine di John Marcher. Nessunapassione l'aveva mai sfioratovisto che questo
era il significato della passione; era sopravvissutos'era afflitto elogoratoma dov'era la sua profonda devastazione? La
cosa straordinaria di cui parliamo fu dunque la repentina irruzione in luidella risposta a questo interrogativo. Lo
spettacolo cui i suoi occhi avevano appena assistito gli indicavaquasi alettere di fuocoil nome della cosa che a lui era
totalmente e incredibilmente mancatae ciò che gli era mancato faceva ditutte queste cose una miccia incandescentele
faceva riecheggiare in un panico di segreti palpiti. Marcher aveva visto l'esternodella propria vitanon aveva compreso
dal di dentro come si poteva rimpiangere una donna ch'era stata amata per sestessa: tale fu la forza con cui comprese il
significato del volto dell'estraneoche questo seguitò a balenargli davantiagli occhi come una torcia. La
consapevolezzasulle ali dell'esperienzanon l'aveva raggiunto; l'avevarasentatourtatorovesciatocon la rozzezza
della fatalitàcon l'insolenza dell'incidente. Ora che la rivelazione avevaavuto iniziotuttaviaera divampata fino allo
zenite l'oggetto di quella sua contemplazione era ormai la prova del vuotodella sua vita. Stette lì a guardaretrattenne
il fiatocon un senso di pena; si voltò in preda allo sconforto evoltandosisi ritrovò davanti agli occhiinciso con più
evidenza che maiil libro aperto della sua storia. Il nome sulla lapide loferì come già lo aveva ferito il passaggio del
vicinoe ciò che gli disse apertamente in facciafu che era proprio leila sua mancata sorte. Fu un pensiero terribilela
risposta a tutto il passatola visione nella cui spietata chiarezza Marchersi fece gelida come la pietra ai suoi piedi. Ogni
cosa si fuse insiemeconfessataspiegatavinta; lasciandolo oltremodostupefatto di fronte alla cecità che lui stesso
aveva alimentato. Il fato al quale era stato predestinatoaveva finito pervenirgli incontro con eccessiva veemenza...
aveva vuotato il calice fino alla feccia; era stato l'uomo del suo tempol'uomoil soloal quale doveva capitare che non
succedesse nulla. Ecco il colpo di scena... ecco il castigo divino. Così lovidecome si dicecon pallido orrorementre i
59brandelli della sua sorte non smettevano di ricomporsi. Così lei l'avevavisto mentre lui si ostinava a non vederee
anche in quest'occasioneeccola apportare il suo contributo per ristabilirela verità. La veritàvivida e mostruosa
secondo cui per tutto il tempo della sua attesa la sua parte era proprioquella di attendere. E questola compagna della
sua attesa l'aveva scoperto a un certo puntoe gli aveva offerto lapossibilità di evitare la sua condanna. Ma il destino di
ognuno non viene mai elusoe il giorno in cui lei gli comunicò ch'eraarrivato il momento della sua condannaMarcher
non seppe far altro che fissare stupidamente la via d'uscita che lei glisuggeriva.
La via d'uscita sarebbe stata quella di amarla; alloraallora sì luiavrebbe vissuto. Lei aveva vissuto - chi
potrebbe dire ora con quanta passione? - perché l'aveva amato per quello cheera; mentre invece lui non aveva mai
pensato a lei (ahgli appariva tanto evidente ora!) se non nel gelo del suoegotismo e alla luce dell'uso che aveva fatto
della sua persona. Gli tornarono alla mente le parole di May... la catena siallungava all'infinito. La Bestia era stata
davvero in agguatoe la Bestiaal momento giustoaveva spiccato il suobalzo; era balzata fuori nel crepuscolo di
quella fredda giornata d'aprile quandopallidamalataconsuntama pursempre bellae forse allora persino
recuperabileMay era scattata dalla poltronagli si era parata di fronte eaveva lasciato che lui indovinasse. Era balzata
fuorila Bestiae lui non aveva saputo indovinare; era balzata fuori mentrelei s'allontanava da lui sconsolatae gli era
ripiombata addossoal momento stabilitoquando era ormai lontano. Eccogiustificate le sue paure e compiuto il suo
destino; con assoluta precisioneaveva fallito tutto ciò che dovevafallire; e un gemito gli salì ora alle labbraal ricordo
di quanto May avesse pregato perché lui non sapesse. L'orrore di quelrisveglio... ecco cos'era la consapevolezzala
consapevolezza sotto il cui respiro sembravano gelarsi le lacrime di cuiaveva pieni gli occhi. Ma attraverso le lacrime
nondimenoMarcher cercò di fissarla e di fermarlatenendosela davanti inmodo da provarne tutto il dolore. Almeno
questoanche se tardivo ed amaroaveva qualcosa del sapore della vita.Improvvisamenteperòl'amarezza gli diede
nauseae fu come seorribilmentescorgessenella veritànella crudeltàdella sua raffigurazioneciò ch'era stato
prescritto e compiuto. Vide la Giungla della sua vita e vide la Bestia inagguato; poicon un fremito nell'ariala sentì
scattareenorme e orrendaper il balzo che l'avrebbe annientato. Gli sioffuscarono gli occhi... era ormai vicina; e
voltandosi istintivamentenella sua allucinazioneper schivarlasi lasciòcaderebocconisulla tomba.